Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30304 del 22/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 22/11/2018), n.30304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16981-2017 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANDREA BAVA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 253/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. DE MARINIS NICOLA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 18 maggio 2017, la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Padova, rigettava la domanda proposta da R.C. nei confronti del Ministero dell’Interno, avente ad oggetto il riconoscimento dei benefici quale vittima del dovere ex L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, diversamente dal primo giudice, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di vittima del dovere, non essendo la situazione che ha visto coinvolto il R. e che ne ha determinato l’invalidità permanente nella misura del quattordici per cento, riconducibile all’ipotesi di “operazione di soccorso” contemplata dalla norma citata, non concretandosi in un intervento a favore di essere vivente che si trovi in stato di necessità o in condizioni di pericolo per la propria incolumità;

che per la cassazione di tale decisione ricorre il R., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il Ministero intimato;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che il ricorrente ha poi depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale l’omessa considerazione di documentazione acquisita agli atti ed in particolare del rapporto di intervento ove si definiva l’operazione compiuta come “salvataggio animali”;

che, nel secondo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la medesima censura relativa alla svalutazione del predetto documento sotto il profillo della disconosciuta rilevanza della qualificazione dell’operazione in termini di “salvataggio animali” è prospettata come indicativa del malgoverno del materiale istruttorio;

che ancora una volta la medesima carenza valutativa è invocata nel terzo motivo come espressiva del carattere meramente apparente della motivazione resa dalla Corte territoriale;

che anche nel quarto motivo la disconosciuta qualificazione dell’operazione è posta a base della censura intesa a denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 563;

che tutti gli esposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, atteso che la qualificazione attribuita all’operazione in sede amministrativa di “salvataggio animali” è stata dalla Corte territoriale puntualmente presa in considerazione in sede di esame del materiale istruttorio e correttamente valutata, derivandone il convincimento della non riconducibilità della fattispecie all’ipotesi dell’operazione di soccorso, convincimento sostenuto in motivazione da argomentazioni che, basate sul rilievo che il concetto di salvataggio presuppone il versare dell’interessato, uomo o animale che sia, in uno stato di necessità o di pericolo per la propria incolumità nella specie ritenuto non riscontrabile, si rivelano, al di là della loro riconducibilità ad un giudizio di mero fatto, immuni da vizi logici e giuridici ed, a ben vedere, non risultano neppure fatte oggetto di specifica censura, stante la ferma e insistita posizione del ricorrente per la quale la sola qualificazione dell’operazione, rientrante nei compiti di istituto, in termini di salvataggio era idonea ad identificarla, stante la valenza di sinonimo del termine, quale operazione di soccorso, ipotesi inclusa dalla norma in questione tra quelle legittimanti la fruizione dei relativi benefici;

che, pertanto, conformandosi alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2018

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