Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22805 del 12/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/09/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 12/09/2019), n.22805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10365/2014 proposto da:

S.G.W., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIACINTO CARINI 32, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

COPPACCHIOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato EUGENIO GALASSI;

– ricorrente –

contro

M.I.U.R. MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1213/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/10/2013 R.G.N. 1213/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza n. 1213/2013, pronunciando sulle opposte impugnazioni, in accoglimento di quella proposta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dichiarava prescritto il diritto azionato dal Dott. S.G.W., laureato in medicina e ammesso alla frequenza di un corso universitario di specializzazione a partire dall’anno accademico 1989/1990, che aveva convenuto in giudizio il Ministero per ottenerne la condanna al pagamento in suo favore del trattamento economico pari alla borsa di studio per la frequenza di detto corso, a titolo di inadempimento dell’obbligo dello Stato alla trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (ed in particolare della direttiva CEE n. 82/76) prevedenti l’obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando.

1.1. La Corte di appello riteneva prescritto il diritto, in difetto di atti interruttivi della prescrizione entro il 27 ottobre 2009 (il ricorso introduttivo era stato depositato il 22.10.2010 e la richiesta di tentativo di conciliazione risaliva al 1.6.2010), ossia entro il decennio decorrente dal 27 ottobre 1999, giorno successivo alla data di pubblicazione in G.U. della L. n. 370 del 1999.

2. Per la cassazione di tale sentenza lo Sciamanna ha proposto ricorso affidato ad un motivo.

3. Quanto all’instaurazione del contraddittorio nel giudizio di legittimità, deve rilevarsi la nullità della notifica del ricorso eseguita presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato; a fronte di tale nullità, è ammissibile la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c., comma 1 (ex plurimis, Cass. S.U. n. 608 del 2015, nonchè Cass. nn. 19702 e 9411 del 2011, n. 22767 del 2013, n. 22079 del 2014, n. 710 del 2016).

3.1. Tuttavia, poichè il ricorso deve essere respinto per le ragioni che verranno di seguito esposte, l’esigenza di speditezza nella definizione del giudizio giustifica l’omissione degli adempimenti funzionali alla regolarizzazione del contraddittorio, i quali implicherebbero un prolungamento dei tempi processuali senza alcuna incidenza sull’esito del giudizio medesimo.

3.2. Trova difatti applicazione il principio, affermato da questa Corte, secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass. n. 15106 del 2013; Sezioni Unite, n. 23542 del 2015).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2946 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto prescritto il diritto azionato con il ricorso introduttivo, omettendo di considerare che l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di corretta trasposizione degli obblighi che discendono dal diritto comunitario ha natura permanente e che, in caso di illecito permanente, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria comincia a decorrere dalla cessazione della condotta dannosa.

2. Il ricorso è infondato.

3. Con la sentenza delle S.U. n. 10813 del 2011 è stato chiarito che, in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria. Tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità “contrattuale”, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicchè il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione (conf. Cass. S.U. n. 10814 del 2011, Cass. 17350 del 2011).

4. La giurisprudenza successiva ha ribadito che, a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11 (in tali termini Cass. n. 23199 del 2016; v. pure Cass. n. 3653 del 2016, n. 24075, 11034, 11221 e 11220 del 2015, e n. 23635 e 6606 del 2014; da ultimo, Cass. 13758 del 2018).

5. Ne discende che il diritto al risarcimento del danno da mancata adeguata remunerazione della frequenza della specializzazione del Dott. S. era da ritenere prescritto – come correttamente affermato dalla Corte territoriale -, non avendo il medesimo agito giudizialmente o compiuto atti interruttivi del corso della prescrizione decennale entro il 27 ottobre 2009.

6. In conclusione, il ricorso va respinto. Nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, non essendovi attività difensiva del MIUR.

7. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2019

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