Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23183 del 17/09/2019
Cassazione civile sez. VI, 17/09/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 17/09/2019), n.23183
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6840-2018 proposto da:
J.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato ALESSANDRINI PAOLO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro
tempore, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DEI i A
PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona del legale
rappresentante pro tempore;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1071/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 12/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 02/07/2019 dal Presidente Relatore Dott. GENOVESE
FRANCESCO ANTONIO.
Fatto
FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione adottata dal Tribunale di quella stessa città che ha respinto il ricorso proposto dal sig. J.A., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento negativo del Ministero dell’Interno Commissione territoriale di Ancona che, a sua volta, non aveva accolto nè le richieste di protezione internazionale e nè la domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, invocati sulla base di una vicenda personale secondo la quale egli, avendo avuto rapporti sessuali con una ragazza (ma, in un primo momento, affermando di averla violentata e, successivamente, di aver praticato un rapporto consensuale), era fuggito dal Paese, anche su indicazione di alcuni familiari, venendo in Italia.
Secondo il giudice del gravame, il racconto del richiedente asilo era contraddittorio e poco credibile e, considerata l’assenza dei presupposti (la violenza indiscriminata nel Paese a quo) necessari per il riconoscimento della protezione, andavano respinte tutte le sue richieste, anche quelle di protezione umanitaria, atteso che quella narrata non era sussumibile nell’ambito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, trattandosi di una vicenda privata, peraltro poco credibile, non essendo state neppure allegate le ragioni di fragilità, giustificative della richiesta di protezione umanitaria.
Avverso tale provvedimento ricorre il sig. J., con due mezzi, con i quali lamenta plurime violazioni di legge: a) D.Lgs n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e le Direttive eurounitarie 2004/83/CE, 2011/95/UE, 2013/32/UE; c) TU n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1.
Il Ministero non ha svolto difese.
Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono state mosse osservazioni critiche con memoria scritta.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le doglianze, a parte i profili di difetto di specificità, con particolare riferimento alle ragioni poste a base dell’originaria richiesta di protezione umanitaria, sia davanti al Tribunale che alla Corte d’appello, sia pure sotto le apparenze delle censure di violazione di legge, tendono ad una inammissibile richiesta di riesame delle risultanze e alla rivalutazione degli elementi emersi nel corso della fase di merito (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 2014).
Al ricorrente, che pure lamenta l’erronea affermazione di contraddittorietà nelle dichiarazioni del richiedente asilo, commisurando quelle rese davanti alla Commissione territoriale (una violenza carnale praticata) e quelle riportate avanti al giudice (un rapporto sessuale consensuale), va risposto rammentando che – a quell’esito – il giudice di merito è pervenuto anche in considerazione del principio che questa Corte (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 18739 del 13/07/2018) ha così enunciato: in tema di protezione sussidiaria, l”assenza delle condizioni di esclusione previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 16, rappresenta uno degli elementi costitutivi del suo riconoscimento, da esaminarsi necessariamente al momento del vaglio della posizione soggettiva; ne consegue che la deduzione concernente la sussistenza delle dette condizioni (nella specie, la commissione di un “reato grave” ex lett. b, del citato articolo), involgendo la mancanza dell’elemento costitutivo previsto dalla norma, integra una mera difesa, rilevabile d’ufficio, sicchè, ove sollevata in appello, la relativa eccezione non è tardiva, ostando l’art. 345 c.p.c., comma 2, alla proposizione delle sole eccezioni in senso stretto.
In sostanza, ove il giudice di merito avesse dato rilievo al primo fatto avrebbe dovuto disconoscere ogni richiesta di protezione, per il fatto-reato grave confessato dal dichiarante davanti alla Commissione territoriale, atteso che quello commesso certamente non rientra tra i reati politici o a sfondo politico, diversamente considerabili, sul piano della tutela.
Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, resta il deficit di allegazioni – non idoneamente censurato con critiche autosufficienti, richiamate in relazione al doppio grado di merito – a sancirne l’inammissibilità.
Alla inammissibilità del ricorso non segue nè l’affermazione dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, avendo il ricorrente conseguito l’ammissione al PASS, e nè il regolamento delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva della PA intimata.
P.Q.M.
La Corte:
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6-1° sezione civile, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2019