Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22581 del 10/09/2019

Cassazione civile sez. II, 10/09/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 10/09/2019), n.22581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27855 – 2015 R.G. proposto da:

F.M., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Giuseppe Avezzana, n. 3, presso lo studio dell’avvocato

Raffaella Turini che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Paolo Pasetto la rappresenta e difende in virtù di procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.L., – c.f. (OMISSIS) – R.F. – c.f. (OMISSIS)

– elettivamente domiciliati in Roma, alla viale delle Milizie, n.

38, presso lo studio dell’avvocato Sergio Blasi che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Paolo Franceschini ed all’avvocato

Chiara Castelli li rappresenta e difende in virtù di procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e

Z.V., – c.f. (OMISSIS) -;

– intimata –

avverso la sentenza della corte d’appello di Venezia n. 2088 dei

16.6/1.9.2015, udita la relazione nella camera di consiglio del 14

marzo 2019 del consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato il 26.2.2007 F.M. e Z.V., proprietarie dell’immobile in (OMISSIS), citavano a comparire dinanzi al tribunale di Verona M.L. e R.F., proprietari del fondo confinante.

Esponevano che in virtù del titolo d’acquisto, ovvero di contratto in data 17.11.1962, l’immobile di loro proprietà fruiva, ai fini dell’accesso alla (OMISSIS), di servitù di passaggio a carico del fondo dei convenuti attraverso una striscia di terreno larga quattro metri, collocata nella porzione sud del fondo servente; che un cancello pedonale immetteva dall’immobile di loro proprietà nel fondo servente ed un cancello carraio immetteva dal fondo servente nella pubblica via.

Esponevano che i convenuti nel maggio del 2006 avevano contestato la servitù e ne avevano impedito l’esercizio precludendo il transito attraverso i cancelli.

Chiedevano accertarsi e darsi atto della servitù di passaggio di cui fruiva il loro immobile nonchè farsi ordine ai convenuti di astenersi da qualsivoglia comportamento idoneo ad ostacolarne l’esercizio.

Si costituivano M.L. e R.F..

Eccepivano l’intervenuta prescrizione dell’avverso diritto; che in particolare della servitù non si era fatto uso a decorrere dal 1961 e sino, quantomeno, al 1998; che durante tale lasso temporale il muretto con la sovrastante rete posto a delimitazione del loro fondo aveva impedito il passaggio.

Instavano per il rigetto della domanda attorea.

All’esito dell’istruzione, con sentenza n. 86/2011 l’adito tribunale dichiarava l’intervenuta prescrizione della servitù e rigettava la domanda delle attrici.

Proponevano appello F.M. e Z.V..

Resistevano M.L. e R.F..

Con sentenza n. 2088 dei 16.6/1.9.2015 la corte d’appello di Venezia rigettava il gravame, confermava l’appellata statuizione e condannava in solido gli appellanti alle spese del grado.

Avverso tale sentenza F.M. ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

M.L. e R.F. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

Z.V. non ha svolto difese.

La ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o 4, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2729,2733,2734 e 2938 c.c. nonchè dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c..

Deduce che gli originari convenuti – proprietari del fondo servente – hanno allegato che i fondi erano stati divisi per almeno venti anni da una recinzione che aveva impedito l’esercizio della servitù; che siffatta prospettazione è stata reiteratamente contestata dalle originarie attrici.

Deduce dunque che a fronte delle formulate contestazioni sarebbe stato onere dei convenuti dar dimostrazione del fatto allegato nè tale onere probatorio la corte di merito avrebbe potuto vanificare alla stregua del rilievo di non credibilità delle medesime contestazioni.

Deduce inoltre che – in sede di interrogatorio formale – le originarie attrici hanno sì dato atto dell’esistenza di una recinzione idonea ad impedire il passaggio, ma solo e limitatamente al periodo compreso tra l’1.6.1978 ed il 31.5.1997, epoca in cui il fondo dominante era stato locato a terzi; ed hanno sì riferito che le chiavi del cancello erano detenute dagli originari convenuti, ma all’occorrenza ne richiedevano a costoro la consegna.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o 4, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1073,1075,2733 e 2734 c.c..

Deduce che, onde far transitare la gru di proprietà del proprio coniuge, da utilizzare ai fini della ristrutturazione dell’immobile ubicato sul fondo dominante, le iniziali attrici scelsero di avvalersi del passaggio attraverso il fondo servente; che a tale scopo il giorno 23.7.1997 si provvide con l’ausilio degli iniziali convenuti, siccome è emerso dalle dichiarazioni da costoro rese, alla rimozione della rete.

Deduce quindi che la rimozione della rete ed il passaggio della gru, atti inequivocabili di esercizio della servitù e di riconoscimento della servitù, valsero senz’altro quali atti di interruzione della prescrizione ventennale.

Deduce poi che pur il passaggio sporadico dalle attrici esercitato in epoca antecedente alla consegna delle chiavi del cancello carraio ha costituito esercizio della servitù idoneo ad interrompere il corso della prescrizione.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e/o n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2937 c.c..

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, costituiscono fatti incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione della servitù la consegna alle originarie attrici delle chiavi del cancello che dal fondo servente immetteva sulla pubblica via, l’aver – i proprietari del fondo servente – contribuito alla eliminazione della recinzione ed acconsentito alla sostituzione della recinzione con un permanente cancelletto pedonale di accesso al fondo servente.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

Invero con ciascuno degli esperiti mezzi la ricorrente censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso ai fini del riscontro della prescrizione della servitù di passaggio sia carraio che pedonale (“nel descritto quadro probatorio (…) le conclusioni della Sentenza sono sbagliate: (…)”: così ricorso, pag. 22; “questo fatto interruppe la prescrizione ventennale (…) perchè costituiva (…) un inequivocabile atto di esercizio della Servitù (…); un riconoscimento del diritto di Servitù”: così ricorso, pagg. 25 – 26; “non vi è dubbio che integrano fatti incompatibili con la volontà di valersi dell’asserita prescrizione della Servitù (…): così ricorso, pag. 30).

Del resto questa Corte spiega che la valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione – quando non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei all’effetto interruttivo, come nei casi indicati nei primi due commi dell’art. 2943 c.c. – costituisce apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici o da errori giuridici (cfr. Cass. 18.9.2007, n. 19359; Cass. sez. lav. 21.11.2018, n. 30125).

E spiega ancora che l’accertamento del contenuto ricognitivo di un determinato atto – se del caso anche di contenuto non negoziale, purchè volontario – in quanto idoneo ex art. 2944 c.c. ad interrompere il corso della prescrizione qualora riveli comunque – ancorchè diretto al perseguimento di finalità diverse – la consapevolezza dell’esistenza del diritto, è riservato alla valutazione discrezionale del giudice di merito e non è pertanto sindacabile in Cassazione, se immune da vizi logici ed errori di diritto (cfr. Cass. 18.6.1992, n. 7548; Cass. sez. lav. 21.1.1994, n. 576).

A nulla vale dunque che la ricorrente adduca che “non si lamenta l’errata ricostruzione dei fatti storici, ma l’errore di sussunzione del fatto nella fattispecie normativa” (così memoria, pag. 2).

Negli esposti termini quindi appieno si giustifica l’esame contestuale dei motivi di ricorso. In ogni caso gli spiegati motivi sono destituiti di fondamento.

Ovviamente gli addotti vizi motivazionali rilevano – se del caso – nel segno della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nei limiti di cui alla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Da un canto, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata – e tra le quali di certo non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – si scorge in relazione alle motivazioni cui la corte di Venezia ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte veneziana ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (“quantomeno dal 1968 al 1999/2000 nessuno aveva esercitato il passaggio pedonale e/o carraio sul terreno di proprietà dei convenuti, posto che le (…) appellanti, il loro affittuario (…) avevano sempre utilizzato il passaggio che dalla “via Fosse” consentiva l’accesso alla loro proprietà”: così sentenza d’appello, pag. 8; il transito della gru non ha dato luogo ad un atto interruttivo della prescrizione, essendo legato “all’esigenza di ristrutturazione”: così sentenza d’appello, pag. 9; la richiesta di consegna delle chiavi è “riprova del fatto che lo sporadico passaggio fosse stato concesso a titolo di cortesia e di mera tolleranza da parte dei convenuti, in virtù dei rapporti parentali intercorrenti tra le parti”: così sentenza d’appello, pag. 9).

D’altro canto, la corte lagunare ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa (“bene (…) l’impugnata sentenza ha ritenuto che (…) le presunte titolari della servitù non l’avevano esercitata per almeno un ventennio, mentre le attrici non avevano dimostrato la sussistenza di alcun atto di interruzione della prescrizione”: così sentenza d’appello, pag. 10).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

Vero è, certo, che, in tema di prescrizione delle servitù, la ripartizione dell’onere della prova va risolto applicando il generale principio secondo cui, essendo quella di prescrizione una eccezione in senso proprio, la prova dei fatti su cui l’eccezione si fonda (art. 2697 c.c., comma 2), deve darsi da chi l’ha proposta, con la dimostrazione che il titolare della servitù non l’ha esercitata per almeno un ventennio (cfr. Cass. 12.6.1991, n. 6647).

E tuttavia nessuna violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. si configura nella fattispecie.

Propriamente la corte di merito ha debitamente atteso al vaglio delle risultanze istruttorie ed all’esito ha congruamente opinato per la “non credibilità” delle contestazioni delle originarie attrici (la corte di merito ha specificato che “non appariva plausibile che, in presenza di un diritto di passo pedonale asseritamente esercitato con regolarità, le attrici avessero consentito la costruzione del muretto di cemento ed il posizionamento di una rete che, evidentemente, lo ostacolavano”: così sentenza d’appello, pag. 7; che “non appare di certo credibile che le attrici avessero transitato sul fondo dei convenuti con mezzi meccanici capaci di scavalcare, fino al 1998, un muretto, dovendosi considerare che fino al luglio 2005 le medesime non disponevano neanche delle chiavi del cancello carraio”: così sentenza d’appello, pag. 7).

Comunque, in fondo, la ricorrente censura l’asserita omessa ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“la Corte territoriale (…) avrebbe dovuto procedere a un prudente apprezzamento di tutte le dichiarazioni rese dalle Attrici”: così memoria, pag. 7).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

Due finali puntualizzazioni si impongono.

In primo luogo, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In secondo luogo, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale – è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Ovviamente, quando alla confessione si accompagna la dichiarazione di altri fatti o circostanze tendenti ad infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o ad estinguerne gli effetti, se la controparte contesta le dichiarazioni (è il caso di specie), il confidente ha l’onere di provare i fatti e le circostanze aggiunte, restando affidato al giudice, in difetto di tale prova, l’apprezzamento secondo le circostanze dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni stesse (cfr. Cass. 27.9.2000, n. 12803).

F.M., giacchè soccombente, va condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese – liquidate come da dispositivo – del presente giudizio di legittimità.

Z.V. non ha svolto difese; nessuna statuizione in ordine alle spese va nei suoi confronti assunta.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, F.M., a rimborsare ai controricorrenti, M.L. e R.F., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. Seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019

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