Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21291 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/08/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 09/08/2019), n.21291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26643-2014 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO RICCITELLI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8142/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/11/2013 R.G.N. 4116/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/04/2019 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANGELO RICCITELLI in sostituzione dell’Avvocato

GIORGIO ANTONINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma con sentenza resa pubblica il 4/11/2013 in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava che la menomazione ascrivibile a causa di servizio da cui era affetto il ricorrente C.M., dipendente del Ministero della Salute, era riconducibile alla VI categoria della tabella A anzichè alla VII, e condannava il Ministero all’erogazione dell’equo indennizzo nella misura parametrata alla categoria indicata.

La Corte di merito perveniva a tali approdi dopo aver disposto un rinnovo degli accertamenti ò medico legali, le cui condusioni venivano recepite in sentenza, e dalle quali si desumeva che le infermità diagnosticate a carico del ricorrente erano costituite da “anoftalmia in occhio sinistro da progresso intervento chirurgico, occhio destro sano con visus di 10/10″.

Il giudice del gravame, sulla scorta del motivato parere elaborato dal nominato ausiliare, escludeva, peraltro che nello specifico potesse rinvenire applicazione la voce di cui alla rivendicata V categoria – che contemplava alla voce n. 22 la perdita anatomica del bulbo oculare non protesizzabile in presenza di altro occhio integro – atteso che la patologia da cui era affetto il ricorrente era meno grave, usufruendo egli di protesi ben tollerata e correttamente in situ.

Avverso tale decisione C.M. interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi ai quali resiste con controricorso il Ministero della Salute.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 62,64,194 e 195 c.p.c.. nonchè della Tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si prospetta la nullità della relazione di CTU e della sentenza, per avere l’ausiliare nominato in grado di appello, omesso di procedere all’osarne obiettivo del periziato, pur dandone atto nel proprio elaborato, così inducendo in errore il giudice del gravame. Non solo non era risultata oggetto di verifica la acutezza visiva dell’occhio destro, ma era stata data per acclarata la corretta posizione in situ della protesi, in assenza di alcuna definizione della nozione di protesi stessa che in oftalmologia assume diversi significati, nè della correttezza della sua collocazione.

2. Il secondo motivo prospetta violazione degli artt. 62,64,194 e 195 c.p.c.. nonchè della Tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981 nonchè omesso accertamento di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Ci si duole che il nominato ausiliare, sia nella relazione peritale che nei successivi chiarimenti, non aveva accertato se il cavo oculare fosse o meno protesizzabile, laddove obiettivamente, come reso palese dalla relazione del CTID, lo stesso non era tale.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono inammissibili.

Invero essi recano promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale lamentando contemporaneamente errores in iudicando ed in procedendo (primo motivo), e contemporanea violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 (secondo motivo), senza adeguatamente specificare quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono invece essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., in tal modo non consentendo una sufficiente identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (ex plurimis, vedi cfr. anche Cass..UU. n. 17931 del 2013, Cass.SS.UU. n. 26242 del 2014, Cass. n. 14317 del 2016, Cass. n. 26874 del 2018).

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.

4. Sotto altro versante, occorre rilevare come, nella materia delibata, il vizio della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (vedi ex plurimis, Cass. 3/2/2012 n. 1652 cui adde Cass. 23/10/2017 n. 24959). Le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità solo se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sodali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico – legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, sicchè, in mancanza di detti elementi, le censure sono inammissibili in sede di legittimità.

Nello specifico il ricorrente, facendo leva sulle osservazioni elaborate dal consulente di parte, il quale, peraltro, non aveva partecipato alle operazioni peritali, ha prospettato la violazione delle disposizioni relative alle indagini espletate dal consulente ed una erronea individuazione della categoria cui ascrivere la patologia diagnosticata, con riferimento peculiare alla nozione ò di protesi oculare. Ma dette osservazioni si risolvono nella mera contrapposizione di un giudizio a quello specificamente formulato dal nominato ausiliare, non sorretto da argomenti idonei ad inficiare le argomentazioni formulate a sostegno dell’elaborato peritale dal quale è evincibile che il ricorrente pur avendo subito la perdita anatomica di un bulbo oculare, usufruiva di protesi ben tollerata e correttamente in situ, con l’altro occhio integro.

In tal senso non può sottacersi che il ricorso sollecita in sostanza una rilettura dei dati di causa più coerente con le prospettazioni della parte, che trasfonde in una diversa valutazione di merito, non ammissibile in questa sede di legittimità.

5. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Il governo delle spese del presente giudizio di legittimità segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Occorre, infine, dare atto della sussistenza, a carico del ricorrente, delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento a titolo di contributo unificato dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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