Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21511 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, (ud. 01/04/2019, dep. 20/08/2019), n.21511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11548/2015 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in PESCARA, VIA DI VILLA BASILE

n. 4, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ANGLANI,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA ELISA RUBINO, DONATO

ANGLANI;

– ricorrente –

contro

A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. SPONTINI

n. 11, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CLEMENTE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO BIANCHINI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1399/2014 del TRIBUNALE di PESCARA, depositata

il 09/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 26.4.2010 A.C. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 470/2010 emesso dal Giudice di Pace di Pescara in favore di P.A. per il pagamento della somma di Euro 1.237,50 oltre interessi a titolo di compensi per attività professionale prestata dall’ingiungente in favore dell’ingiunta per la tenuta della contabilità degli anni dal 2006 al 2009 compresi.

Nella narrativa dell’atto di citazione in opposizione la A. deduceva di aver già saldato quanto dovuto alla professionista e spiegava domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno connesso a presunti errori commessi dalla commercialista, quantificando il pregiudizio in Euro 3.000 ovvero nella somma diversa di giustizia.

Con sentenza n. 1451/2013 il Giudice di Pace rigettava l’opposizione confermando il decreto opposto e condannando l’opponente alle spese del grado e al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c..

Interponeva appello la A. e si costituiva l’appellata per resistere al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1399/2014, il Tribunale di Pescara accoglieva l’appello dichiarando il credito oggetto del decreto ingiuntivo già saldato e condannando l’appellata alle spese della fase monitoria; rigettava la domanda risarcitoria proposta dall’appellante in via riconvenzionale con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo e compensava le spese del doppio grado del giudizio di opposizione.

Il giudice di seconde cure riteneva in particolare che la prova testimoniale escussa in primo grado avesse confermato l’intervenuto pagamento di quanto dovuto dall’appellante all’appellata per i titoli di cui al ricorso per decreto ingiuntivo; riteneva inoltre non provato il danno di cui alla domanda riconvenzionale.

Ricorre per la cassazione di detta decisione P.A. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso A.C. spiegando a sua volta ricorso incidentale articolato in un motivo.

Ambo le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del

controricorso contenente ricorso incidentale perchè esso risulta notificato dopo la scadenza del termine di cui all’art. 370 c.p.c..

Infatti il ricorso principale è stato notificato il 13.4.2015 e quindi il termine di per la notificazione del controricorso, e per proporre eventuale ricorso incidentale, scadeva il 24.5.2015 con automatica proroga – trattandosi di giorno festivo – al 25.5.2015. La notificazione del controricorso della A. risulta invece richiesta in data 26.5.2015, e quindi successivamente alla scadenza del termine perentorio di cui anzidetto.

Passando ai motivi del ricorso principale, con il primo di essi la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1453 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe operato una illecita inversione dell’onere della prova, ponendo a carico della creditrice la dimostrazione del mancato pagamento del credito.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2702 e 2705 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il giudice di appello non avrebbe considerato la corrispondenza intercorsa tra le parti nè ritenuto inattendibili le risultanze della prova testimoniale, alla luce del loro contrasto con quanto emergente dalla predetta documentazione. Ad avviso della ricorrente, le dichiarazioni a contenuto confessorio contenute nella corrispondenza di cui sopra avrebbero dovuto essere considerate sub specie di prova legale.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2721 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ammesso la prova testimoniale nonostante ricorressero i presupposti per il divieto di cui al richiamato art. 2721 c.c., e non avrebbe ravvisato l’inattendibilità dei testimoni escussi.

Le tre censure, che per la loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili in quanto con esse la ricorrente invoca una revisione delle valutazioni di fatto e dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuti dal giudice di merito, da ritenere preclusa in questa sede in quanto estranea al giudizio di cassazione (cfr., quanto al riesame del merito, Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790 e, quanto alla revisione dell’apprezzamento delle prove, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014 Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Non si ravvisa inoltre alcuna illecita inversione dell’onere della prova da parte del giudice di appello, posto che il Tribunale ha valorizzato la prova, fornita dal debitore, del fatto estintivo del debito (rappresentato dal relativo pagamento) ed ha affermato che il creditore non aveva indicato alcun elemento di prova in senso contrario. Il ragionamento è corretto in quanto proprio alla luce dei precedenti richiamati nel ricorso (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956) ed in funzione del cd. principio di prossimità della prova il creditore può limitarsi a provare l’esistenza del credito e spetta al debitore la prova dell’adempimento; ma qualora costui offra la relativa dimostrazione, l’onere di provare che il pagamento non è stato, in tutto o in parte, satisfattivo della pretesa, ovvero che esso si riferisce a diverso titolo torna a carico del creditore.

Infatti “Il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacchè il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca. L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito, controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore, fermo restando che, in caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del pagamento stesso, sicchè una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del creditore, è giuridicamente inefficace” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19527 del 09/11/2012, Rv. 624037; cfr. anche Sez. 6-3, Ordinanza n. 24837 del 21/11/2014, Rv.633269 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6217 del 31/03/2016, Rv.639263).

Nemmeno si può configurare, nella fattispecie, alcuna prova legale, posto che la corrispondenza cui fa riferimento la ricorrente nel secondo motivo di doglianza rappresenta un semplice documento che, in quanto proveniente dal debitore, fa prova nei suoi confronti, ma che deve essere apprezzato – ad esclusiva cura del giudice di merito, come già affermato-insieme alle altre risultanze istruttorie, ivi incluse le deposizioni dei testimoni auditi in corso di causa.

Nè potrebbe ravvisarsi la prova legale ipotizzata dalla ricorrente in relazione all’eventuale portata confessoria delle dichiarazioni contenute nella richiamata corrispondenza, in considerazione del fatto che per potersi configurare la confessione occorre non soltanto una semplice dichiarazione proveniente dalla parte, ma anche la ricorrenza di un quid pluris rappresentato da “… un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7381 del 25/03/2013, Rv. 625559). L’indagine volta a stabilire se una dichiarazione costituisca o meno confessione si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, ove lo stesso sia fondato su una motivazione immune da vizi logici (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12803 del 27/09/2000, Rv. 540542; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6246 del 24/11/1981, Rv. 417056). Infine, con riferimento al terzo motivo di censura si osserva che la dedotta violazione del divieto di prova testimoniale non tiene conto dell’art. 2721 c.c., comma 2, che consente al giudice di merito di ammettere la prova orale – con giudizio non utilmente censurabile in questa sede – anche in presenza del documento scritto ove ciò sia giustificato dalla qualità delle parti, dalla natura del contratto e da ogni altra circostanza.

Inoltre, non è ammissibile la doglianza relativa all’attendibilità del teste R., alla luce del principio secondo cui “In materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all’attendibilità del teste – che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso – forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite)” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7623 del 18/04/2016, Rv. 639500; cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7763 del 30/03/2010, Rv. 612273). Detta verifica va peraltro compiuta in concreto, non essendo consentito pervenire – come sembra affermare invece la ricorrente – ad una decisione di inattendibilità aprioristica per categorie di testimoni (quali ad esempio i soggetti legati da rapporto di lavoro ad una delle parti: Cass. Sez. L, Sentenza n. 16529 del 21/08/2004, Rv.576066; o i coniugi: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7061 del 15/05/2002, Rv. 554424; o i parenti: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25358 del 17/12/2015, Rv. 638123).

Infine, la censura non appare sufficientemente specifica nella parte relativa alla dedotta incapacità a testimoniale del teste R., poichè la ricorrente non dà conto di aver tempestivamente proposto la relativa eccezione in prime cure, in occasione dell’ammissione del teste e della sua audizione, nè di averla coltivata in appello; trattandosi di questione attinente alla nullità della prova testimoniale, la parte ricorrente aveva l’onere, anche in virtù dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione era stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, subito dopo l’assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 c.p.c., dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la sua proposizione e sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23896 del 23/11/2016, Rv.642194 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 21670 del 23/09/2013, Rv.627450).

In definitiva, il ricorso principale va rigettato mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio sono integralmente compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale e rigetta quello principale.

Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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