Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2235 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/01/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 31/01/2011), n.2235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato BIGINELLI GIANCARLO con studio in TORINO VIA

PALMIERI 63, (avviso postale), giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO (OMISSIS), MINISTERO DELL’ECONOMIA E

FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 28/2005 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 04/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.M. impugna la sentenza della CTR, indicata in epigrafe, che, in accoglimento del gravame dell’agenzia delle entrate, disattendeva l’impugnativa del contribuente avverso il mancato rimborso delle imposte pagate a seguito di accertamento in rettifica di quelle sui redditi Irpef e Ilor per l’anno 1978, fondato su maggiori ricavi, come stabilito con sentenza già passata in giudicato.

A sostegno deduce tre motivi, mentre l’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo denunzia “violazione e/o falsa applicazione, errata interpretazione delle norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 11, 18 e 53, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione”: sostiene che il ricorso in appello era inammissibile, posto che non recava la sottoscrizione del direttore dell’ufficio, bensì di un funzionario che sarebbe stato munito di delega, il che non sarebbe consentito perchè non previsto da alcuna norma dell’ordinamento.

Il motivo è infondato. Il giudice di appello osservava che il mezzo di gravame era munito della sottoscrizione di funzionario, che a sua volta aveva ricevuto la delega da parte del direttore dell’ufficio, e ciò era sufficiente per ritenere regolare quell’atto. L’assunto è esatto. Infatti la sottoscrizione dell’atto di appello, pur non competendo ad un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega da parte del titolare dell’Ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando proviene da quello preposto al reparto competente, poichè la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore di esso con competenze specifiche. Ciò poi è tanto più esatto allorquando, come nella specie, risulti che il funzionario abbia avuto specifica delega al riguardo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 13908 del 28/05/2008, n. 9600 del 23/04/2007).

2) Col secondo motivo deduce “violazione e/o falsa applicazione, errata interpretazione delle norme di diritto, in particolare degli artt. 654 c.p.p., artt. 324 e 395 c.p.c., artt. 2041 e 2042 c.c., oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione”, atteso che l’azione del pagamento dell’indebito e quella di arricchimento senza causa erano già state esperite senza successo, mentre era intervenuto il giudicato penale con la sentenza n. 894/94 del tribunale di Genova, con cui L. era stato mandato assolto da ogni addebito di reato fiscale, sicchè non era necessario esercitare quella di revocazione.

La censura, che sotto un certo profilo è connotata da carattere di genericità e novità, comunque è priva di pregio. Invero, come esattamente rilevato dalla CTR, il pagamento delle imposte era stato effettuato in virtù di sentenze delle commissioni tributarie passate in giudicato, donde l’emissione della cartella. Circa quello penale, va invece osservato che esso, a parte che non è stato specificato il contenuto della relativa sentenza, nè quando esso si sarebbe formato, come pure non risulta presentata copia con il prescritto attestato di cancelleria, tuttavia va rilevato che ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valore anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Quindi nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari nel separato giudizio tributario, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio finanziario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare, e questa è stata esclusa in quello in esame (V. pure Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 5720 del 12/03/2007). Quindi alla luce di tali considerazioni neanche la revocazione era esperibile nella fattispecie, contrariamente all’assunto del giudice “a quo”.

3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 89, 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, posto che il giudice dell’impugnazione non disponeva la cancellazione di talune espressioni sconvenienti ed offensive contenute nel ricorso di appello, e che non erano necessarie ai fini difensivi.

La doglianza è inammissibile, dal momento che, oltre ad essere nuova, perchè non dedotta nel precedente grado, soprattutto appare all’evidenza formulata in modo generico, e cioè senza la specificazione dell’oggetto e l’indicazione delle frasi censurate.

Quindi anche in rapporto alle suindicate corrette valutazioni giuridiche, le persistenti doglianze del contribuente non riescono ad eluderle, onde vanno complessivamente disattese.

Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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