Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22722 del 11/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 11/09/2019), n.22722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24317-2018 proposto da:

Z.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA

MAESTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 164/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 02/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 164/2018, la Corte di appello di Trieste confermò l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., resa il 25/26 maggio 2017 dal tribunale della medesima città, reiettiva del ricorso proposto da Z.I. contro la decisione del 12/10/2016 della Commissione Territoriale che gli aveva negato la protezione internazionale. Quella corte: i) ritenne non credibile il racconto del dichiarante, in nessun modo avallato dall’articolo di giornale asseritamente descrittivo dell’episodio di criminalità da lui subito; ii) escluse il riconoscimento di qualsivoglia forma di protezione, ritenendone insussistenti, alla stregua delle descritte condizioni socio politiche della zona del Pakistan di sua provenienza, le condizioni necessarie per il relativo riconoscimento, rimarcando, altresì, quanto alla invocata protezione sussidiaria, l’assenza di qualsivoglia individualizzazione del prospettato pericolo, e circa quella cd. umanitaria, la carenza di allegazione di ragioni personali di fragilità.

2. Avverso questa sentenza Z.I. propone ricorso, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno, evidenziando di non essersi costituito nei termini di legge mediante controricorso, ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di eventualmente partecipare all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,14 e 17, recante Attuazione della direttiva 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 32, comma 3, recante Attuazione della direttiva 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati”. Premettendosi di prestare acquiescenza al diniego dello status di rifugiato e di voler insistere solo per il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, di quella umanitaria, si censura l’affermazione della corte territoriale secondo cui “va negato il riconoscimento generalizzato della protezione sussidiaria a tutti i richiedenti provenienti da qualsiasi area del Pakistan”: un siffatto assunto, privo di qualsivoglia corollario nella normativa vigente, risulterebbe giustificato esclusivamente sull’assunto che la regione di provenienza del ricorrente non sarebbe toccata da episodi (caratterizzanti la vita socio politica del Pakistan) idonei alla concessione della protezione sussidiaria;

II) “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati”. Invocandosi i divieti di espulsione e di respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere soggetto a persecuzione o possa rischiare di essere rinviato in un altro Stato in cui potrebbe non essere protetto dalla Costituzione, il ricorrente rappresenta di essere transitato in Libia, e critica la sentenza impugnata laddove non ah soddisfatto l’obbligo motivazionale riguardo alle condizioni di detta nazione;

III) “Omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”. Si ascrive alla corte triestina di aver basato la propria decisione, in parte qua, esclusivamente sulla mancata allegazione di motivi di carattere personale che possano giustificare il riconoscimento della menzionata protezione, senza valutare la situazione complessiva del Pakistan.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Esso, peraltro, mostra di non cogliere integralmente la ratio decidendi posta dalla corte giuliana a fondamento della sua pronuncia di diniego della protezione sussidiaria.

2.1.1. Quel giudice, infatti, in primo luogo, ha condiviso il giudizio di non credibilità del racconto del richiedente già formulato dalla commissione territoriale e dal tribunale (nè, su questo punto, si è oggi formulato uno specifico motivo di impugnazione), ritenendo impossibile collegare l’attentato ad un imprenditore edile descritto dall’articolo di stampa da lui prodotto all’episodio dal medesimo narrato; successivamente ha affermato che “esclusa la individualizzazione del pericolo, va negato il riconoscimento generalizzato della protezione sussidiaria a tutti i richiedenti provenienti da qualsiasi area del Pakistan. L’opposto percorso logico dell’appello spazia su vari aspetti critici che affliggono il Paese in questione, ma non li contestualizza a quella che è la situazione personale del singolo che va vestita proprio con un pericolo concreto che quello correrebbe in caso di rimpatrio nella città in cui abitava al momento della fuga. Le osservazioni dell’appellante si appuntano su alcuni mali sociali che affliggono tutto il Paese, al pari di altri che però sono confinati solo in determinate zone dell’intera Nazione, nessuna delle quali comprende il distretto locale di provenienza dell’appellante, distretto di Gujrat, ubicato nell’area economicamente più sviluppata del Punjab” (cfr. pag. 9-10 della sentenza impugnata); da ultimo, ha esaustivamente descritto, specificando le fonti consultate per la formazione del proprio convincimento, la situazione socio politica della zona di provenienza del ricorrente, alla stregua della quale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

2.1.2. Il giudice di merito, dunque, dopo aver svolto un insindacabile accertamento di fatto sulla non credibilità della narrazione del ricorrente, ed aver esaminato la condizione politico-sociale del suo Paese di provenienza, ha correttamente negato la protezione suddetta.

2.1.3. Le generiche argomentazioni del motivo in esame, invece, obliterano totalmente il pacifico principio secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e. non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007). In altri termini, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, perchè la corrispondente doglianza (la situazione socio politica della Libia, asserito Paese di transito dell’odierno ricorrente) mira ad un accertamento di elementi fattuali che non risultano aver formato oggetto di specifici motivi di appello, nè sono comunque trattati nella sentenza impugnata, e che, comunque, non vengono indicati nel loro “se, come, quando e dove” essi siano stati posti al giudice di merito (cfr. Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004).

4. Analoga sorte, infine, merita il terzo motivo, atteso che la sentenza predetta è stata depositata il 2 maggio 2018, sicchè trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, a tenore del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. E’ noto, peraltro, come, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. n. 8053 del 2014), la norma consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione d legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, un esito diverso della controversia (cfr. Cass. n. 2038 del 2019, in motivazione; Cass. n. 14014 del 2017, in motivazione; Cass. n. 9253 del 2017, in motivazione; Cass. n. 7472 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” Cass. n. 14014 del 2017, in motivazione; Cass. n. 9253 del 2017, in motivazione).

4.1. Nel caso in esame, invece, il ricorrente lungi dall’indicare, riproducendone in ricorso la relativa deduzione, un preciso fatto storico già rappresentato innanzi al giudice di merito e che questi avrebbe omesso di esaminare, si limita esclusivamente a prospettare, affatto genericamente, l’asserita mancata valutazione della situazione generale del Pakistan: ponderazione, invece, effettuata dalla corte giuliana, anche con specifico riferimento alla zona di provenienza del ricorrente, ed arricchita dalla ulteriore considerazione (qui nemmeno specificamente impugnata), del non avere l’istante allegato alcun specifico motivo di fragilità a sostegno della invocata richiesta di protezione umanitaria.

5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità attese le descritte finalità dell'”atto di costituzione” del Ministero dell’Interno, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico del ricorrente (cui risulta essere stata negata l’avvenuta ammissione al patrocinio a spese dello Stato), del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, risalendo il suo ricorso al 25 luglio 2018).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019

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