Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22046 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. II, 03/09/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 03/09/2019), n.22046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13321/2015 proposto da:

A.N. & FIGLI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AVEZZANA 1, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO ZATI;

– ricorrente –

contro

FINIM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo

studio dell’avvocato BARTOLO SPALLINA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FABIO MENICHETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1946/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado, accogliendo l’impugnazione della s.p.a. FINIM, revocò il decreto ingiuntivo emesso per l’ammontare di Lire 27.072.000, equivalenti a Euro 13.981,52, in favore dell’appellante s.r.l. A.N. & Figli, il cui credito, quale corrispettivo di fornitura di materiali edili, giudicò sfornito di prova;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre la A., prospettando cinque motivi di censura e che l’intimata resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria;

ritenuto che con il primo, il secondo e il terzo motivo, fra loro osmotici, la ricorrente denunzia violazione degli artt. 115 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo, in sintesi, che:

– era rimasta provata la fornitura del materiale, di cui una parte era stata messa in opera nell’edificio alberghiero facente capo alla resistente;

– la Corte d’appello “non ha esaminato nè ha deciso completamente su un punto di censura della sentenza del Tribunale”, stante che “nel giudizio di merito, i fatti hanno accertato che vi è stata una fornitura A. nel cantiere di proprietà della FINIM” ed è evidente che quest’ultima era “titolare dell’ordine”;

– la controparte non aveva “offerto alcun principio di prova in merito alla circostanza da essa posta a fondamento della sua posizione (… di non aver ordinato la merce), così come invece sarebbe stato suo onere fare, proprio a suffragio dell’assolvimento dell’assenza delle proprie obbligazioni”; nel mentre era rimasto provato che l’ordine, effettuato da tale G.N., con l’indicazione delle misure del taglio, era stato ricevuto all’interno del laboratorio della ricorrente e ciò constava dall’interrogatorio formale dello stesso A.E.; quel che era accaduto successivamente (ricezione e utilizzo, sia pure in parte, della fornitura) confermava quanto sopra;

– la sentenza non aveva apprezzato, nel rispetto dell’art. 2697 c.c., una pluralità convergente d’indizi: la merce era stata consegnata, qualcuno riconducibile alla FINIM l’aveva ordinata, parte del materiale era stato utilizzato, la FINIM non aveva prodotto il titolo giuridico in base al quale il materiale avrebbe potuto essere ordinato da altri utilizzatori della struttura;

considerato che l’insieme censuratorio è destituito di giuridico fondamento tenuto conto di quanto appresso:

a) certamente improprio risulta il richiamo all’art. 112 c.p.c., non constando un difetto di pronunzia, bensì versandosi in presenza di pronuncia non gradita alla ricorrente, che, proprio per questo, con gli stessi motivi qui in esame, ne contesta il contenuto;

b) come peraltro reso evidente dalla struttura del ricorso (diretto, piuttosto che ad enucleare, secondo lo schema a critica vincolata, imposto dall’art. 360 c.p.c. – cfr., ex multis, Sez. 5 n. 19959/2014 -, a rimettere in discussione il complessivo apprezzamento delle emergenze di causa), la ricorrente inammissibilmente mira a devolvere al Giudice di legittima l’intiero vaglio di merito della vicenda;

c) sicchè la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299), apprezzamento che, per contro, la Corte locale ha effettuato, rispettato il principio dell’onere della prova;

d) il punto decisivo, che la ricorrente mostra di non cogliere, fatto oggetto di accertamento fattuale, in questa sede non sindacabile, si sostanzia nella circostanza che la A. non ha assolto l’onere di dimostrare che i materiali edili furono ordinati dalla FINIM, titolare di azienda alberghiera, e non da altro soggetto che aveva in appalto lavori di ristrutturazione dell’albergo, o che svolgeva prestazione d’opera, o, ancora che rivestiva la veste di promissario affittuario dell’azienda, non essendo bastevole a dimostrare il rapporto negoziale il fatto che la fornitura c’era stata;

e) la denunzia di violazioni di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente;

ritenuto che con il quarto e il collegato quinto motivo la ricorrente prospetta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, evidenziando quanto appresso:

– la FINIM con la lettera raccomandata del 28/1/2002, in risposta al sollecito di pagamento inoltrato dal legale della odierna ricorrente, aveva affermato di non aver mai ordinato la merce di cui si discute, chiedendo alla A., che aveva emesso la relativa fattura, di procedere a far luogo alla corrispondente nota di credito, da ciò avrebbe dovuto dedursi che la FINIM non aveva contestato la fornitura e “che la merce di cui alla fattura non è stata da (essa) ordinata, ragion per cui non di (sua) competenza e viene richiesta la emissione di una nota di credito” e, secondo la comune esperienza, la richiesta della nota di credito presupponeva la contabilizzazione della fattura, implicante il riconoscimento dell’ordine;

– dalla vicenda era dato trarre che, a causa di una lite in corso tra la Edil Service 2000 e la FINIM, sul materiale della pavimentazione esterna (porfido o marmo, entrambi acquistati, il primo pagato e il secondo no) la prima non aveva accettato la fattura della A., dal momento che l’ordine era pervenuto dalla seconda, rappresentata da G.N., richiedendo alla emittente una nota di credito corrispondente, con la conseguenza che la nuova fattura era stata emessa nei confronti della FINIM;

considerato che la critica è, nel suo complesso, radicalmente priva di giuridico fondamento, in quanto:

a) non emerge nessun omesso esame di un fatto primario o secondario, essendo peraltro ben noto che l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, unico vizio motivazionale oramai prospettabile davanti alla Corte di legittimità, è disciplinato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831); requisiti tutti non soddisfatti dal ricorso;

b) anzi, proprio dalla narrazione dei motivi è dato cogliere che la fattura per la fornitura del materiale era stata emessa nei confronti della FINIM solo dopo che altro soggetto (la Edil Service 2000) l’aveva ricusata, ricusazione che aveva, successivamente, manifestato anche la FINIM, negando di aver ordinato la merce;

c) paradossali e contra legem risultano, infine, le conclusioni che la ricorrente ricava dal fatto che la FINIM, ricevuta la fattura, contestando di aver effettuato la commessa, disposta la registrazione contabile della stessa (siccome imposto dalla legge fiscale) aveva chiesto (anche in questo caso, nel pieno rispetto della normativa tributaria) l’emissione di una nota di credito, al fine di pareggiare contabilmente la partita;

considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore della controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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