Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1476 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. I, 21/01/2011, (ud. 18/11/2010, dep. 21/01/2011), n.1476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1086/2007 proposto da:

S.M.R., elettivamente domiciliata in Roma, Via A.

Baiamonti n. 10, presso l’avv. SANTORO R. Patrizia, dalla quale è

rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ST.CL., elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Zebio

n. 28, presso l’avv. MONACO Guido, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 3984/06,

pubblicata il 20 settembre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18

novembre 2010 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Ferraldeschi, per delega dell’avv. Santoro, per la

ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, il quale ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 20 settembre 2006, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta da S.M.R. avverso la sentenza emessa il 1 giugno 2004, con cui il Tribunale di Roma, nel pronunciare la separazione personale dell’appellante dal coniuge St.Cl., aveva rigettato le domande proposte dalla S. per ottenere l’addebito della separazione al marito, l’assegnazione della casa familiare e l’imposizione a carico dello St. dell’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne Cr., con lei convivente.

A fondamento della decisione, la Corte ha dichiarato di condividere il convincimento espresso dal Giudice di primo grado in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’assegnazione della casa ed il riconoscimento dell’assegno, osservando che l’età ormai raggiunta dalla figlia (trentasette anni), la sua qualificazione professionale (odontotecnico) e l’esperienza lavorativa da lei maturata nello specifico settore comprovavano l’avvenuto completamento del processo di formazione ed avviamento al lavoro.

La Corte ha inoltre rigettato l’appello incidentale proposto dallo St. avverso il capo della sentenza di primo grado con cui era stata dichiarata l’integrale compensazione delle spese processuali.

2. – Avverso la predetta sentenza la S. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Lo St. resiste con controricorso, seguito dal deposito di memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, occorre rilevare l’inammissibilità del controricorso, in quanto notificato il 6 febbraio 2007, ovverosia oltre il termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., decorrente dal 22 dicembre 2006, data di notifica del ricorso. Ne consegue altresì l’inammissibilità della memoria depositata dalla difesa del controricorrente, non essendo consentita la presentazione di memorie all’intimato costituitosi tardivamente, ma solo la partecipazione alla discussione orale (cfr. Cass., Sez. 1, 24 aprile 2007, n. 9897;

Cass., Sez. lav., 21 aprile 2006, n. 9396).

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, affermando che la Corte d’Appello ha omesso di esaminare la domanda di addebito della separazione da lei riproposta in sede di gravame, e non riportata nelle conclusioni dell’atto di appello per mero errore di trascrizione.

2.1. – Il motivo è infondato.

Benvero, l’esame diretto degli atti, consentito dalla natura di error in procedendo propria del vizio fatto valere dalla ricorrente, dimostra che la mancata proposizione, nelle conclusioni del ricorso in appello, di una specifica domanda di riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso l’addebitabilità della separazione al coniuge, non era riconducibile alla volontà della ricorrente di prestare acquiescenza al relativo capo della decisione, in quanto, come si evince dalla lettura dell’atto, la S. aveva chiaramente manifestato l’intento di censurarlo, proponendo un apposito motivo d’impugnazione.

La mancata riproduzione, nella parie dell’atto di appello a ciò destinata, delle conclusioni relative ad uno specifico motivo di gravame non può essere infatti considerata equivalente a difetto di impugnazione o causa della nullità della stessa ove dal contesto dell’atto risulti, sia pur in termini non formali, un’univoca manifestazione di volontà di proporre impugnazione per quello specifico motivo, dovendo interpretarsi l’atto introduttivo del giudizio nel suo complesso, al fine di verificare la presenza di tutti gli elementi della domanda che siano prescritti sotto comminatoria di nullità o di preclusione (cfr. Cass., Sez., lav.. 15 maggio 2003. n. 7585; 22 gennaio 1986, n. 407).

Peraltro, come risulta dagli atti del relativo giudizio, nonostante l’espresso rigetto risultante dalla sentenza, nessuna domanda di addebito della separazione era stata proposta in primo grado, in quanto la S., pur dolendosi, con il ricorso introduttivo.

dell’atteggiamento egoista e prevaricatorio dello St., aveva circoscritto l’ambito delle proprie richieste agli aspetti economici, con la conseguenza che non può dirsi con certezza se ella abbia inteso far valere il predetto comportamento quale causa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, piuttosto che come mero indice della stessa.

La domanda di addebito proposta con il motivo di appello era pertanto qualificabile come domanda nuova, inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., e quindi inidonea a far sorgere a carico del giudice dell’impugnazione un potere-dovere di pronunciare al riguardo, tale inammissibilità è rilevatale anche d’ufficio in sede di legittimità, poichè, mirando ad assicurare il rispetto (e la garanzia) del doppio grado di giurisdizione, costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione medesima che può essere verificata nel giudizio di cassazione, avendo la Suprema Corte il potere-dovere di rilevare l’inammissibilità dell’appello sul quale la sentenza impugnata abbia eventualmente pronunciato in violazione del divieto di cui all’art. 345 cit. (cfr. Cass., Sez. 1^, 6 dicembre 2004, n. 22786; Cass., Sez. 3^, 21 gennaio 1989, n. 355).

3. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 2697 cod. civ., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte d’Appello, nel rigettare la domanda di assegnazione della casa familiare e di determinazione del contributo per il mantenimento della figlia, ha fatto leva esclusivamente sull’età di quest’ultima e sull’avvenuto raggiungimento da parte della stessa di un determinato livello d’istruzione, omettendo di valutare le ragioni per cui essa non aveva ancora raggiunto l’autosufficienza economica.

In tal modo, ad avviso della ricorrente, la Corte, pur dichiarando di condividere il convincimento espresso nella sentenza di primo grado, che aveva ritenuto non provato il difetto di autosufficienza economica da parte di St.Cr., se ne è in realtà discostata, dando per scontata tale autosufficienza, in mancanza di qualsiasi prova, ed omettendo di indicare le ragioni per cui ha ritenuto che la figlia avesse maturato un’esperienza lavorativa specificamente correlata agli studi da lei svolti.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Nel l’escludere il dovere del controricorrente di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne, in considerazione dell’età ormai raggiunta dalla stessa, della sua qualificazione professionale e dell’esperienza lavorativa da lei maturata mediante lo svolgimento di attività retribuita nel settore di specifica competenza, la sentenza impugnata si è attenuta al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il fondamento del diritto del coniuge separato a percepire l’assegno di cui all’art. 155 cod. civ., risiede, oltre che nell’elemento oggettivo della convivenza con il figlio maggiorenne (che lascia presumere il perdurare dell’onere del mantenimento), nel dovere di assicurare un’istruzione ed una formazione professionale rapportate alle capacità della prole (oltrechè alle condizioni economiche e sociali dei genitori), onde consentire alla stessa di acquisire una propria indipendenza economica. Tale dovere cessa all’atto del conseguimento, da parte del figlio, di uno status di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, quale che sia, in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato, restando attribuita al giudice di merito ogni valutazione (insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata) in ordine all’eventuale esiguità del reddito percepito, al fine di escludere la cessazione dell’obbligo di mantenimento da parte del genitore non affidatario (cfr. Cass., Sez. 1^, 17 novembre 2006, n. 24498; 4 marzo 1998, n. 2392).

La predetta valutazione risulta compiuta, nella specie, attraverso il rilievo attributo dalla Corte d’Appello alla retribuzione percepita dalla figlia maggiorenne e la conseguente constatazione dell’avvenuto completamento da parte della stessa del processo di formazione ed avviamento al lavoro, che la ricorrente intenderebbe ora rimettere in discussione, sollecitando un diverso apprezzamento del materiale probatorio, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valu-tazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162; 11 luglio 2007, n. 11489).

4. – E’ parimenti inammissibile il terzo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha posto a suo carico l’80% delle spese del giudizio di appello, senza tener conto dell’avvenuto rigetto dell’appello incidentale proposto dallo St..

Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato di questa Corte è infatti limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr. Cass., Sez. 1^, 22 luglio 2009, n. 17145; Cass., Sez. Ili, 11 gennaio 2008, n. 406).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, mentre l’irrituale costituzione del controricorrente esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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