Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21631 del 23/08/2019

Cassazione civile sez. II, 23/08/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 23/08/2019), n.21631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4275/2015 R.G., proposto da:

E.R., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe D’Ottavio e

Gabriele D’Ottavio, con domicilio eletto in Roma, Via Ottaviano n.

91.

– ricorrente –

contro

MNISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., rappresentato

e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma

Via dei Portoghesi n. 112.

– controricorrente –

e

AGENZIA NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI BENI

SEUQESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITA’ OREGANIZZATA, in persona

del Direttore p.t.;

– intimata –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Reggio Calabria n.

64/2014, depositata in data 12.6.2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.3.2019 dal

Consigliere Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte distrettuale di Reggio Calabria ha respinto l’opposizione proposta da E.R. avverso il decreto di liquidazione dei compensi per le attività di amministrazione e custodia di beni sottoposti a confisca penale, svolte dal ricorrente nell’ambito dei procedimenti n. 75/2005, RG. DDA, n. 86/2006 R.G. GIP DDA e n. 318/2011 R.G. C.A..

In data 23.7.2007 l’ E. era stato nominato custode ed amministratore dei beni facenti parte del patrimonio di quattro diverse aziende, aventi un valore complessivo di Euro 6.400.000,00. Nel corso della procedura aveva ottenuto la liquidazione di acconti, (per un compenso mensile di Euro 2520,00, per il periodo compreso tra il 23.7.2007 ed il 13.11.2007, e di Euro 2000,00 oltre accessori per quello successivo) e, in data 7.5.2013, aveva chiesto la liquidazione finale per le attività svolte dal 9.10.2012 al 13.2.2013 ed il conguaglio per il periodo dal 14.11.2007 al 7.10.2012, pari ad un onorario mensile di Euro 2170,00 per il primo periodo e di Euro 2520,00 per il secondo, con un aumento del 50% per la complessità e la gravosità del lavoro svolto.

La Corte d’appello penale ha riconosciuto un compenso mensile di Euro 2000,00 per l’intero periodo di custodia e amministrazione, rigettando la richiesta di aumento del compenso base e non riconoscendo alcuna somma aggiuntiva a titolo di conguaglio, con provvedimento confermato all’esito dell’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170.

La cassazione dell’ordinanza che ha definito l’opposizione è chiesta da E.R. sulla base di un unico motivo di ricorso.

Il Ministero della giustizia ha proposto controricorso, mentre l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 1362 e del D.M. n. 140 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, esponendo che la Corte d’appello, pur avendo dato correttamente atto che la liquidazione del compenso doveva conformarsi ai criteri oggetto degli accordi tra l’ausiliario ed il giudice e delle tabelle predisposte dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria, ne avrebbe erroneamente individuato il contenuto, non valorizzando il dato letterale e non indagando la reale volontà delle parti.

La Corte avrebbe dovuto considerare il valore del patrimonio amministrato, la qualità dell’opera svolta, la sollecitudine e i risultati ottenuti, il numero di imprese amministrate, e tener conto che, in siffatti casi, la suddetta circolare contempla una maggiorazione del compenso – base fino ad un massimo aumento del 50%, ed un compenso mensile di Euro 2520,00 per l’amministrazione di patrimoni di valore superiore ad Euro 5.200.000.

A parere del ricorrente, le istanze di liquidazione avanzate nel corso della procedura integravano vere e proprie proposte contrattuali che il Giudice aveva recepito (e quindi accettato) nei singoli provvedimenti di pagamento degli acconti.

La liquidazione finale non poteva – quindi – discostarsi dai parametri di cui alla lettera F) della tabella allegata alla Circolare della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, conseguendone che:

a) non era consentito ridurre l’ammontare degli acconti liquidati nel corso della procedura;

b) il ricorrente aveva titolo ad un conguaglio pari alla differenza tra quanto provvisoriamente liquidato nel corso della procedura e quanto risultante dall’applicazione dei criteri di quantificazione concordati con il giudice;

c) a ciascun amministratore giudiziale spettava un compenso autonomo, senza alcuna riduzione in ragione del carattere collegiale dell’incarico;

d) era dovuta la maggiorazione del compenso base alla luce dei risultati ottenuti, per come ampiamente documentati nella relazione finale.

2. Il motivo, nella sua complessa articolazione, non merita accoglimento.

La tesi del ricorrente procede dall’assunto secondo cui che le istanze di liquidazione, avanzate nel corso della procedura, sarebbero equiparabili a vere e proprie proposte contrattuali, divenute vincolanti per il giudice una volta accettate, anche se per implicito, mediante i provvedimenti di pagamento degli acconti, emessi sulla base dei criteri proposti dall’ausiliario (cfr. ricorso pag. 6 e 12).

Tale assunto contrasta – tuttavia – con l’orientamento di questa Corte secondo cui il rapporto che si instaura tra l’amministrazione giudiziaria ed il custode delle cose sottoposte a sequestro ha natura pubblicistica e non privatistica, poichè deriva dall’attribuzione di un ufficio mediante una nomina adottata con atto processuale e non negoziale (Cass. 17375/2018; Cass. 22362/2018; Cass. 11577/2017).

Pertanto, essendo l’amministratore un “ausiliario” del giudice, la determinazione del compenso è prerogativa dell’autorità giudiziaria che è tenuta esclusivamente a conformarsi ai criteri di liquidazione previsti dalla disciplina applicabile in relazione alla natura dell’incarico e all’attività svolta.

Non poteva ritenersi perfezionato alcun accordo tra il ricorrente ed il giudice, che vincolasse quest’ultimo nella quantificazione del compenso, tantomeno in virtù dei provvedimenti con cui erano stati liquidati gli acconti nè, quindi è ammissibile censurare il provvedimento impugnato per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.

2.1. Non sussisteva – inoltre – alcun obbligo di contenere la liquidazione finale entro un importo non inferiore all’ammontare complessivo degli acconti già riconosciuti al ricorrente.

L’attività dell’amministratore giudiziario (come quella del custode) ha carattere unitario e di durata, ossia cessa solo con il provvedimento del giudice che disponga la revoca (o con la definizione del procedimento penale nell’ambito del quale l’amministrazione è stata disposta).

Il carattere di rapporto di durata connota la stessa funzione espletata, che non si esaurisce in un unico atto, ma che è destinata a protrarsi nel tempo fino al conseguimento delle finalità per le quali essa è disposta.

Di conseguenza, se pure è ammissibile l’attribuzione di acconti, come esplicitamente prevede la L. n. 575 del 1965, art. 2 octies, comma 5, e come si riconosce generalmente in tema di sequestri penali, il credito non può ancora considerarsi nè liquido, nè certo fino al momento dell’esaurimento dell’incarico.

I singoli provvedimenti adottati durante la fase di amministrazione integrano statuizioni provvisorie e modificabili e ciò a prescindere dalla loro impugnabilità in pendenza di procedura, poichè l’esperimento dei rimedi impugnatori garantisce solo che anche nella fase dell’amministrazione sia esercitato un costante controllo giurisdizionale sulla gestione dei beni sequestrati nelle varie fasi del suo svolgimento (cfr., in motivazione, Cass. pen. 24815/2016), senza che ciò implichi che detti acconti debbano considerarsi intangibili in mancanza di impugnazione immediata, restando ferma la natura unitaria e continuativa dell’incarico, la quale comporta che sulla misura e sulla spettanza del compenso può provvedersi definitivamente solo ad attività esaurita, tenendo conto dell’impegno profuso e dei risultati raggiunti (Cass. 17375/2018).

2.2. E’ parimenti infondata la richiesta di una maggiorazione del compenso in base all’asserito perfezionamento di un accordo sui criteri di quantificazione, dovendo inoltre rilevarsi che la suddetta maggiorazione è stata motivatamente negata dalla Corte distrettuale, che ha ritenuto congruo l’importo liquidato sia perchè conforme alle previsioni della tabella e ai parametri di riferimento, sia perchè adeguato all’attività svolta, come emergente dalla scarsa documentazioni in atti (cfr. ordinanza, pag. 7).

2.3. Non sussisteva, infine, alcun obbligo di riconoscere un autonomo compenso a ciascuno degli amministratori, in base alle prescrizioni contenute Circolare adottata dal Tribunale di Reggio Calabria, la quale, per quanto detto, non poteva ritenersi vincolante. Il ricorso è quindi respinto, con liquidazione delle spese in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in Euro 5800,00 a titolo di compenso, oltre al pagamento delle spese prenotate a debito.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019

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