Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30917 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2018, (ud. 24/09/2018, dep. 29/11/2018), n.30917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1832/2013 proposto da:

E.R. SAS, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI, 267, presso lo studio dell’avvocato DANIELA

CIARDO, rappresentato e difeso dall’avvocato COSIMO RUPPI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE LECCE, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO CAGGIULA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2154/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 20/06/2012 R.G.N. 2349/2010.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La s.a.s. Dott. E. R., titolare di laboratorio di analisi cliniche, in data 26 ottobre 2006 presentava ricorso al Tribunale di Lecce al fine di ottenere il pagamento dell’importo di Euro 61.728,12 per prestazioni specialistiche rese nel periodo gennaio 2004-dicembre 2005 sulla base dell’assunto che il proprio rapporto con la Asl di Lecce era sorto come rapporto di convezionamento di cui alla L. n. 833 del 1978 e, come tale, non restava soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 (e successive modifiche) e ai limiti dei tetti di spesa fissati annualmente dalla Regione.

2. La Corte di appello di Lecce, confermando la pronuncia di rigetto della domanda emessa dal giudice di primo grado, innanzitutto riteneva infondata la tesi di parte appellante di voler far derivare il diritto dall’esistenza di un giudicato esterno intervenuto tra le parti; riferibile ad annualità diverse. Nel merito, affermava che la soppressione del regime di convenzionamento di cui alla L. n. 833 del 1978, ad opera del D.Lgs. n. 502 del 1992, che ha introdotto il rapporto di accreditamento, comporta che i soggetti già convenzionati diventino ex lege “temporaneamente accreditati”, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6, indipendentemente da una specifica pattuizione tra le parti.

La s.a.s. Dott. E. R. non aveva dismesso la collaborazione con S.S.N. restando così assoggettata alla disciplina che regola il rapporto di accreditamento e, conseguentemente, anche al provvedimento con il quale la Regione aveva determinato il tetto di spesa per i rispettivi anni finanziari mediante un tipico atto autoritativo.

3. Per la cassazione di tale sentenza la s.a.s. Dott. E. R. propone ricorso affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la ASL di Lecce, che ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1,lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 324 c.p.c.; insufficiente contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume la violazione del giudicato esterno, perchè la sentenza n. 789 del 2006 del Tribunale di Lecce, emessa in altro giudizio e divenuta definitiva, aveva statuito che le prestazioni erano state effettuate in virtù di un rapporto convenzionale di natura privatistica risalente al 1978, non assoggettato ai tetti di spesa, e che non era intervenuta alcuna pattuizione tra le parti modificativa dell’originario contratto. Sostiene che il presente giudizio verte sullo stesso rapporto, anche se la pretesa attiene ad annualità diverse, e che oggetto del giudicato è anche la causa petendi del rapporto, ritenuto “convenzionale”, instaurato tra un libero professionista e un Ente mutualistico.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 48, in relazione al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 e all’art. 33 Cost.. Violazione e falsa applicazione dell’accordo collettivo 22.2.1980, reso esecutivo con D.P.R. 16 maggio 1980; contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Assume il ricorrente che il rapporto contrattuale instaurato con il S.S.N. ai sensi della L. n. 833 del 1978, art. 48, comma 4, si configura come un particolare rapporto di prestazione d’opera professionale a carattere continuativo, al quale non si applicano le norme del D.Lgs. n. 502 del 1992.

3. Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 48, in relazione al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8; violazione falsa applicazione delle norme comunitarie: artt. 33 e 117 Cost., anche in relazione al R.D. n. 842 del 1928, L. n. 679 del 1957 e alla direttiva 2001/19/CE, recepita con D.Lgs. n. 277 del 2003. Difetto assoluto di motivazione rispetto ad un punto decisivo della controversia.

Assume che l’interpretazione data dalla Corte territoriale contrasterebbe con i principi che regolano l’esercizio della professione di chimico, che si esplica in attività di indagine tecnico-scientifica su materiali ed elementi e che non si estende a giudizi diagnostici. Sostiene che la professione chimico non è una professione sanitaria, nè tantomeno rientra tra le sanitarie latu sensu, come invece ritenuto nella sentenza impugnata.

4. Il primo motivo di ricorso, vertente sulla portata estensiva del giudicato esterno, è inammissibile.

La Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse alcun giudicato derivante dalla sentenza n. 789 del 3.2.2006 del Tribunale di Lecce. L’odierno ricorrente nella sostanza contesta tale interpretazione, omettendo tuttavia di riprodurre il contenuto della predetta sentenza, occorrente per valutare il contenuto motivazionale e le ragioni della decisione.

4.1. Il giudicato va assimilato agli elementi normativi, sicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge (v., tra le più recenti, Cass. n. 15339 del 2018). L’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti però in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza delle regole processuali di cui all’art. 366 c.p.c., di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che solo il dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. n. 5508 del 2018, n. 26627 del 2006).

4.2. Per consentire a questo Giudice di legittimità di comprendere se vi fossero statuizioni o accertamenti sulla disciplina del rapporto atti a vincolare le parti anche con riguardo a periodi successivi, l’odierno ricorrente avrebbe dovuto adempiere agli oneri di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e così riportare in ricorso il testo della sentenza di cui all’interpretazione contestata. Tale onere non è stato adempiuto nella specie.

5. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, involgendo la normativa che regola il rapporto di accreditamento, sono infondati.

5.1. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, il passaggio dal regime di convenzionamento esterno al nuovo regime dell’accreditamento – previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 e poi integrato dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6 – non ha modificato la natura del rapporto esistente tra l’Amministrazione e le strutture private, che rimane di, natura sostanzialmente concessoria; ne consegue che non può essere posto a carico delle Regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali (Cass. n. 1740 del 2011, n. 17711 del 2014, Cass. S.U. 8 luglio 2005 n. 14335).

Non merita accoglimento, pertanto, la tesi secondo cui la mera prosecuzione dell’attività, ancorchè sorretta da provvedimenti amministrativi della Regione – che certo non possono operare in contrasto con disposizioni legislative sovraordinate -, legittimerebbe il pagamento di compensi, in relazione ad una convenzione, ormai irrimediabilmente caducata, per effetto dell’inequivoca disposizione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 7, che ha comportato, alla data del 30 giugno 1996 (termine così prorogato dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 7) la cessazione di tutti i rapporti vigenti (v., in tal senso Cass. n. 17711 del 2014, citata, nonchè S.U. 9284/2002; 18331/2003).

In tale contesto occorre rimarcare come la giurisprudenza amministrativa abbia affermato la natura autoritativa dei provvedimenti di determinazione del tetto di spesa (Cons. Stato, 21 febbraio 2012, n. 923).

5.2. Quanto al regime transitorio, il disposto di cui L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 6, prevede che nel passaggio dal vecchio al nuovo regime l’erogazione delle prestazioni, per la parte non assicurata direttamente dal servizio pubblico, viene garantita attraverso l’istituto dell’accreditamento provvisorio delle strutture già convenzionate, istituto che attua la prosecuzione, fino alla concessione dell’accreditamento definitivo ed alla stipula dei relativi accordi contrattuali, dei rapporti tra l’amministrazione sanitaria ed i soggetti delle cui prestazioni essa già si avvaleva (cfr. Cass. n. 23657 del 2015, che richiama Cons. di Stato n. 6015 del 2008; Cons. di Stato n. 3428 del 2007).

L’assenza di soluzione di continuità tra il regime del convenzionamento esterno e quello basato sull’accreditamento emerge in tutta evidenza dalla disposizione della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6, che disciplina il “regime transitorio” in cui opera la struttura privata originariamente convenzionata, ai sensi della L. n. 833 del 1978, attribuendo a detta struttura sanitaria un diritto soggettivo al riconoscimento dell’accreditamento, anche in assenza del “necessario” provvedimento di accreditamento istituzionale (cfr. Cass. n. 24258 del 30/11/2010), trovando giustificazione tale riconoscimento ex lege nella esigenza di garantire, nelle more di definizione dei procedimenti amministrativi regionali di verifica dei requisiti necessari all’accreditamento istituzionale ed anche in mancanza di tali provvedimenti, la continuazione della assistenza agli utenti del S.S.R. (v. Cass. n. 17588/2018).

5.3. La prosecuzione della attività di erogazione delle prestazioni sanitarie da parte dei soggetti già titolari di convenzione con il S.S.N. – secondo la disciplina transitoria introdotta dalla L. n. 724 del 1994, da intendersi prorogata fino al rilascio dei provvedimenti di accreditamento definitivi – viene a configurarsi come riconoscimento, operato direttamente ex lege, dell'”accreditamento” a tutti i soggetti già convenzionati ex lege n. 833 del 1978(“…l’accreditamento opera comunque nei confronti dei soggetti convenzionati…”), con subordinazione dei medesimi soggetti alla disciplina del regime di remunerazione secondo le modalità tariffarie adottate dalle Regioni, con conseguente cessazione degli accordi fino allora vigenti.

5.4. La disciplina delle modalità di erogazione, inerenti tanto i limiti quantitativi, quanto i livelli tariffari e le modalità di pagamento dei corrispettivi fatturati, rimane in ogni caso attribuita ai provvedimenti adottati dalla Regione e recepiti nei singoli contratti stipulati con le AA.SS.LL. e quindi al rispetto dei limiti quantitativi determinati sulla base delle risorse finanziarie e del fabbisogno territoriale di assistenza sanitaria, non essendo ipotizzabile una richiesta di pagamento di compensi, in relazione al contenuto degli accordi assunti nella originaria convenzione, ormai irrimediabilmente caducata, per effetto dell’inequivoca disposizione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 7, che ha comportato, alla data del 30 giugno1996 (termine così prorogato dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 7) la cessazione di tutti i rapporti vigenti (cfr. Cass. 17588 del 2018 e Cass. 17711 del 2014).

5.5. La Corte territoriale ha fatto, dunque, corretta applicazione di tali principi alla fattispecie in esame.

6. Inoltre, come affermato in altri precedenti di questa Corte (cfr. Cass. n. 1740 del 2011, n. 23657 del 2015), l’esigenza di contemperare gli obiettivi di liberalizzazione con la necessità di blindare la spesa pubblica nel settore sanitario, che è alla base delle perduranti rigidità del sistema, trova un’ulteriore conferma nel disposto del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37, art. 2, comma 7, a tenore del quale la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli appositi rapporti di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 5 e 7 e successive modificazioni ed integrazioni, nell’ambito del livello di spesa annualmente definito. Di talchè, in definitiva, nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli, specifici rapporti contrattuali.

7. Per il resto, è sufficiente aggiungere che alle prestazioni svolte in favore delle ASL da personale non medico in base alle convenzioni trovano applicazione gli stessi criteri operanti per l’attività dei medici convenzionati (v, Cass. n. 8862 del 1997, n. 4832 del 1992). Con specifico riferimento alla fattispecie, deve quindi ritenersi che, per effetto della equiparazione tra personale medico e non medico stabilita della L. n. 833 del 1978, art. 48, comma 4, anche per quest’ultima categoria devono trovare applicazione i principi enunciati da questa Corte in relazione alla prima.

8. Infine, del tutto inconferente è ogni riferimento normativo che allude o involge il tema della libera circolazione delle professioni in ambito comunitario, questione del tutto avulsa dal thema decidendum oggetto del presente giudizio.

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10. Non trova applicazione ratione temporis, avuto riguardo alla data di notifica del ricorso (20.12.2012), la previsione del raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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