Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29328 del 14/11/2018
Cassazione civile sez. trib., 14/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 14/11/2018), n.29328
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –
Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24983/2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso
i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
BOMET s.r.l. in liquidazione, in persona del commissario liquidatore
p.t.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 164/64/11 della Commissione tributaria
regionale della Lombardia, depositata il 2 settembre 2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19 settembre 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso.
Fatto
RITENUTO
che la BOMET s.r.l. impugnava autonomamente due avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva contestato, per l’anno di imposta 2004, l’indebita detrazione dell’Iva relativa a operazioni inesistenti, riscontrando, inoltre, elementi idonei a costituire, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), presunzioni gravi, precise e concordanti in ordine alla esistenza di attività non dichiarate, sicchè si procedeva alla ricostruzione induttiva dei ricavi e del volume d’affari;
che la Commissione tributaria provinciale di Brescia, previa riunione dei ricorsi, respingeva i motivi, ritenendo in particolare congruo l’indice di redditività adottato dall’Ufficio, in quanto individuato sulla base di esperienze precedenti dell’Ufficio medesimo;
che la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente, ha ritenuto illegittima la percentuale di redditività – pari al 10% individuata dall’Ufficio e, in sede di giudizio estimativo, l’ha ridotta al 3%, sottolineando che la percentuale ipotizzata, considerata congrua in prime cure, non costituisse un “fatto noto” storicamente provato, con il quale argomentare quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonei, di per sè, a integrare gli estremi di una prova di ragionevolezza e attendibilità. In considerazione del settore in cui operava la società appellante e tenendo conto del volume d’affari accertato, la Commissione tributaria regionale ha pertanto ritenuto equo l’applicazione della percentuale di ricarico nella misura del 3% per la rideterminazione induttiva del reddito d’impresa per gli anni in contestazione;
che l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo;
che la contribuente non ha svolto attività difensiva.
Diritto
CONSIDERATO
che con l’unico motivo di ricorso si lamenta l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla riduzione (dal 10 al 3%) della percentuale di ricarico applicata alla base imponibile dichiarata dal contribuente, a seguito di ricostruzione induttiva conseguente a operazioni inesistenti. Secondo quanto dedotto, la Commissione tributaria regionale, pur dando conto delle ragioni per le quali l’indice di redditività determinato dall’Ufficio fosse da ritenersi inattendibile, non ha spiegato come sia giunta alla diversa rideterminazione, limitandosi, al riguardo, ad appellarsi a quanto mai generici riferimenti al “settore” e al “volume di affari”, nonchè a un criterio equitativo inidoneo a sorreggere la decisione essendo precluso al giudice tributario il ricorso a poteri equitativi;
che il motivo è infondato;
che in tema di contenzioso tributario, la valutazione del giudice tributario, in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la cd. equità sostitutiva che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. In relazione ad essa non è quindi ipotizzabile la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2, e rientrando detto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della carenza o inadeguatezza della corrispondente motivazione (Cass. 21 dicembre 2015, n. 25707; 24 febbraio 2010, n. 4442);
che, ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento non per motivi formali (ossia per vizi di forma talmente gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario), ma di carattere sostanziale – essendo il processo tributario annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – detto giudice deve esaminare nel merito la pretesa tributaria ed eventualmente ricondurla alla corretta misura, operando una motivata valutazione sostitutiva entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. 19 novembre 2014, n. 24611; Cass. 20 marzo 2013, n. 6918);
che, nel caso di specie, la pronuncia impugnata, dopo aver esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto erronea la quantificazione della percentuale da parte dell’Erario, ha ritenuto di applicare la percentuale di ricarico nella misura del 3% per la rideterminazione del reddito d’impresa per gli anni in contestazione facendo riferimento al “settore” in cui opera la società e al “volume d’affari” accertato, provvedendo quindi a specificare per relationem i parametri di riferimento cui ha agganciato la diversa determinazione;
che, a fronte di tali elementi, l’Amministrazione non ha adeguatamente specificato in ricorso le ragioni per cui sarebbe erronea l’applicazione della percentuale nella misura del 3% per la rideterminazione del reddito d’impresa, impedendo a questa Corte di valutare – impregiudicato il giudizio di merito riservato al giudice del gravame – l’irragionevolezza della scelta compiuta sotto il profilo denunciato dell’omessa motivazione;
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto;
che, non essendosi costituita la parte intimata, non si deve provvedere sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione civile, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018