Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29354 del 14/11/2018

Cassazione civile sez. I, 14/11/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 14/11/2018), n.29354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8926/2015 proposto da:

P.P., P.A., P.C., P.O.,

Pa.Pa., P.R., elettivamente domiciliati in Roma,

Viale Parioli n. 98, presso lo studio dell’avvocato Pollari

Maglietta Fabrizio, che li rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Popolare di Milano S.c.a.r.l., in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

della Stazione di San Pietro n. 45, presso lo studio dell’avvocato

Campegiani Alberto, che la rappresenta e difende, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5893/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2018 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Fabrizio Pollari Maglietta che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Alberto Campegiani che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda principale formulata da P.P., P.A., P.C., P.R., P.O. e Pa.Pa. (quali eredi di Pa.Ar.) nei confronti della Banca Popolare di Milano s.c. a r.l. e, per l’effetto, dichiarava la nullità, per mancanza di forma scritta, di un contratto relativo alla prestazione di servizi di investimento, nonchè dei conseguenti ordini di acquisto di obbligazioni argentine, impartiti da Pa.Ar., per un controvalore di Euro 199.649,60. Condannava, conseguentemente, la banca stessa alla restituzione, in favore degli attori, della predetta somma, maggiorata degli interessi legali.

2. – La Corte di appello di Roma, accogliendo il gravame della banca ed in totale riforma di quella decisione, dichiarava “improponibile” la domanda degli eredi P.. Il giudice del gravame riteneva infatti fondata la ivi ribadita “eccezione di improcedibilità” della domanda attorea, formulata, per la prima volta, dalla banca all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, e basata sulla persistente pendenza di una procedura arbitrale presso l’International Centre for the Settlement of Investiment Disputes (ICSID) instaurata, nei confronti della Repubblica Argentina, dall’associazione denominata (OMISSIS), cui gli attori avevano aderito: procedimento tendente all’ottenimento di una pronuncia del suddetto organismo internazionale che accertasse la mancata protezione, da parte della Repubblica Argentina, degli investitori italiani.

Contro tale decisione, P.P., P.A., P.C., P.R., P.O. e Pa.Pa. propongono un ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, cui resiste la banca, che ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso, come appena avvertito, sono dieci in tutto. Gli ultimi cinque risultano formulati per l’ipotesi in cui le censure contenute nei primi cinque “non siano ritenute sufficienti a confortare un giudizio di totale erroneità ed invalidità dell’impugnata sentenza” (cfr. pag. 26 del ricorso).

Le doglianze su cui si fonda l’impugnazione possono riassumersi come segue.

Primo motivo: “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Si assume, in estrema sintesi, che la sentenza impugnata non abbia esplicitato il principio posto a fondamento della decisione assunta.

Secondo motivo: “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 24 Cost., nonchè dei principi generali sulle condizioni di procedibilità dell’azione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Si afferma che, al di là della sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione, non vi fossero per l’ordinamento processuale (salvo eccezioni espressamente previste), requisiti o presupposti ulteriori che potessero inibire l’azione stessa o comunque impedirne il corretto esercizio, sicchè la decisione della Corte capitolina si porrebbe al di fuori del consentito ambito di delimitazione del diritto costituzionalmente garantito di agire in giudizio: essa sconfinerebbe, cioè, “in un terreno di arbitraria attribuzione al processo di preclusioni non previste da alcuna norma di legge”.

Terzo motivo: “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 819 ter c.p.c. e degli artt. 839 c.p.c. e segg., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 334 del 1993, di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica Argentina sulla promozione e protezione degli investimenti, con protocollo aggiuntivo del 22 maggio 1990, in relazione, in particolare, all’art. 8 di tale Accordo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”. Si sostiene che la sentenza impugnata abbia impropriamente sancito il principio di alternatività tra procedimento arbitrale e giudizio ordinario, contravvenendo alle stesse disposizioni dell’Accordo, oggetto della nominata ratifica, dalle quali era invece desumibile il principio di assoluta indipendenza tra lo strumento arbitrale e quello giurisdizionale ordinario in relazione alla tutela dei diritti degli investitori dello Stato contraente.

Quarto motivo: “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 39 c.p.c., in relazione all’erronea identità delle azioni, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Si lamenta l’erroneità della decisione della Corte romana laddove ha prefigurato un’ipotesi di contestualità-coincidenza tra procedimento arbitrale e giudizio ordinario, preclusiva di una cognizione in sede ordinaria.

Quinto motivo: “Nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Si evidenzia che il giudice del gravame, al fine di pervenire ad una pronuncia di natura preliminare sugli impedimenti alla prosecuzione della causa, abbia sostanzialmente attinto il proprio convincimento dalla disciplina convenzionale del rapporto tra investitori e l’associazione cd. (OMISSIS), costituita per la difesa dei loro diritti, non avvedendosi che la corrispondente questione in nessun modo avrebbe potuto essere sollevata dalla banca, attesa la sua completa estraneità ai vincoli imposti agli investitori da quel mandato, al regolamento interno ad esso, agli effetti “obbligatori” derivanti dall’adesione all’associazione suddetta. In altri termini, la Corte di merito avrebbe dovuto rilevare, ex officio, la carenza di interesse della Banca a sollevare questioni di merito comunque interne al rapporto tra gli investitori e l’associazione anzidetta.

Sesto motivo: “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nel combinato disposto con gli artt. 167 e 183 c.p.c., con riferimento all’asserita non contestazione della circostanza relativa alla pendenza dell’arbitrato ICSID, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”. In breve, si censura la decisione impugnata laddove ha fondato la pronuncia di improcedibilità su una circostanza di fatto (la pendenza dell’arbitrato ICSID) erroneamente ritenuta come non contestata, e nella parte in cui ha considerato assolto l’onere della prova della relativa eccezione da parte della banca.

Settimo motivo: “Nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla ritenuta imprescindibilità, per promuovere l’arbitrato internazionale, del permanere del vincolo sui titoli, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”. Si assume l’inosservanza, ad opera della Corte romana, del disposto di cui agli artt. 115 e 116 citt., per aver fondato il proprio convincimento su un dato di fatto – il vincolo di indisponibilità dei titoli quale condizione per promuovere l’arbitrato internazionale – del tutto estraneo al giudizio, segnatamente all’ambito delle prove regolarmente in esso acquisite, e per avere esonerato la banca controricorrente dall’onere di provare i fatti posti a fondamento della propria eccezione.

Ottavo motivo: “Nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 167,183 e 345 c.p.c., con riferimento alla tardiva formulazione dell’eccezione di improcedibilità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè dell’art. 2697 c.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Si afferma che la Corte di Roma avrebbe illegittimamente accolto, senza rilevarne la tardività in primo grado, e, dunque, la novità in appello, l’eccezione di improcedibilità dell’azione promossa dai P. per via della pendenza dell’arbitrato ICSID. I ricorrenti escludono, d’altra parte, che la questione potesse essere valorizzata dal giudice, osservando, in proposito, che, secondo la Suprema Corte, appartengono alla categoria delle eccezioni in senso lato tutte le ragioni che possono condurre ad una reiezione della domanda per assenza della sua fondatezza o per la successiva caducazione del diritto fatto valere, purchè, ovviamente, le circostanze alla base di dette ragioni siano state regolarmente acquisite al processo (diversamente da quanto, invece, era accaduto nella vicenda processuale che qui interessa).

Nono motivo: “Nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 183 c.p.c., in ordine alla tardiva allegazione di fatti non dedotti o allegati tempestivamente dalla Banca resistente, nonchè dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.”. Si rappresenta che la banca ebbe a formulare la propria eccezione di improcedibilità in primo grado in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 21 maggio 2012, allegando solo allora, in violazione degli artt. 167 e 183 c.p.c., il fatto posto alla base dell’eccezione medesima, vale a dire la sottoscrizione, ad opera dei P., del modulo di adesione all’arbitrato ICSID e la pendenza del relativo procedimento. La Corte di Roma si era dunque basata su di un fatto dedotto ben oltre i termini normativamente imposti dall’ordinamento, dando così ingresso a un’attività difensiva ormai preclusa, frustrando l’ordinato andamento del processo e il rispetto del contraddittorio tra le parti.

Decimo motivo: “Nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia sulle domande dei ricorrenti P., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.”. Si censura la decisione impugnata nella parte in cui avrebbe mancato di prendere in esame le domande restitutorie e risarcitorie (involgenti i distinti profili dell’annullamento del contratto, della risoluzione per inadempimento dello stesso e della responsabilità precontrattuale dell’intermediario) formulate dai P., in via subordinata: per il caso, cioè, di riforma della sentenza di primo grado in punto di riconoscimento della nullità del contratto di prestazione dei servizi di investimento e degli ordini di acquisto delle obbligazioni argentine.

2. – Deve anzitutto escludersi che con riferimento al proposto ricorso vada dichiarata la cessazione della materia del contendere, come richiesto dalla banca controricorrente nella propria memoria datata 5 luglio 2018, in cui è rimarcata l’intervenuta soddisfazione dei P. in sede di arbitrato internazionale. La pronuncia indicata esige, infatti, l’evidenza di un pagamento giudicato dagli istanti integralmente satisfattivo delle loro ragioni con riferimento alla vicenda per cui è causa e tale, quindi, da escludere un loro interesse, concreto e attuale, all’accoglimento delle domande spiegate nei confronti dell’intermediario bancario. All’opposto, gli investitori non hanno affatto riconosciuto il pieno soddisfacimento della pretesa da loro azionata contro la Banca Popolare di Milano. In tal senso, la produzione documentale attuata dalla stessa banca ex art. 372 c.p.c. – che ben può ritenersi ammissibile, in sede di legittimità, ove finalizzata ad evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti alla proposizione del ricorso, tali da far venir meno l’interesse alla definizione del procedimento (Cass. 5 agosto 2008, n. 21122; cfr. pure Cass. 29 febbraio 2016, n. 3934) – non può considerarsi risolutiva.

2.1. – Nè trova riscontro l’inammissibilità del ricorso per cassazione, pure eccepita dalla controricorrente. Premesso, infatti, in linea generale, che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, il che comporta la necessità dell’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259), va osservato che le censure tutte svolte dall’istante presentano gli indicati caratteri.

3. – Il primo motivo è infondato.

La Corte di Roma, dopo aver sommariamente descritto contenuto e finalità della procedura intrapresa nei confronti della Repubblica Argentina presso l’International Centre for the Settlement of Investiment disputes, dall’associazione denominata (OMISSIS) – alla quale, secondo la medesima Corte, avevano aderito gli odierni ricorrenti -, ha essenzialmente fondato l’adottata pronuncia di improponibilità della domanda attorea sulle seguenti considerazioni: “La sentenza impugnata osserva al riguardo che la procedura arbitrale è contro l’Argentina, mentre gli attori hanno agito contro la banca intermediaria. In definitiva, si afferma la natura risarcitoria della domanda mentre nella motivazione e nel dispositivo non sono stati liquidati danni, bensì è stato restituito il capitale a seguito della dichiarazione di nullità del contratto. Tale pronuncia pone il problema della duplicazione della tutela degli appellati per lo stesso oggetto in sede di arbitrato contro lo Stato argentino e nella presente sede nei confronti dell’intermediario. Orbene, anzitutto deve considerarsi il principio di alternatività tra procedura arbitrale e giudizio ordinario: invero, i due procedimenti nel caso di specie, benchè instaurati nei confronti di soggetti diversi, perseguono entrambi l’obiettivo del recupero del capitale investito, con la concreta possibilità di una duplicazione del rimborso in favore degli attori. Si osserva poi che le due azioni, quella avviata con l’adesione all’arbitrato e quella di cui al presente giudizio, appaiono incompatibili perchè condizioni imprescindibili per promuovere l’arbitrato sono la qualità di investitori in bond (OMISSIS) ed il permanere del vincolo sui titoli per la durata della procedura arbitrale. Orbene, il vincolo di indisponibilità dei titoli è assolutamente confliggente con le domande avanzate dagli attori nel presente giudizio, di declaratoria di nullità, ovvero di annullamento degli ordini di acquisto dei titoli. Pertanto, gli attori, per iniziare il giudizio ordinario nei confronti della banca, avrebbero dovuto revocare l’adesione all’arbitrato. Ma tale revoca non risulta effettuata. Ne consegue che va dichiarata l’improponibilità della domanda” (cfr. pagg. 6 s. della pronuncia).

Risultano chiari, dunque, gli argomenti giustificativi della resa decisione: a) la ritenuta incompatibilità dell’arbitrato internazionale con l’iniziativa giudiziaria avviata dagli investitori

innanzi al giudice italiano, atteso il paventato rischio di duplicazione del rimborso in favore degli odierni ricorrenti; b) la mancata revoca di questi ultimi dell’adesione alla TFA prima di citare in giudizio la banca.

Ora, nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

Indipendentemente, allora, dalla sua correttezza (aspetto, quest’ultimo, investito dagli altri motivi di ricorso), la motivazione del provvedimento impugnato non risulta meramente apparente (per tale dovendosi intendere quella che, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture: Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232), nè manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, nè, infine, perplessa o incomprensibile.

4. – Secondo, terzo e quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente e sono fondati nei termini che si vengono ad esporre.

La Corte di merito, come si è visto, ha attribuito rilievo alla sostanziale incompatibilità tra il giudizio intrapreso dagli odierni

ricorrenti nei confronti della banca e il procedimento arbitrale avanti al Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie relative ad Investimenti (International Centre for the Settlement of Investiment Disputes: ICSID), intercorrente tra la (OMISSIS) (TFA), associazione per la tutela degli investitori in titoli argentini, e la Repubblica argentina, ritenendo che i medesimi istanti, per agire nei confronti della banca, avrebbero dovuto revocare l’adesione all’arbitrato.

Il giudizio arbitrale è stato proposto in forza dell’accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina sulla promozione e protezione degli investimenti: accordo ratificato in Italia dalla L. n. 334 del 1993. La controversia soggetta all’arbitrato internazionale, che vedeva quali avversari TFA e Repubblica argentina, è stata sottoposta, nel caso in esame, all’ICSID, così come previsto dalla L. n. 334 del 1993, art. 8, comma 4: e cioè all’organo internazionale per la risoluzione delle controversie in tema di investimenti contemplato dalla Convenzione di Washington del 1965.

L’avvio della procedura arbitrale non assume alcuna portata preclusiva rispetto al giudizio trattato avanti al Tribunale e alla Corte di appello di Roma.

Infatti, i due procedimenti si differenziano avendo riguardo ai soggetti che ne sono parte: da un lato gli eredi dell’investitore e la banca intermediaria, dall’altra la TFA, associazione per la tutela degli interessi degli investitori in titoli argentini, cui avrebbero aderito gli odierni istanti, e la Repubblica argentina. Correlativamente, i due giudizi si distinguono anche per il rispettivo petitum (da una parte, la nullità, l’annullamento o la risoluzione del contratto di investimento intercorso tra l’intermediario e l’investitore, con la conseguente ripetizione dell’indebito, o ancora il risarcimento del danno, ma per culpa in contraendo dell’intermediario; dall’altra il risarcimento dei danni patiti dagli associati al TFA e cagionati dall’emittente dei titoli, e commisurati al rimborso dei medesimi) e per la causa petendi (avanti al giudice ordinario i vizi genetici del contratto di investimento intercorso tra l’investitore e l’intermediario, ovvero l’inadempimento di quest’ultimo, o ancora la sua responsabilità precontrattuale, per l’asserita violazione degli obblighi di informazione correttezza e trasparenza cui è tenuto l’intermediario; nella sede arbitrale la violazione dell’accordo internazionale da parte della Repubblica argentina).

Vanamente, del resto, si ricercherebbe, nel corpo delle disposizioni della L. n. 334 del 1993 o della Convenzione di Wasghington, una norma che osti all’introduzione, da parte dell’investitore danneggiato, di un giudizio civile nei confronti di soggetto diverso dalla sua controparte nel giudizio arbitrale (diverso, cioè, nella specie, dalla Repubblica argentina). La L. n. 334 del 1993, art. 8, comma 5, prevede, infatti, che fin dal momento in cui abbia avuto inizio un procedimento arbitrale, ciascuna delle parti nella controversia adotti ogni utile iniziativa intesa a desistere dall’azione giudiziale in corso: ma, per quanto qui interessa, la disposizione non può che riferirsi all’azione intrapresa nei confronti dell’emittente, dovendo il comma 4 essere letto in continuità col comma 1, ove è parola della “controversia relativa agli investimenti insorta tra una Parte Contraente ed un investitore dell’altra, riguardo problemi regolati dal presente Accordo”. Allo stesso modo, la limitazione contenuta nell’art. 26 della convenzione di Washington, secondo cui il consenso delle parti alla procedura d’arbitrato è, salvo contraria indicazione, presunzione di rinuncia ad ogni altra forma di ricorso, opera nei rapporti tra i contendenti in sede arbitrale con riguardo alle pretese che possono trovare soddisfacimento in quella sede: non può certo ritenersi preclusiva dell’azione introdotta dall’investitore nei confronti di un diverso soggetto, personalmente tenuto a rispondere del proprio operato nei confronti dell’investitore stesso nell’attività di negoziazione dei titoli. Che il giudizio arbitrale avanti all’ICSID e l’azione civile nei confronti dell’intermediario non siano sovrapponibili è, del resto, reso manifesto dal fatto che potrebbe configurarsi una responsabilità dell’intermediario nella prestazione del servizio di investimento, o anche una patologia del contratto di intermediazione finanziaria, senza che ricorra una violazione delle norme convenzionali contenute nell’Accordo di Buenos Aires tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina del 22 maggio 1990 (cui ha dato ratifica, come si è detto, la L. n. 334 del 1993); così come, viceversa, potrebbe delinearsi una responsabilità dello Stato emittente senza che, in concreto, l’intermediario sia da considerare inadempiente e senza che il contratto da lui concluso con l’investitore possa ritenersi affetto da alcun vizio, genetico o funzionale. In tale prospettiva, la previsione normativa dell’impossibilità, da parte dell’investitore, di agire nei confronti dell’intermediario in pendenza del procedimento arbitrale risulterebbe priva, dunque, di un razionale fondamento giustificativo e realizzerebbe, anzi, una violazione del principio costituzionale della tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24 Cost.).

Non esiste pertanto alcuna ragione giuridica che impedisse agli odierni ricorrenti di agire in giudizio nei confronti dell’intermediario nonostante la pendenza del procedimento arbitrale avanti all’ICSID. Rilievo preclusivo, ma rispetto all’accoglimento nel merito della domanda proposta avanti al giudice italiano, avrebbe, semmai, il conseguimento, in sede arbitrale, di un ristoro patrimoniale che, per la sua entità, sia idoneo ad eliminare tutti gli effetti negativi risentiti dall’investitore per effetto dell’operazione finanziaria conclusa con l’intervento dell’intermediario. E’ evidente, infatti, come l’esperibilità del giudizio nei confronti di quest’ultimo soggetto non possa mai portare all’effetto di un arricchimento ingiustificato dell’investitore. In altri termini, l’ordinamento non fa divieto di contestualmente intraprendere sia la procedura arbitrale presso l’ICSID nei confronti dello Stato emittente dei titoli sia quella giurisdizionale ordinaria contro l’intermediario nel servizio di investimento, ma esclude la duplicazione della prestazione patrimoniale, risarcitoria o restitutoria, con cui sono neutralizzati gli effetti dell’operazione di acquisto.

Quest’ultimo profilo, su cui la controricorrente si è soffermata nella propria memoria, invocando, sul punto, la statuizione di cessazione della materia del contendere, non è propriamente inerente al presente giudizio di legittimità; nondimeno esso potrà essere preso in considerazione dal giudice del rinvio al fine di valutare il fondamento, nel merito, della pronuncia restitutoria.

5. – L’accoglimento dei tre motivi in esame determina l’assorbimento dei restanti.

6. – In conseguenza, e nei limiti di quanto indicato, la sentenza va cassata.

Il giudice del rinvio dovrà fare applicazione del presente principio di diritto: “La mera pendenza del giudizio arbitrale avanti all’International Centre for the Settlement of Investiment Disputes (ICSID), in forza della L. n. 334 del 1993, art. 8,comma 4, di ratifica dell’Accordo di Buenos Aires tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina del 22 maggio 1990, intercorrente tra lo Stato argentino e la (OMISSIS) (TFA), associazione per la tutela degli investitori in titoli argentini, non rende improponibile l’azione intrapresa dall’investitore italiano, che abbia in precedenza aderito alla detta associazione, nei confronti della banca intermediaria nell’acquisto di quei titoli, e fondata sulla nullità, l’annullamento, la risoluzione per inadempimento del contratto di intemediazione finanziaria o sulla responsabilità risarcitoria del predetto intermediario agli obblighi che a questo fanno carico”.

Competerà al giudice del rinvio statuire sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo, rigetta il primo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2018

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