Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25026 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. III, 08/10/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 08/10/2019), n.25026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24984-2017 proposto da:

A.M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LUDOVISI 36, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO POLIMENI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ATTILIO COTRONEO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), MINISTERO ECONOMIA FINANZE

(OMISSIS), BANCA D’ITALIA, POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 7824/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

19/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha chiesto l’inammissibilità o rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato ATTILIO COTRONEO.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

1.- Nella procedura esecutiva R.G.E. n. 6090/2013 pendente dinanzi al Tribunale di Roma, promossa per un credito ex lege Pinto dal creditore principale M.B.M. contro il Ministero della Giustizia (debitore) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (ente deputato al pagamento per legge, da ora innanzi, M.E.F.) e nei confronti della Banca d’Italia e di Poste Italiane quali terzi pignorati, Banca d’Italia rendeva dichiarazione di quantità positiva, accantonando somme utilmente pignorabili, e Poste Italiane, a seguito dell’accertamento dell’obbligo del terzo, rendeva anch’essa dichiarazione positiva, a rettifica della precedente, con la quale veniva accantonata la somma di Euro 18.494,31.

Dopo la udienza fissata per l’assegnazione, interveniva A.M.F., creditore anch’egli di un indennizzo ex lege Pinto, il quale procedeva ad estendere il pignoramento già eseguito dal creditore principale nei confronti di entrambi i terzi pignorati, ex art. 499 c.p.c..

Successivamente all’estensione di detto pignoramento, Poste Italiane S.p.a. rese un’ulteriore dichiarazione (datata 26.06.2014), in aggiunta alla precedente di rettifica (dell’8.05.2014), con riferimento agli interventi spiegati, accantonando le somme corrispondenti al totale degli stessi, pari a Euro 16.560,67.

Il Giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 10.3.2015, comunicata il 23 marzo 2015, provvide a distribuire le somme secondo un piano di riparto che non teneva conto della dichiarazione di estensione del pignoramento dell’ A., dichiarando preclusa la possibilità di procedere al pignoramento in estensione, nonchè carente di legittimazione passiva il MEF. Procedette quindi al riparto sulla base della dichiarazione resa da Poste all’esito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, rispetto alla quale il credito dell’ A. rimaneva totalmente insoddisfatto.

2. – Propose opposizione agli atti esecutivi

Nel giudizio si costituiva soltanto Poste Italiane S.p.a. e “solo ai fini dell’integrità del contraddittorio”, confermando l’accantonamento delle somme di cui alla seconda dichiarazione e relative agli interventi. Rimasero invece contumaci il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Banca d’Italia.

3. – Il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione agli atti esecutivi affermando di condividere la tesi del Giudice dell’Esecuzione, già da questi espressa nella precedente ordinanza dell’agosto 2014 con riguardo al carattere preclusivo della disposizione D.L. 8 aprile 2013, n. 35, ex art. 6, comma 6 convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64, che ha introdotto l’art. 5 quinquies nella legge Pinto, quanto alla possibilità di procedere a pignoramenti, anche in estensione, sulla base della legge anteriormente vigente; riteneva che la lettera della citata legge rendesse evidente che gli atti di pignoramento di qualsiasi genere posti in essere dopo l’entrata in vigore della legge sarebbero stati nulli se non posti in essere nella forma del pignoramento diretto; che la ratio della norma era quella di assicurare un’ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della suddetta legge, e che una diversa interpretazione si sarebbe posta in conflitto con i motivi che avevano portato all’emanazione della disposizione; affermava che coloro che intervengono in procedure già in corso all’entrata in vigore della legge, non abbiano alcun diritto quesito da far valere ma operino esclusivamente allo scopo di superare il chiaro dettato normativo; che a ciò dovesse aggiungersi la considerazione di ordine processuale, sulla base delle regole procedurali generali, per cui l’intervento dell’opponente era stato effettuato dopo la prima udienza ed era quindi tardivo e come tale, ex art. 499 c.p.c., privo della facoltà di estendere il pignoramento; che a tale conclusione si dovesse pervenire anche attraverso una lettura sistematica delle norme riguardanti plurimi pignoramenti (considerato che la riunione dei pignoramenti è anch’essa consentita entro la prima udienza), nonchè in base a ragioni di economia processuale.

4. – Avverso la sentenza n. 7824/2017 del Tribunale di Roma, pubblicata il 19 aprile 2017, propone ricorso per Cassazione, con quattro motivi, illustrato da memoria, A.M.F..

Il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Banca d’Italia e le Poste Italiane S.p.a. non hanno svolto in questa sede attività difensiva.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 2-bis, conv. in L. n. 134 del 2012, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ovvero denuncia l’omessa pronuncia sulla ritenuta carenza di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il ricorrente lamenta che -come aveva già evidenziato formulando uno specifico motivo di opposizione agli atti – il G.E., nell’ordinanza di assegnazione opposta, abbia richiamato, quale parte integrante, il contenuto della precedente ordinanza depositata il 12 agosto 2014, con la quale questi aveva affermato che “il creditore procedente ha agito in via esecutiva, anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di un titolo esecutivo in materia di c.d. legge Pinto emesso nei confronti del Ministero della Giustizia in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 55 – 2 bis, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, come modificato dalla L. di Conversione n. 134/2012…”.

Afferma che, per contro, rispetto al M.E.F. avrebbe dovuto ritenersi sussistente la legittimazione passiva, in quanto il suddetto titolo era stato emesso e notificato quando ancora esso era l’Ente tenuto per legge al pagamento degli indennizzi ex L. n. 89 del 2001 per i debiti del Ministero della giustizia e che correttamente lo stesso fosse stato notificato al predetto Ministero, il quale era obbligato per legge a pagare entro i 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo; che, decorso infruttuosamente detto termine, il M.E.F. fosse comunque rimasto debitore; e che pertanto, in presenza della dichiarazione positiva da parte della Banca d’Italia, unitamente a quella delle Poste, le somme potessero essere assegnate per intero a tutti i creditori, principale e intervenuti, essendovi abbondante capienza, senza neppure la necessità di ricorrere all’estensione del pignoramento.

Il ricorrente deduce che il grossolano errore, in forza del quale il G.E. ha ritenuto non legittimato passivo il M.E.F., e su cui il Giudice del merito sarebbe stato chiamato a pronunciarsi e a rimediarvi in sede di opposizione, emerga proprio dagli atti; e che inoltre il titolo de quo sia stato anche notificato al M.E.F. anteriormente alla data di entrata in vigore della citata norma.

Nella ricostruzione del ricorrente, il giudice avrebbe errato nel ritenere non più legittimato passivamente il M.E.F. nel caso di specie, perchè il titolo dell’ A. è stato ottenuto – nei confronti del Ministero della Giustizia, e notificato al M.E.F. quale incaricato del pagamento – quando la nuova norma non era stata ancora introdotta.

Con il secondo motivo, si deduce la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 5-quinques così come introdotto dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, comma 6, convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64 e dell’art. 12 preleggi, in relazione agli art. 499 c.p.c., comma 4 e art. 500 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente lamenta che il Giudice del merito, da un lato abbia affermato di non considerare “la questione, non rilevata dal giudice dell’esecuzione, della dubbia ammissibilità di un pignoramento nei confronti di un ministero operato non presso il tesoriere ma presso un soggetto diverso”, e dall’altro, tuttavia, nel condividere la tesi accolta dal G.E., relativa al preteso carattere preclusivo dell’art. 6 citato, abbia trattato Poste Italiane esattamente alla stessa stregua di una Tesoreria, falsamente applicandole la citata L. n. 89 del 2001, art. 5-quinques.

Il ricorrente deduce che tale disposizione non si applichi al caso di specie in quanto la stessa, per espressa e inequivoca previsione normativa, si applicherebbe solo alle procedure esecutive presso le tesorerie centrali e provinciali dello Stato; e che la stessa non trovi applicazione nemmeno nelle ipotesi in cui il creditore intervenuto estenda il pignoramento del creditore principale.

Il ricorrente lamenta che l’estensione del pignoramento da parte di Poste Italiane non avrebbe potuto essere impedita, nemmeno a volerla considerare, errando, un nuovo pignoramento; non ostandovi infatti alcuna disposizione attualmente vigente, anche in virtù della qualità del terzo che, nel caso de quo, non sarebbe una Tesoreria.

Il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il citato art. 5-quinquies non riguardi quindi “gli atti di pignoramento di qualsiasi genere”.

Lamenta che il Tribunale abbia fornito un’interpretazione forzata della citata norma, che andrebbe al di là del dato letterale, al punto di creare una norma che non esiste, con pregiudizio dell’odierno ricorrente, in aperta violazione dell’art. 12 preleggi.

Con il terzo motivo, si deduce la violazione dell’art. 499 c.p.c., comma 4, artt. 500 e 528 c.p.c. nonchè dell’art. 12 preleggi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermandosi l’ammissibilità della estensione del pignoramento da parte del terzo interventore tardivo.

Il ricorrente lamenta che il Giudice, anche qui in violazione dell’art. 12 preleggi, sia andato oltre il dato testuale delle norme, introducendo, a danno dei creditori chirografari in tempestivi, un’esclusione assolutamente non prevista.

Afferma che, con la previsione di cui all’art. 499 c.p.c., comma 4, il legislatore abbia previsto la possibilità dell’estensione del pignoramento, da parte degli altri creditori successivamente intervenuti, ad altri beni utilmente pignorabili; ciò a tutela del credito principale (il quale infatti potrebbe essere intaccato solo da quello dei creditori chirografari tempestivi, e giammai per voler escludere quei creditori che intervengono tardivamente dalla possibilità di chiedere anch’essi l’estensione del pignoramento; e che, del resto, l’art. 500 c.p.c. preveda espressamente la possibilità, per i creditori intervenuti, di provocare singoli atti di espropriazione. Deduce che gli interventori siano dunque titolari di poteri di impulso, tra i quali proprio quello di cui ai richiamati artt. 499 c.p.c., comma 4, che consente loro l’estensione del pignoramento; che l’attività compiuta dai singoli creditori sia imputata a tutti collettivamente, e che il creditore titolato sceglierà di dar vita a un autonomo pignoramento successivo solo nell’ipotesi in cui si intraveda una inesistenza, nullità o inefficacia originaria dell’atto.

Con il quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 547 e 548 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero che non sia stata seguita la corretta procedura per l’ipotesi di mancata dichiarazione del terzo.

4.1 Il ricorrente lamenta che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, la dichiarazione resa dalla Banca d’Italia si riferisse necessariamente a entrambi i Ministeri; ma che, in ogni caso, volendo ammettere che la stessa si riferisse solo al M.E.F., allora il Giudice avrebbe dovuto disporre un rinvio dell’udienza per consentire al Terzo inadempiente di rendere la dichiarazione e in mancanza, per assegnare le somme considerando il credito non contestato.

4.2 Infine, in subordine, il ricorrente prospetta una questione di legittimità costituzionale 5-quinques citato, per violazione degli artt. 2,3,10,24,80 e 111 Cost., invocando la disapplicazione della norma o, in via ulteriormente subordinata, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.

In particolare, il ricorrente lamenta che la norma crei un’inaccettabile disparità di trattamento, segnata dalla natura del titolo, tra i creditori di indennizzi derivanti dalla L. “Pinto”, n. 89 del 2001 (ai quali verrebbe sottratto il diritto di agire esecutivamente presso le Tesorerie dello Stato, ovvero, se interpretata nel senso inteso dal Giudice di merito, anche presso terzi diversi da queste ultime) e i creditori di somme diverse (i quali invece non patirebbero alcuna limitazione); che ai creditori ex L. Pinto sia praticamente impedita l’esecuzione forzata nei confronti del Ministero della Giustizia (perchè sarebbe sufficiente non stanziare in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata); e che pertanto l’Amministrazione giudiziaria italiana continui a violare il diritto previsto dal par. 6 della Convenzione, frapponendo ostacoli di ogni tipo all’effettiva tutela accordata al cittadino italiano che abbia subito la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

Il ricorso supera a stento i rilievi di inammissibilità in quanto consente con difficoltà di trarne le indicazioni minime indispensabili a ricostruire la cronologia di alcune scansioni processuali, necessarie per poter esaminare e quindi valutare nel merito l’ammissibilità e la fondatezza di un ricorso in materia di opposizione agli atti esecutivi, in cui l’individuazione dei tempi dei provvedimenti del giudice e delle reazioni ad essi delle parti sono essenziali fin particolare, e possibile che l’ordinanza del g.e. dell’agosto 2014 avesse espressamente dichiarato inammissibile l’estensione del pignoramento, nel qual caso l’ A. avrebbe dovuto impugnare con opposizione agli atti esecutivi quel provvedimento, e la successiva opposizione contro l’ordinanza distributiva, di cui al presente ricorso, avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, ma, in mancanza della produzione del provvedimento in questa sede e della riproduzione del testo di esso, non se ne ha certezza). Giova ricordare a questo proposito che, pur potendo la Corte di cassazione, ex art. 369 c.p.c., previa richiesta del ricorrente, acquisire il fascicolo d’ufficio, esso consta del solo fascicolo della opposizione esecutiva, e non anche del fascicolo dell’esecuzione, che non si ha facoltà di richiedere. E’ particolarmente importante, quindi, nei ricorsi per cassazione che traggono origine da opposizioni agli atti esecutivi, rispettare scrupolosamente il principio di completezza del ricorso, riproducendo nel ricorso, in tutto o in parte, a seconda delle questioni poste, il testo dei documenti o provvedimenti salienti e rinnovandone la produzione in cassazione.

Pur volendo ritenere sufficientemente chiarificatrici le scarne indicazioni fornite dal ricorrente, il ricorso è comunque infondato.

E’ preliminare l’esame del terzo motivo, la cui infondatezza fa degradare a sostanzialmente irrilevanti le censure contenute negli altri.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, a fronte del chiaro dato testuale costituito dall’art. 499 c.p.c., comma 4, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 263 del 2005, in vigore dal 1 marzo 2006.

E’ ben vero che, sulla base proprio delle significative modifiche normative introdotte all’epoca nella disciplina delle esecuzioni gli interventori, ancorchè tardivi, purchè muniti di titolo esecutivo, hanno in generale facoltà di compiere atti di impulso della procedura esecutiva.

suddette riforme hanno anche trasformato l’istituto dell’estensione del pignoramento, prima previsto solo per l’esecuzione mobiliare, in strumento generale, che può trovare applicazione, per la migliore soddisfazione dei creditori, in relazione a qualunque forma espropriativa, ma entro uno spazio ben individuato. L’estensione del pignoramento – disciplinata all’interno dell’articolo del codice dedicato all’intervento – non può trovare ingresso cioè in ogni momento del processo ma solo, al più tardi, entro l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, in cui si cristallizza definitivamente, anche a tutela del debitore, l’oggetto della procedura.

E’ correlata all’esigenza di circoscrivere ad una determinata fase la possibilità di estendere il pignoramento, la previsione dell’art. 499 c.p.c., comma 4, secondo la quale solo ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato preventivamente o all’udienza indicata, l’esistenza altri beni utilmente pignorabili, o, in mancanza di tale indicazione, il creditore intervenuto tempestivamente ha facoltà di chiedere l’autorizzazione all’estensione.

Quindi, solo l’interventore tempestivo, beninteso munito di titolo esecutivo, è titolare della specifica facoltà di chiedere l’estensione del pignoramento, ed essa può essere esercitata non oltre l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione.

Secondo la migliore dottrina, che perviene a risultati allineati alla giurisprudenza di legittimità, la tempestività o meno dell’intervento va valutata facendo riferimento alle norme che disciplinano i diversi modelli di espropriazione. Nell’espropriazione di crediti presso terzi, tenuto conto della disciplina pro tempore applicabile, l’intervento di altri creditori, ex art. 551 c.p.c., non può avvenire oltre la prima udienza di sparizione delle parti, nella quale il terzo rende la dichiarazione di cui all’art. 547 c.c., per tale dovendosi intendere quella indicata nella citazione notificata al terzo ovvero quella differita d’ufficio dal giudice (Cass. n. 20595 del 2010).

La tempestività dell’intervento, inoltre, è questione rilevabile d’ufficio (in questo senso Cass. n. 2043 del 2017, Cass.. n. 19858 del 2011, che richiama la particolare struttura del processo esecutivo, in. cui l’istituzionale carenza di contraddittorio in senso tecnico per l’assenza di controversie in punto di diritto (salvi gli incidenti – o parentesi cognitivi costituiti soprattutto dalle opposizioni), in uno alla altrettanto istituzionale soggezione processuale di uno dei due soggetti necessari – e cioè del debitore – cui è riconosciuto) il potere di impulso e cioè al creditore, devono essere compensate da una più intensa potestà di verifica anche formale della sussistenza di condizioni e presupposti per la corrispondenza del processo stesso alla sua funzione.

Rientra inoltre tra i doveri del giudice dell’esecuzione, all’udienza fissata per l’assegnazione del credito o la distribuzione del ricavato, determinare quale sia il ricavato utilmente distribuibile in relazione all’oggetto del pignoramento.

Poichè nel caso di specie è intervenuto, incontestatamente, soltanto dopo l’udienza fissata per l’assegnazione del credito, dell’estensione effettuata tardivamente correttamente il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto e, correttamente, il giudice dell’opposizione ha rigettato l’opposizione, confermando la legittimità della esclusione dell’ A. dal piano di riparto in quanto non utilmente collocabile, perchè ha qualificato l’intervento come tardivo, con preclusione all’ampliamento dell’oggetto originario del pignoramento, prima ancora di considerare le specifiche questioni originate dalle modifiche normative introdotte dalla L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies (introdotto dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, comma 6, convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64) per le sole procedure esecutive per la riscossione forzata degli indennizzi ex lege Pinto.

La resistenza della decisione impugnata in relazione al sopra enunciato profilo della radicale carenza in capo al ricorrente, in quanto interventore tardivo, della facoltà di procedere all’estensione del pignoramento e di beneficiarsene, fa venir meno la decisività delle altre censure, comunque infondate.

Brevemente, quanto al primo motivo, effettivamente la sentenza impugnata non affronta ex professo il profilo della sussistenza o meno della legittimazione passiva del Ministero della Economia e Finanze. Il motivo è comunque inammissibile, perchè estraneo alla ratio decidendi. La questione della legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e finanze, infatti, nel giudizio di opposizione all’esecuzione rimane assorbita dall’inammissibilità del ricorso all’esecuzione presso terzi, in quanto la nuova normativa, di immediata applicazione, prevede solo il pignoramento diretto come già affermato, in precedente controversia che presenta profili di analogia con l’attuale, da Cass. n. 29027 del 2018).

Anche il secondo motivo, oltre che alquanto oscuro, è infondato. Alla luce della nuova previsione normativa, di interpretazione autentica e quindi immediatamente applicabile ai procedimenti esecutivi in corso (v. Cass. n. 25068 del 2017, cui si richiama Cass. n. 11678 del 2018) per i crediti ex lege Pinto, al fine di assicurare un’ordinata programmazione dei pagamenti, non si può più procedere a pignoramenti, anche in estensione, nei confronti del M.E.F. ma solo nei confronti del Ministero della Giustizia Cass. n. 29027 del 2018), solo nelle forme del pignoramento diretto, con esclusione del pignoramento presso terzi, e l’ufficio competente è tenuto a vincolare l’ammontare per cui si procede solo se esistano in contabilità fondi destinati ad esecuzione forzata, è intervenuto sulla base di un titolo formatosi prima della modifica normativa, ma ha effettuato l’intervento successivamente all’entrata in vigore della modifica stessa, quindi non avrebbe potuto giovarsi di un pignoramento intrapreso nelle forme del pignoramento presso terzi e nei confronti di soggetto non più legittimato passivamente, nè tanto meno potrebbe giovarsi come sembra adombrare col secondo motivo, di non aver rispettato neppure la normativa previgente, avendo pignorato anche un soggetto (Poste) diverso dal tesoriere.

Il motivo di cui al punto 4.1. del ricorso, che fa riferimento all’omessa considerazione della dichiarazione positiva resa dall’altro terzo pignorato, Banca d’Italia, è travolto in ogni caso dal difetto di autosufficienza, atteso che non riporta il tenore della dichiarazione.

Infine, la questione di legittimità costituzionale prospettata al punto 4.2. del ricorso, che denuncia la violazione del principio di uguaglianza tra categorie di creditori, rendendo più disagevole ai creditori di indennizzi ex lege Pinto la possibilità di soddisfarsi, è irrilevante, atteso che essendo il suo intervento tardivo, l’ A. non avrebbe avuto diritto ad effettuare l’estensione del pignoramento e sarebbe rimasto comunque insoddisfatto in ragione della tardività del proprio intervento, ed a prescindere dalle questioni contesse alla introduzione della previsione dell’art. 5 quinquies nel corpo della L. n. 89 del 2001 (rimanendo fuori dal presente giudizio, per il citato difetto di autosufficienza, le ragioni della mancata assegnazione al creditore principale delle somme accantonate da Banca d’Italia).

Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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