Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32176 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. un., 12/12/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 12/12/2018), n.32176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Presidente di Sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente di Sez. –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2426/2017 proposto da:

C.I.T.E. – CONSORZIO STABILE INTERPROVINCIALE TRASPORTI ECOAMBIENTALI

SOCIETA’ CONSORTILE R.L., in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN LORENZO IN LUCINA 26,

presso lo STUDIO STICCHI DAMIANI, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIO NARDONE, ERNESTO STICCHI DAMIANI e GIUSEPPE CECERI;

– ricorrente –

contro

PROVVEDITORATO INTERREGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE PER LA CAMPANIA E

IL MOLISE, in persona del Provveditore pro tempore, MINISTERO DELLE

INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

ECOLOGIA FALZARANO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO, 54,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MASSINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato VALERIO DI STASIO;

COMUNE DI CASALNUOVO DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA LUISA

ERRICHIELLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2536/2016 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 13/06/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2018 dal Presidente Dott. ULIANA ARMANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

uditi gli Avvocati Alfredo Caggiula per delega dell’avvocato Ernesto

Sticchi Damiani, Maria Luisa Avellis per delega dell’avvocato

Giuseppe Ceceri, Paola De Nuntis per l’Avvocatura Generale dello

Stato e Maria Luisa Errichiello per delega dell’avvocato Antonio

D’Urso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Consorzio C.I.T.E Consorzio Stabile Interprovinciale Trasporti Ecoambientali, società consortile a r.l., propone ricorso ex art. 110 Codice processo amministrativo avverso la sentenza del Consiglio di Stato 13-6-2016, n. 2536, di rigetto del ricorso proposto dallo stesso Consorzio avverso il provvedimento n. 8999/2014 del Provveditorato Interregionale delle Opere Pubbliche di Campania e Molise di annullamento parziale di tre gare per l’affidamento del servizio di raccolta differenziata nel comune di Casalnuovo di Napoli e di aggiudicazione del servizio alla società Ecologia Falzarano s.r.l..

Resistono con controricorso il Comune di Casalnuovo di Napoli, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale delle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise,nonchè la società Ecologia Falzarano s.r.l..

Presentano memoria ex art 378 c.p.c. il Consorzio C.I.T.E., il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale delle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La presente controversia ha ad oggetto la procedura di gara bandita dal Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per la Campania e il Molise, in qualità di stazione appaltante delegata dal Comune di Casalnuovo di Napoli, per l’affidamento per la durata di sette anni del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti, da espletare nel territorio del comune di Casalnuovo di Napoli.

L’aggiudicazione del servizio è stata preceduta da tre gare che sono oggetto dell’annullamento di cui al provvedimento n. 8999/2014 del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche: una prima gara, andata deserta per mancanza di offerte valide; una seconda gara,andata deserta per lo stesso motivo, a cui ha partecipato anche l’attuale ricorrente Consorzio C.I.T.E, escluso per la mancanza del requisito della moralità professionale del D.L.gs. 12 aprile 2006, n. 163, ex art. 38, comma 1, lett. c); una terza procedura alla quale il C.I.T.E è stato invitato, ma poi ugualmente escluso. Avverso le due esclusioni ed avverso il provvedimento, intervenuto nelle more, di affidamento del servizio alla società Ecologia Falzarano, il C.I.T.E ha proposto due ricorsi, poi riuniti, al Tar Campania che con sentenza 29-10-2012, n. 4323 li ha respinti.

Il Consiglio di Stato, con sentenza 21-10-2013 n. 5122, accogliendo l’impugnazione del C.I.T.E, ha annullato gli atti impugnati per mancanza di motivazione in ordine al requisito di moralità professionale, “fatte salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione”.

2. Il C.I.T.E ha proposto ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 5122/2013, tuttavia dopo la notificazione del ricorso per l’ottemperanza, il Provveditorato Interregionale delle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise, espressamente dichiarando di ottemperare alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5122/13, ha annullato i seguenti provvedimenti: provvedimento prot. n. 14529 del 26-6-2012, con il quale era stata bandita la procedura negoziata per l’affidamento del servizio di raccolta differenziata,i relativi verbali e la conseguente aggiudicazione definitiva del servizio in favore di Ecologia Falzarano; il bando per la seconda gara, pubblicato il 5 marzo 2012, ed i relativi verbali; il terzo verbale relativo alla prima indizione della procedura aperta in data 11 gennaio 2012, con la testuale precisazione che “sulla base dell’accertata carenza del requisito richiesto nel bando di gara del possesso di titolo di proprietà o atto di disponibilità di un’area autorizzata ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 208 “da parte di entrambi i concorrenti, si confermava l’esclusione comminata ed integralmente il contenuto del D.P.R. 17 febbraio 2012, n. 3693, escluso il riferimento al verbale n. (OMISSIS) del 14 febbraio 2012, con il presente provvedimento annullato.

3. Il Consiglio di Stato, con sentenza 12-1-2015, n. 34, ha respinto il ricorso per l’ottemperanza ritenendo che l’amministrazione, con il provvedimento n. 8999 del 18 marzo 2014, aveva dato corretta esecuzione alla propria sentenza n. 5122/13,che pur annullando gli atti impugnati per mancata motivazione in ordine al requisito della moralità professionale, aveva fatto salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione.

Pertanto la posizione del C.I.T.E doveva essere rivalutata regredendo, come correttamente affermato nel provvedimento da ultimo adottato dal Provveditorato, alla fase del procedimento di scelta del contraente immediatamente antecedente al primo atto annullato, cronologicamente inteso, e costituito dal verbale n. (OMISSIS) del 14 febbraio 2012.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 34/2015 è stata oggetto di separata azione di revocazione.

4. Il C.I.T.E ha proposto avverso il medesimo provvedimento n. 8999/2014 anche impugnazione ordinaria al Tar Campania che, con sentenza numero 3297/2014, ha affermato che il provvedimento impugnato erano sicuramente di ottemperanza alla decisione del Consiglio di Stato n. 5122/13, ma che tuttavia la questione della natura elusiva del giudicato del provvedimento impugnato era inammissibile perchè doveva essere rivolta al giudice naturale dell’ottemperanza.

5. Il C.I.T.E ha proposto impugnazione avverso la decisione del Tar n. 3297/2014 ed il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2536/16 oggetto del presente giudizio, ha ritenuto che la propria sentenza n. 5122/2013, pur avendo annullato gli atti impugnati per mancanza di motivazione in ordine al requisito della moralità professionale, aveva esplicitamente fatte salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione e che pertanto la posizione di C.I.T.E doveva essere rivalutata regredendo, come correttamente affermato nel provvedimento da ultimo adottato dal Provveditorato, alla fase del procedimento di scelta del contraente immediatamente antecedente al primo atto annullato, costituito dal verbale n. (OMISSIS) del 14-2-2012.

Di conseguenza, correttamente la posizione del Consorzio era stata valutata oltre che con riguardo ai precedenti penali del suo Presidente, questione rispetto alla quale sussisteva un preciso vincolo conformativo del giudicato discendente dalla sentenza n. 5122/2013, anche con riguardo ad altri possibili motivi di esclusione, quale la mancanza di una idonea area di stoccaggio dei rifiuti, sui quali il giudice adito non si era in alcun modo espresso e sui quali non poteva essersi formato il giudicato.

Quindi il Provveditorato Interregionale aveva correttamente dato attuazione alla sentenza n. 5122/2013. Quest’ultima non era in alcun modo interpretabile nel senso voluto dal ricorrente Consorzio, di attribuire direttamente e necessariamente all’attuale ricorrente la gara indetta, senza possibilità di procedere alla valutazione del requisito del possesso di una idonea aerea di stoccaggio D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 208.

6. Col primo motivo di ricorso si denunzia mancata applicazione dell’art. 2909 c.c., mancata applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1, n. 1 e dell’art. 101, comma 1 cod. proc. amm.; eccesso di potere per violazione dei limiti esterni e per creazione di norme.

Sostiene il ricorrente che il Consiglio di Stato non ha applicato le norme previste tanto dal codice di procedura civile che dal codice del processo amministrativo che subordinano la cognizione del giudice d’appello ai limiti devolutivi ed alle domande che si intendono impugnare o riproporre; in altra prospettiva, il Consiglio di Stato, tracimando dalla propria attività interpretativa, avrebbe creato una norma in base alla quale, in presenza di motivi assorbiti dal giudice di prime cure e pur in presenza di una parziale devoluzione del thema decidendum al giudice d’appello, quest’ultimo ha conosciuto dell’intera vicenda, a prescindere dalle specifiche censure contenute nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado.

Il Consiglio di Stato per un verso ha applicato in maniera abnorme le regole processuali relative all’individuazione dell’oggetto del giudizio, violando limiti esterni della giurisdizione amministrativa, e per altro verso alterando gli effetti tipici del giudicato, così pervenendo alla creazione di una norma al di fuori di ogni attività interpretativa, giungendo a una forma di eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore.

7. Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 2909 c.c. e mancata applicazione dell’art. 101, comma 2 cod.proc.amm, mancata applicazione dell’art. 329 c.p.c., eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

Secondo il ricorrente, diversamente da quanto ritenuto dal giudice dell’impugnazione, anche i motivi assorbiti sono suscettibili di passare in giudicato, con la conseguenza che il Consiglio di Stato non si è avveduto del fatto che la mancata devoluzione al giudice d’appello dei motivi di censura proposti in primo grado, ed in particolare di quello relativo alla mancata proprietà di un’idonea aria di stoccaggio per i rifiuti, aveva cristallizzato il rapporto relativo alla prima gara, con conseguente non modificabilità del medesimo. Di conseguenza, anche sotto questo aspetto, il Consiglio di Stato aveva applicato in maniera abnorme tutte quelle disposizioni del codice di procedura civile e del codice del processo amministrative in epigrafe, che fanno conseguire dalla mancata devoluzione o riproposizione di alcuni motivi, gli effetti del loro passaggio in giudicato.

I resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso.

8. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la connessione logico giuridica che li lega e sono inammissibili.

Come è stato ripetutamente affermato da queste Sezioni Unite (v. fra le altre Cass. S.U. 5-6-2006 n. 13176, Cass. S.U. 6-7-2005 n. 14211), i motivi inerenti alla giurisdizione – in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c. e dell’art. 362 c.p.c., il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato – vanno identificati nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale o i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione, ossia quando abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito.

E’ inammissibile, pertanto, il ricorso per cassazione con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, trattandosi di vizio che, attenendo all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle Sezioni Unite della Suprema Corte.

9. Inoltre l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.(Cass. Sez. U, 12/12/2012, n. 22784; Sez. U, 21 novembre 2011, n. 24411; Sez. U, 28 gennaio 2011, n. 2068; Sez. U, 30 dicembre 2004, n. 24175; Sez. U, 15 luglio 2003, n. 11091).

Nel caso in esame l’assunto secondo il quale il giudice amministrativo avrebbe invaso la sfera di attribuzioni proprie del legislatore, creando una norma di nuovo conio laddove nessuna corrispondente disposizioni di legge sussisterebbe, non trova riscontro alcuno nella motivazione dell’impugnata sentenza, che si è attenuta alla stretta applicazione delle norme, applicazione che include l’attività interpretativa delle stesse, che è uno degli elementi caratterizzanti la giurisdizione.

10. In ordine all’eccesso di potere giurisdizionale derivante dalla applicazione abnorme delle norme, si osserva che, con sentenza 181-2018, n. 6, la Corte Costituzionale ha ribadito i confini dell’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, limitato alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.

Il concetto di controllo di giurisdizione non ammette soluzioni intermedie, con una lettura estensiva ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”.

La Corte Costituzionale ha evidenziato che attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive.

Alla stregua del così precisato ambito di controllo sui “limiti esterni” alla giurisdizione,non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda.

Il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perchè investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione e che nell’esercitarla applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore all’interno ad essa e, se tale errore porta a negare tutela alla situazione fatta valere, ciò si risolve in una valutazione di infondatezza della richiesta di tutela.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge,in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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