Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19676 del 22/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 22/07/2019), n.19676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16108/2016 proposto da:

B.L., nella qualità di erede di B.M. e

B.G. nella qualità di erede di B.M. nonchè quale

Amministratore di sostegno di D.A., domiciliati in

ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA BAVA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 491/2016 del TRIBUNALE di BARI, depositata il

29/03/2016 R.G.N. 2566/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 491/ 2016, ha accolto l’appello principale proposto dal Ministero dell’Interno nei confronti di B.L. e G. (quest’ultimo quale amministratore di sostegno di D.A.), dichiarando inammissibile quello incidentale proposto da B.G., avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da B.M. ed D.A. (quali genitori di B.A.) per il riconoscimento, in favore del figlio, marinaio di leva, quale vittima del dovere in conseguenza del decesso, avvenuto unitamente ad altri 36 militari, nella tragedia del (OMISSIS), a seguito della caduta da un altissimo cavalcavia del pullman della marina militare sul quale viaggiavano per missione di rappresentanza delle forze armate e per il riconoscimento dei relativi benefici assistenziali;

la sentenza impugnata ha, in primo luogo, rilevato che B.G. aveva proposto il ricorso introduttivo solo nella qualità di amministratore di sostegno di D.A. e non in proprio, dunque, a prescindere dalla questione sulla titolarità delle provvidenze previste in favore delle vittime del dovere, l’appello incidentale (proposto da B.G.) in ragione del mancato riconoscimento dell’assegno vitalizio di cui al D.P.R. n. 243 del 2006 e della omessa indicazione della decorrenza dello speciale assegno vitalizio di cui alla L. n. 206 del 2004, ai sensi del D.P.R. n. 243 del 2006 e della L. n. 244 del 2007, doveva essere dichiarato inammissibile in quanto proposto da parte che non aveva formalmente assunto la qualità di parte del primo grado;

inoltre, a fondamento della decisione di accogliere l’appello dei Ministeri, la Corte territoriale, dopo aver richiamato i contenuti della L. n. 255 del 2006, art. 1, comma 564 – che equipara i soggetti di cui al comma 563 a quelli abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate dentro e fuori dei confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali ed operative – ha ricordato il significato della locuzione “missioni di qualunque natura” e “particolari condizioni ambientali ed operative” indicato dal D.P.R. n. 243 del 2006, ha ritenuto che l’evento in fatto accaduto non rientrasse nella nozione per il fatto che il viaggio in pullman era finalizzato alla partecipazione dei marinai ad un evento sportivo ed era avvenuto per colpa del conducente del mezzo e del soggetto che avrebbe dovuto garantirne la manutenzione, ma tutto ciò non integrava l’aggravamento del rischio ordinariamente connesso all’attività istituzionale del marinaio di leva, per cui l’appello incidentale, per i soggetti per i quali poteva considerarsi ammissibile, era infondato;

contro la sentenza, B.L. e G. (quali eredi del padre, B.M. deceduto nelle more del giudizio) ed il secondo anche quale amministratore di sostegno della madre, D.A. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

il Ministero dell’Interno ed il Ministero della Difesa non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e o falsa applicazione dell’art. 100 e dell’art. 300 c.p.c., posto che la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto da B.G., ritenendo che lo stesso in primo grado avesse assunto solo il ruolo di amministratore di sostegno della madre, senza considerare che la costituzione in appello dello stesso e del fratello era avvenuta solo quali eredi del padre deceduto in corso di causa, B.M., che insieme alla moglie D.A. (in giudizio anche a mezzo dell’amministratore di sostegno) avevano agito in primo grado richiedendo il riconoscimento delle prestazioni connesse all’attribuzione dello stato di vittima del dovere al proprio figlio;

con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 564, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3.

il primo motivo è fondato, essendo evidente dalla lettura degli elementi in fatto riportati dalla sentenza impugnata che in effetti originarie parti ricorrenti erano stati i genitori del marinaio deceduto, B.M. e la moglie D.A., mentre il figlio B.G. era presente in veste di amministratore di sostegno della madre; a seguito del decesso di B.M. intervenuto il (OMISSIS), nel corso del giudizio di primo grado ma evidentemente non dichiarato dal procuratore, il successivo appello incidentale fu proposto, oltre che dalla D., rappresentata dal figlio quale amministratore di sostegno, anche dagli altri eredi, B.L. e lo stesso B.G.;

pertanto, non corrisponde allo svolgimento del processo riferito in sentenza e comunque non risulta coerente con la stessa intestazione della sentenza impugnata (ove gli appellanti incidentali sono B.L., B.G. in proprio e quale amministratore di sostegno di D.A.), ritenere inammissibile l’appello incidentale proposto da B.G. quale erede del padre B.M., originario ricorrente; la Corte d’appello ha, dunque, violato l’art. 300 c.p.c. oggetto di denuncia e che regola il fenomeno della morte o della perdita di capacità della parte costituita;

anche il secondo motivo è fondato;

la controversia verte sull’interpretazione della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 564, secondo cui: “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”;

questa Corte di legittimità (v., fra le più recenti, Cass. 16 aprile 2018, n. 9322 e, sulla specifica vicenda all’esame ora del Collegio, v. Cass. Sez.U., 22 giugno 2017, n. 15484 e numerose successive conformi) ha più volte esaminato le norme al cui interno si colloca la fattispecie, precisandone i criteri applicativi nei termini che seguono;

la L. 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 563, stabilisce che per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità;

al successivo comma 564 dell’art. 1 si precisa che sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai

confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative; in seguito, in attuazione di quanto stabilito dalla stessa L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565, è stato emesso, con D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il Regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, che all’art. 1, comma 1, prevede che ai fini del presente regolamento, si intendono: a) per benefici e provvidenze le misure di sostegno e tutela previste dalle L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e L. 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto; da tale quadro normativo si ricava che il legislatore ha ritenuto di intervenire con due diverse disposizioni, ossia la L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 563 e 564, individuando nel comma 563 talune attività che, essendo state ritenute dalla legge pericolose, se hanno comportato l’insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; ai sensi del comma 564, i benefici previsti per le vittime del dovere spettano anche ai “soggetti equiparati”, ossia a coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività (enumerate nelle lettere da a) a f) e sopra richiamate) che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività, che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali;

il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, si sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività così caratterizzate, ma volutamente risulta formulata una fattispecie aperta, che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura;

è stata, dunque, adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari;

qualunque tipo di attività e compito istituzionale può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione;

è, dunque, essenziale – per la vittima del dovere che abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio, non essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio – che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di “particolari condizioni”, che è un concetto aggiuntivo e specifico;

la nozione di “particolari condizioni ambientali o operative” è stata chiarita dal citato D.P.R. n. 243 del 2006, nel senso che si intendono:”… condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”;

con le circostanze straordinarie e fatti di servizio si è voluto contemplare ogni possibile accadimento che abbia comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto;

la riconduzione della fattispecie all’esame del Collegio ai presupposti normativi sopraindicati è già stata esaminata dalle Sezioni unite della Corte (Cass., Sez.U., n. 15487 del 2017, cit.) che, in riferimento ad altro militare deceduto nel medesimo incidente, hanno confermato la decisione della Corte territoriale e riconosciuto la sussistenza delle condizioni straordinarie che avevano aggravato il normale rischio connesso al trasferimento, determinate dall’utilizzo di un mezzo di trasporto in pessime condizioni di manutenzione a dispetto delle avverse condizioni metereologiche, così come accertato definitivamente in sede penale;

le medesime considerazioni possono essere richiamate a supporto della decisione inerente al medesimo tragico evento, dovendosi escludere la necessità di ulteriori accertamenti in fatto alla stregua dell’accertamento posto a fondamento della richiamata decisione delle Sezioni unite della Corte, n. 15487 del 2017, a sua volta fondata sul giudicato penale, da cui emerge che l’evento si verificò in situazione straordinaria dipesa da ragioni peculiari che aggravarono il rischio normalmente connesso all’attività espletata;

ritenuta ammissibile l’impugnazione incidentale proposta da B.G. quale erede di B.M. ed accertata irretrattabilmente la sussistenza della condizione di fatto del sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, ed incontestato lo status di B.A. quale vittima del dovere, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, per l’ulteriore esame del gravame in ordine ai benefici assistenziali pretesi;

alla Corte del rinvio si demandano anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019

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