Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30895 del 29/11/2018

Cassazione civile sez. I, 29/11/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 29/11/2018), n.30895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso nr.11315/2018 proposto da:

G.T., elettivamente domiciliato in Ancona Corso Mazzini

100 presso lo studio dell’Avv.to Marco Giorgetti che lo rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore

domiciliati in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che li rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto nr.2692/2018 emesso dal Tribunale Ordinario di

Ancona, in data 1/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7/11/2018 dal consigliere MARINA MELONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità ed in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona con decreto in data 1/3/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona in ordine alle istanze avanzate da G.T. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed umanitaria.

Il ricorrente, cittadino nigeriano cristiano, celibe e senza figli, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona di essere fuggito dal proprio paese in quanto vittima di atti di violenza perpetrati dai suoi familiari per motivi di eredità. In particolare lo zio del ricorrente aveva fatto irruzione a capo di un commando di uomini armati nell’abitazione in cui viveva con la sua famiglia uccidendo i suoi genitori e ferendolo gravemente. Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Ancona il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto il Tribunale di Ancona ha rigettato, senza che il ricorrente lo avesse mai chiesto, la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato mentre il ricorrente aveva chiesto solo una pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia un vizio di motivazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere il Tribunale di Ancona inserito nella sentenza impugnata, circostanze fattuali ed argomentazioni estraneee alla vicenda specifica del ricorrente ed alle censure formulate.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia un vizio di motivazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere il Tribunale di Ancona inserito nella sentenza impugnata, come in molte altre sentenze analoghe, clausole di stile ed interi periodi identici senza riferimenti alle censure formulate.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,lett. C) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il tribunale di Ancona ha negato la protezione sussidiaria pur esistente in tutta la Nigeria, paese di provenienza del ricorrente, una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato come più volte affermato in analoghi ricorsi sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5, 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Ancona non ha valutato che le autorità nigeriane non erano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente e che la minaccia poteva provenire anche da soggetti non statuali.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 18 del 2014 in relazione alla Direttiva 2011/95 UE cpc in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Ancona ha motivato il provvedimento affermando che la situazione di violenza in Nigeria era limitata ad una determinata area del paese e così facendo ha violato la direttiva sopra citata in quanto il Tribunale di Ancona avrebbe dovuto riconoscere la protezione sussidiaria al ricorrente a cagione degli atti di violenza fisica e psichica che egli potrebbe subire in caso di suo rimpatrio.

Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,comma 2, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5,6 e 19 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Ancona, nonostante il rischio di un danno grave alla persona non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria al ricorrente.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto in ordine a tutti i motivi proposti.

In ordine al primo motivo di ricorso è sufficiente rilevare che nella sentenza impugnata, in particolare nel dispositivo, il giudice ha rigettato il ricorso e quindi la domanda formulata di riconoscimento al diritto della protezione sussidiaria ed umanitaria mentre solo nella parte motiva vi è un accenno allo status di rifugiato. Non sussiste quindi alcuna violazione del principio ex art. 112 c.p.c.. in quanto il dispositivo è perfettamente aderente alla domanda avanzata.

Il secondo e terzo motivo di ricorso contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

Il quarto motivo è infondato. In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria. La situazione politica del paese di origine cioè la Nigeria è stata approfonditamente analizzata dal giudice territoriale che ha escluso dopo ampia motivazione l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente.

La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Altresì infondato è il quinto motivo di ricorso.

Questa Corte ha affermato che il danno grave può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato in assenza di un’autorità statuale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela e protezione. Tuttavia nella fattispecie il ricorrente non solo non risulta vittima di alcun atto di violenza od intimidazione da parte di sette od organizzazioni non statuali ma afferma esplicitamente di essere fuggito dal proprio paese per liti familiari dovute a motivi ereditari e che gli atti di violenza provenivano dai suoi familiari.

Il sesto motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto.

Infatti secondo Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2294 del 16/02/2012 “In tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo “status” di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva.”

Nella fattispecie tuttavia la sentenza impugnata non afferma che Io straniero, tornato in patria, deve trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza ma, al contrario, che proprio nella zona di provenienza del ricorrente cioè Edo State, non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio e pertanto la censura avanzata non coglie nel segno ed appare infondata.

In ordine al settimo motivo di ricorso con la protezione umanitaria il legislatore intendeva apprestare una tutela residuale per le situazioni di vulnerabilità inerenti a diritti umani fondamentali alle quali, in base ad un giudizio prognostico, lo straniero sarebbe stato esposto in caso di suo rimpatrio oppure nei casi risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano (art. 5, comma 6, cit.).

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

Nella specie, la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata la sua assenza.

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa. Miglior sorte, infine, nemmeno toccherebbe, eventualmente, al motivo in esame alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, tuttora in fase di conversione in legge, non recando la prospettazione dell’odierno motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 11, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

Il ricorso deve pertanto essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione nei confronti del controricorrente che si liquidano in Euro 2.000,00 oltre spad.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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