Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32053 del 11/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 11/12/2018), n.32053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22349-2017 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUIDO RENI, 2,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO VIANELLO ACCORRETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE SILIPO;

– ricorrente –

contro

STM ELETTRONICA SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO DE GRENET

145, presso lo studio dell’avvocato MICHELE DE CILLIS, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1586/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

del 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 22.7.2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’impugnativa proposta da M.M. avverso il licenziamento disciplinare intimatogli da STM Elettronica s.r.l.; che avverso tale pronuncia M.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura; che STM Elettronica s.r.l. ha resistito con controricorso; che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, e dell’art. 24 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto che la prova dei fatti addebitatigli potesse essere evinta dall’elaborato peritale di parte prodotto dall’azienda, nonostante che egli ne avesse contestato il contenuto; che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale valutato le circostanze emerse dalla fonoregistrazione prodotta nel corso della fase sommaria del procedimento;

che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione dello St. lav., art. 7, per avere la Corte di merito ritenuto che la contestazione degli addebiti fosse specifica e tempestiva;

che, con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 2106 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che la sanzione inflitta fosse proporzionata agli addebiti contestati;

che il primo motivo è inammissibile, avendo questa Corte consolidato il principio secondo cui il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare (cfr. tra le più recenti Cass. n. 20637 del 2016) e, nella specie, il contenuto della perizia di parte allegata dall’odierna controricorrente agli atti della fase sommaria non risulta trascritta nel ricorso, nemmeno nelle parti all’uopo essenziali, con conseguente impossibilità di comprendere se, indipendentemente dalla questione ulteriore circa la sua tempestività, la presunta contestazione effettuata nella fase di opposizione fosse idonea a smentire l’allegazione dei fatti oggetti degli addebiti, che la Corte ha ritenuto viceversa puntuale e non contestata “neppure nel prosieguo del giudizio” (così la sentenza impugnata, pag. 5);

che parimenti inammissibile è il secondo motivo, non essendo possibile censurare ex art. 360 c.p.c., n. 5, una sentenza di appello che abbia, come nella specie, confermato l’accertamento di fatto compiuto in primo grado (art. 348-ter c.p.c., comma 4), salvo che si dimostri che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono tra loro diverse (Cass. nn. 5528 del 2014, 19001 e 26774 del 2016);

che, infine, inammissibili sono il terzo e il quarto motivo, pretendendo parte ricorrente di censurare sub specie di violazione dello St. lav., art. 7, e art. 2106 c.c. il giudizio di fatto compiuto dalla Corte territoriale circa la specificità e tempestività della contestazione degli addebiti e la proporzionalità della sanzione espulsiva ed essendosi chiarito che l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna alla questione dell’esatta interpretazione della norma e inerisce piuttosto alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. da ult. Cass. n. 24155 del 2017); che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari. A quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018

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