Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22168 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 05/09/2019), n.22168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8472-2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ANTONIO SINESIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO CAPONNETTO;

– ricorrente –

contro

V.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PINO’, rappresentato e

difeso dagli avvocati EMILIO DEJOMA, GIUSEPPE LO DICO;

– controricorrente –

e contro

G.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 809/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/05/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Agrigento, con sentenza n. 1453/2010, rigettava le domande, proposte da V.C. nei confronti di G.A. e L., aventi ad oggetto la condanna al pagamento della indennità di occupazione di un immobile ad uso magazzino, oltre al risarcimento del danno per lucro cessante, rilevando che la immissione in possesso era stata assentita dallo stesso V. con la stipula, in data 7.7.2000, del preliminare di vendita del predetto immobile; rigettava altresì la domanda riconvenzionale di esecuzione del preliminare, proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. dal promissario acquirente G.A., ostandovi la L. n. 47 del 1985, art. 13, in quanto l’immobile risultava affetto da difformità -sanabili ma non condonate- rispetto al progetto della originaria licenza edilizia n. (OMISSIS); dichiarava inoltre inammissibili, le altre domande riconvenzionali subordinate, in quanto proposte tardivamente dal G. soltanto alla udienza di precisazione delle conclusioni, aventi ad oggetto sia la condanna del V. al pagamento delle somme necessarie alla sanatoria urbanistica (qualificata come domanda “quanti minoris” ex art. 1492 c.c.), sia la pronuncia di risoluzione del preliminare e la condanna al risarcimento del danno.

La sentenza del Tribunale, gravata dall’appello principale del V. e dall’appello incidentale del G., veniva integralmente confermata dalla Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 26.4.2017 n. 809, impugnata da G.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi ed illustrato con memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. depositata in Cancelleria a mezzo posta.

Resiste con controricorso V.C..

Non ha svolto difese G.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata inammissibile la memoria illustrativa depositata dal ricorrente a mezzo posta, in quanto pervenuta soltanto in data 21 maggio 2019, oltre il termine di dieci giorni prima della adunanza camerale prescritto dall’art. 380 bis.1 c.p.c..

Ed infatti l’art. 134, comma 5, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della memoria, perchè il deposito di quest’ultima è esclusivamente diretto ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo – rispetto alla udienza di discussione – ritenuto necessario dal legislatore e che l’applicazione del citato art. 134 finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare, con lesione del diritto di difesa delle controparti (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 17726 del 04/08/2006; id. Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011; id. Sez. 2, Sentenza n. 7704 del 19/04/2016; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8835 del 10/04/2018).

Venendo all’esame dei motivi del ricorso il Collegio osserva quanto segue.

Primo motivo: omessa pronuncia, violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c. e della L. n. 47 del 1985, art. 40.

Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe erroneamente omesso di pronunciare sulla domanda di esecuzione si forma specifica del contratto preliminare, sulla quale il G. aveva insistito alla udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, in quanto le difformità urbanistiche riscontrate in esito alle indagini peritali svolte dal CTU non palesavano una “totale difformità” dalla originaria licenza edilizia, trattandosi di modifiche interne all’immobile, comunque sanabili, e per le quali lo stesso G. aveva presentato domanda di condono in data 30.12.1986, come accertato dallo stesso ausiliario, non sussistendo quindi impedimenti alla pronuncia costitutiva del trasferimento della proprietà.

Indipendentemente dalla imprecisa allegazione del vizio di “omissione di pronuncia” -vizio di nullità processuale che sottende la violazione dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c.-, atteso che la Corte d’appello, sia pure stringatamente, sul punto ha fornito una risposta statuendo che, non avendo l’appellante G. contestato il carattere abusivo dell’immobile, la difformità urbanistica del bene rendeva impossibile alla Corte distrettuale pronunciare il trasferimento ai sensi dell’art. 2932 c.c., osserva il Collegio che il nucleo della censura viene dal ricorrente interamente incentrato, piuttosto, sul vizio incidente sull’attività di giudizio per asserita violazione della L. n. 47 del 1985, art. 40, essendo addotta dal ricorrente l’errata interpretazione di tale norma urbanistica che sanzionava la nullità degli atti di compravendita aventi ad oggetto diritti reali soltanto nei casi più gravi di assenza del titolo edilizio o di “totale” difformità delle opere eseguite rispetto al progetto assentito. L’agevole individuazione delle ragioni di doglianza e dell’esatto vizio di violazione di norme di diritto denunciato, consente l’accesso della censura al sindacato di legittimità atteso che, in tema di ricorso per cassazione, la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 14026 del 03/08/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 21/01/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12690 del 23/05/2018).

Tanto premesso risulta dalla esposizione in fatto del ricorso per cassazione che G.A. in primo grado, costituendosi in giudizio (ricorso pag. 6), aveva proposto: a) domanda riconvenzionale volta ad ottenere la pronuncia costitutiva degli effetti del contratto non concluso ex art. 2932 c.c., che era stata rigettata dal Tribunale per mancanza di conformità urbanistica dell’immobile; b) domanda, formulata alla udienza di precisazione delle conclusioni, di condanna del V. al pagamento delle spese necessarie al conseguimento della sanatoria edilizia, qualificata come “actio quanti minoris” dal Tribunale e quindi dichiarata inammissibile per novità in quanto tardiva in grado di appello, proponendo appello incidentale (ricorso pag. 7) avverso entrambe le predette statuizioni della decisione di prime cure, aveva insistito: a) nella domanda di esecuzione specifica del contratto preliminare ex art. 2932 c.c., che veniva rigettata dalla Corte d’appello confermando sul punto la statuizione del Tribunale; b) nella domanda di condanna del V. al pagamento delle spese necessarie al condono edilizio, qualificata dalla Corte d’appello come domanda subordinata proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. ma “condizionata” al conseguimento della sanatoria edilizia a cura e spese del V., ed in ordine alla quale il Giudice territoriale confermava la statuizione del Tribunale di inammissibilità per novità, e -erroneamente riferendosi all’actio redhibitoria anzichè alla quanti minoris- riteneva anche infondata, in quanto: le difformità del bene rispetto al progetto assentito determinavano la assoluta incommerciabilità e non la mera riduzione di valore dell’immobile; la condizione aveva ad oggetto inammissibilmente un “facere” infungibile e la condanna a favore di terzi (il Comune ed il professionista cui demandare la pratica di sanatoria) estranei al giudizio; in ogni caso tale condizione introduceva un elemento ulteriore e diverso dalle obbligazioni assunte dalle parti con il preliminare di vendita, venendo meno quella assoluta corrispondenza degli effetti tra preliminare e definitivo richiesta dall’art. 2932 c.c..

Il primo motivo di ricorso con il quale si impugna la statuizione della Corte distrettuale che rigetta, per assoluta incommerciabilità dell’immobile, la domanda -proposta in via principale- di esecuzione degli obblighi derivanti deal preliminare stipulato in data 7.7.2000, è fondato.

In tema di contratti di vendita immobiliare di edifici o loro parti, la nullità dei contratti comminata dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17 (con riferimento agli immobili eseguiti dopo la entrata in vigore della legge) e art. 40 (con riferimento agli immobili eseguiti prima o dopo la data 1.9.1967) (la prima delle due norme, successivamente abrogata è stata sostanzialmente riprodotta, nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46 -recante “testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari dell’edilizia”-, con riferimento agli immobili costruiti, rispettivamente, prima o dopo la data 17.3.1985 di entrata in vigore della L. n. 47 del 1985), attiene alla mancanza di “requisiti dichiarativi” prescritti per la stipula della compravendita -che assumono al tempo stesso rilevanza formale e sostanziale- e non afferisce, quindi, alla illiceità dell’oggetto dell’atto negoziale “inter vivos”, non essendo in alcun modo desumibile dal testo legislativo, tanto in base al criterio ermeneutico letterale quanto a quello teleologico, l’impiego della sanzione della nullità quale vizio di invalidità “strutturale” del negozio traslativo, non avendo inteso il Legislatore inserire la “conformità dell’immobile allo strumento urbanistico” tra gli elementi essenziali, perfezionativi del contratto traslativo della proprietà.

A tale conclusione sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo definitivamente il contrasto giurisprudenziale insorto tra l’indirizzo cd. formalista e quello invece sostanzialista, ed indicando come corretto il primo dei due orientamenti (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 8230 del 22/03/2019).

Il percorso ermeneutico delle Sezioni Unite, al quale il Collegio intende aderire, è il seguente.

La L. n. 47 del 1985 all’art. 17, comma 1, stabiliva che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’art. 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”, mentre l’art. 40 della medesima L. n. 47 del 1985, non oggetto di abrogazione, dispone al comma 2: “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitu, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al comma 6 dell’art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo.”.

La L. n. 47 del 1985, art. 17 è stato abrogato dal D.P.R. n. 380 del 2001 che ha riprodotto, sostanzialmente, le medesime disposizioni nell’art. 46.

Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, comma 1, infatti, dispone che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.” Il comma 4 dispone che “Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa”.

Le disposizioni in questione non consentono di pervenire alla conclusione che il bene, pure se difforme in senso sostanziale dalle prescrizioni urbanistiche contenute nel titolo edilizio (licenza, concessione, permesso), costituisca “res extra commercium”, dovendosi distinguere al proposito l’elemento “formale-dichiarativo” la cui mancanza è oggetto della sanzione della nullità che opera nei rapporti privatistici, dalla condotta illecita per violazione delle norme urbanistiche, che vede come parte offesa esclusivamente l’Amministrazione pubblica, e che trova, invece, sanzione sul piano del diritto amministrativo, nel provvedimento di demolizione D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 31, comma 2 e 3, (assenza di titolo; totale difformità da esso; variazioni essenziali non consentite), e del diritto penale, qualificandosi le condotte descritte dall’art. 44 e dall’art. 64, comma 5 come illecito penale a carattere permanente. La norma, infatti, richiede ai fini della validità del negozio la “dichiarazione” della parte alienante indicativa degli “estremi” del permesso di costruire, o del permesso in sanatoria (per la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, è sufficiente anche la indicazione degli estremi della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, e dei versamenti delle rate relative alla oblazione), o della segnalazione certificata di inizio di attività, o ancora -ma solo per le opere iniziate anteriormente al 1.9.1967: L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, – la “dichiarazione sostitutiva di atto notorio” attestante che l’opera è iniziata anteriormente alla data predetta (nel particolare caso di abusività dell’immobile sopravvenuta all’annullamento del titolo edilizio, operato in sede di autotutela o in sede giurisdizionale amministrativa, cui è conseguita soltanto una sanzione pecuniaria, è richiesto ai fini della validità dell’atto di vendita la prova documentale della integrale corresponsione della sanzione amministrativa pecuniaria che “produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria”: D.P.R. n. 380 del 2001, art. 38, comma 2).

Tale precisa scelta legislativa, confermata ulteriormente dalla puntuale individuazione degli atti da sottoporre a sanzione di nullità (rimangono esclusi i trasferimenti di diritti reali mortis causa, i preliminari di vendita e gli atti ad effetti obbligatori, i diritti reali di garanzia e le servitù, nonchè gli atti di trasferimento compiuti in sede di procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali), non consente di estendere la portata sanzionatoria della invalidità del contratto oltre i limiti che la stessa norma ha inteso stabilire, tanto più considerando che la previsione della possibilità di “conferma” dell’atto invalido, non richiede affatto un controllo sostanziale della conformità urbanistica del bene, ma soltanto un recupero “ex post” dell’elemento formale-dichiarativo mancante nel contratto, che presuppone quale unica condizione la “effettiva esistenza”, al tempo della stipula del negozio, del titolo edilizio o della domanda di concessione in sanatoria (ossia l’effettivo rilascio del provvedimento amministrativo o l’effettiva presentazione della domanda di sanatoria), o ancora -limitatamente alle ipotesi disciplinate dalla L. n. 47 del 1985. art. 40 – del presupposto cronologico dell’effettivo “inizio delle opere” in data

anteriore all’1.9.1967. Ciò che dunque viene richiesto dalla norma non è la corrispondenza tra la situazione dell’immobile e la conformità urbanistica che risulta dal titolo, quanto piuttosto la corrispondenza della “dichiarazione” della parte alienante -resa contestualmente alla stipula dell’atto o “recuperata” successivamente mediante il procedimento di conferma-, rispettivamente, ad un titolo edilizio realmente rilasciato dalla autorità competente e recante gli “estremi” indicati, o all’elemento cronologico della data di inizio delle opere, in tal senso assolvendo detta dichiarazione alla funzione di assicurare la possibilità per l’acquirente di esperire le opportune indagini per verificare la regolarità urbanistica -anche sul piano sostanziale- del bene compravenduto, così da determinarsi consapevolmente, nel caso di accertata difformità edilizia, in ordine alla scelta di stipulare egualmente o meno e di apprezzare l’effettivo valore commerciale da attribuire al bene in relazione alla sua diversa qualità giuridica.

Le Sezioni Unite sono pervenute, pertanto, alla conclusione che “in costanza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile, il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità”, rilevando che la soluzione adottata “ha il pregio di rendere chiaro il confine normativo dell’area della non negoziabilità degli immobili, a tutela dell’interesse alla certezza ed alla sicurezza della loro circolazione”, realizzando “la sintesi tra le esigenze di tutela dell’acquirente e quelle di contrasto all’abusivismo; in ipotesi di difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell’atto e costruzione, l’acquirente non sarà esposto all’azione di nullità, con conseguente perdita di proprietà dell’immobile ed onere di provvedere al recupero di quanto pagato, ma, ricorrendone i presupposti, potrà soggiacere alle sanzioni previste a tutela dell’interesse generale connesso alle prescrizioni della disciplina urbanistica”.

Nella specie risulta dagli atti che:

– la domanda di esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre ex art. 2932 c.c. è fondata sulla scrittura privata, relativa a preliminare di vendita immobiliare, stipulata in data 7.7.2000, richiamata nel suo contenuto essenziale dal ricorrente (vedi pag. 3 ricorso): dagli atti tuttavia non risulta, nè vi è allegazione di parte in proposito, che, nel preliminare, il V. -promittente alienante- abbia reso la dichiarazione prescritta a pena di nullità dell’atto definitivo dalla L. n. 47 del 1985 e dal D.P.R. n. 380 del 2001;

– dalle indagini svolte in primo grado dall’ausiliario, l’immobile oggetto del preliminare risulta dotato di licenza edilizia n. 108, rilasciata in data 17.7.1974, ma sullo stesso sono state successivamente realizzate modifiche che lo rendono attualmente difforme dal progetto originario assentito dal titolo;

– risulta che l’ausiliario che ha svolto la c.t.u. in primo grado ha rilevato che erano pendenti pratiche di condono edilizio del magazzino, tra cui la domanda prot. 2212/b presentata in data 30.12.1986 da G.A. in qualità di promissario acquirente (tale domanda risulta prodotta in allegato, come doc. 5, ai ricorso per cassazione ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4: ricorso pag. 6).

Orbene i per consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di esecuzione di forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, non può essere emanata sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c. in assenza della dichiarazione, contenuta nel preliminare, o successivamente prodotta in giudizio, sugli estremi della concessione edilizia, che costituisce requisito richiesto a pena di nullità dalla L. n. 47 del 1985, art. 17, o in assenza della dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo L. n. 47 del 1985, ex art. 40, attestante che l’opera è stata realizzata in data anteriore al 2 settembre 1967, che integrano una condizione dell’azione ex art. 2932 c.c., non potendo tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia negoziale: la relativa mancanza è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità se la soluzione della questione non richieda indagini non compiute nei precedenti gradi del giudizio e siano acquisiti agli atti tutti gli elementi di fatto da cui desumersi, atteso l’interesse pubblico all’ordinata trasformazione del territorio e le peculiarità della sentenza ex art. 2932 c.c..

Tuttavia in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, la sussistenza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensì una condizione dell’azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite, con la conseguenza che la carenza del relativo documento non soltanto è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, con l’ulteriore conseguenza che sia l’allegazione, che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purchè prima della relativa decisione. Ed infatti, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica dell’immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c., altrimenti venendosi irragionevolmente a privare di ogni effettività la stessa tutela accordata dall’ordinamento al soggetto a favore del quale debbono prodursi gli effetti acquisitivi del diritto reale, prenotati con la stipula del preliminare (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 23825 del 11/11/2009; id. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 8489 del 29/04/2016; id. Sez. 2 -, Ordinanza n. 6684 del 07/03/2019).

Bene dunque il G. potrà integrare nel corso del giudizio, alla stregua dai fatti accertati, l’elemento formale mancante nel contratto definitivo, rendendo anche a verbale la dichiarazione degli estremi della licenza edilizia o della domanda di condono, risultando in tal modo assolto il requisito di perfezionamento del contratto di compravendita immobiliare prescritto a pena di nullità.

L’affermazione che l’immobile in questione, indipendentemente dalla corrispondenza della reale situazione del bene al titolo urbanistico effettivamente rilasciato, deve ritenersi “res in commercium”, determina l’assorbimento dell’esame del secondo motivo di ricorso concernente la richiesta di risarcimento del danno “per avere il promittente promesso in vendita un immobile non commerciabile”.

In conseguenza il primo motivo di ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa al Giudice di merito affinchè, attenendosi all’indicato principio di diritto, disponga per un nuovo giudizio provvedendo all’esito a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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