Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28053 del 02/11/2018

Cassazione civile sez. un., 02/11/2018, (ud. 10/04/2018, dep. 02/11/2018), n.28053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3882-2017 proposto da:

CHECK UP S.R.L. – CENTRO MEDICO POLISPECIALSTICO, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. NICOTERA 31 presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

ASTONE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

CLAUDIO CONSOLO, RAFFAELE CARRANO e PIETRO RESCIGNO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI SALERNO, in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati GENNARO SASSO, EMMA TORTORA e VALERIO CASILLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 552/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 17/10/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/04/2018 dal Consigliere RAFFAELE FRASCA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale LUCIO CAPASSO, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato Valerio Casilli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Check Up s.r.l. – Centro Medico Polispecialistico ha proposto ricorso per cassazione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione contro l’Azienda Sanitaria Locale di Salerno (già Azienda Sanitaria Locale Salerno (OMISSIS)) avverso la sentenza del 17 ottobre 2016, con la quale la Corte di Appello di Salerno, dopo avere disatteso eccezioni di rito inerenti alla ritualità dell’appello della detta Azienda, in accoglimento del primo motivo di appello di quest’ultima ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e la sussistenza della giurisdizione dell’A.G.A. sulla controversia introdotta da essa ricorrente con un ricorso per decreto ingiuntivo nel febbraio del 2007 davanti al Tribunale di Salerno.

2. Con il ricorso monitorio la ricorrente, adducendo di avere maturato un credito nei confronti dell’ASL, come emergeva da tre fatture emesse il 29 dicembre del 2006 per prestazioni sanitarie di diagnostica per immagini, effettuate in quel mese in regime di convenzione con l’ASL e rimaste soltanto parzialmente onorate, chiedeva ed otteneva l’ingiunzione del pagamento del residuo per Euro 79.401,11 oltre interessi.

3. Nell’atto di opposizione avverso il decreto ingiuntivo l’Asl eccepiva il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e nel merito contestava la debenza della somma ingiunta adducendo che essa non era dovuta in quanto correlata a prestazioni eseguite in eccedenza rispetto al tetto della spesa sanitaria stabilito dalla stessa ASL per il 2006 con una deliberazione regionale n. 800 del 16 giugno 2006 e con altra n. 1120 del 29 dicembre 2006.

4. Al ricorso per cassazione, che prospetta un unico motivo afferente alla giurisdizione, ha resistito con controricorso L’ASL.

5. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, “violazione o falsa applicazione dell’art. 113 Cost., D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, novellato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, e così come risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale parziale Corte cost. n. 204 del 2004, per avere il Giudice ordinario declinato la propria giurisdizione su una controversia vertente esclusivamente sulla spettanza di un diritto soggettivo di credito al corrispettivo, chiaramente rientrante nella giurisdizione dell’A.G.O.”.

2. La sentenza impugnata, dopo avere premesso considerazioni sull’assetto normativo inerente al riparto della giurisdizione nella materia dei pubblici servizi ed avere in chiusura di esse richiamato il principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un., n. 10149 del 2012, ha declinato la giurisdizione sulla base delle seguenti considerazioni.

2.1. Premesso il rilievo che la ricorrente aveva agito con il ricorso monitorio in regime di c.d. accreditamento provvisorio con la Regione Campania, adducendo di avere eseguito, in forza del relativo rapporto, “prestazioni sanitarie riabilitative di fisioterapia, per il mese di novembre del 2006” e chiedendo il pagamento dei relativi corrispettivi sulla base di tre fatture, la corte salernitana ha rilevato che, nel proporre opposizione, la debitrice non si era “limitata ad una generica contestazione della fondatezza della pretesa, ma” aveva “dedotto la estraneità delle prestazioni poste a base della pretesa creditoria azionata in giudizio rispetto all’ambito operativo della convenzione”, sostenendo “a tal fine (…) l’avvenuto superamento, da parte della società ricorrente, dei volumi massimi di spesa per le prestazioni erogabili in regime di accreditamento, relativamente all’anno al quale la richiesta di pagamento era riferita” ed in proposito richiamando la delibera regionale n. 800/06 del 16 giugno 2006 (avente ad oggetto: “Volumi di prestazioni sanitarie per l’anno 2006 e correlati limiti di spesa- Determinazioni”) e la delibera n. 1120 del 29.12.2006 dell’A.S.L. (con cui essa aveva determinato i limiti di spesa e le conseguenti regressioni tariffarie).

2.2. La sentenza impugnata ha, quindi, osservato che era “evidente che siffatta eccezione” avesse “comportato un preliminare accertamento in ordine al rapporto scaturito dalla originaria convenzione, ponendo così il giudicante nella condizione di dover pregiudizialmente) individuare il contenuto e l’ambito di operatività della convenzione stessa, nonchè la legittimità degli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione nel corso dello svolgimento del relativo rapporto”. Ha poi soggiunto quanto segue: “In sostanza, dovendosi il giudice attenere, ai fini della individuazione della giurisdizione, alla prospettazione che le parti hanno complessivamente offerto nell’ambito dell’espletamento della rispettiva attività assertiva, va escluso che la causa in esame attenga unicamente (come, invece, ritenuto dal tribunale) al pagamento di corrispettivi per prestazioni effettuate in regime di concessione, implicando le questioni sollevate dalla opponente una preliminare indagine sul contenuto e sull’ambito di operatività del rapporto concessorio.”. Quindi, dopo avere richiamato, con riferimento alla situazione di riparto di giurisdizione esistente nella vigenza della L. n. 1034 del 1971, art. 5 i principi di cui a Cass. Sez. Un., n. 8212 del 2004 (nel senso che: “Nel sistema dell’assistenza sanitaria, la convenzione tra la Regione e la struttura privata, stipulata ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 44, ha natura di contratto di diritto pubblico e dà vita a un rapporto che si inquadra nello schema della concessione amministrativa di pubblico servizio, ricollegandosi a scelte di programmazione sanitaria riguardo alle quali l’Amministrazione conserva poteri autoritativi e di controllo anche nella fase attuativa; pertanto la controversia che investe la determinazione del contenuto di tale convenzione, ed in particolare la configurabilità, nel suo ambito, di un tetto massimo di spesa, rientra, ai sensi della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”), nonchè quelli di cui a Cass. Sez. Un. n. 7861 del 2001 (nel senso che: “Le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi, riservate, in materia di concessioni amministrative, alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere d’intervento della P.A. a tutela di interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolge la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo”), ha osservato, richiamando Cass., Sez. Un., n. 16605 del 2005, che quei principi erano stati confermati con riferimento alle vicende normative del riparto originate dalla D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, nel testo sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, siccome risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004.

La corte territoriale ha, inoltre, evocato nello stesso senso il principio affermato da Cons. Stato, Sez. 3, 11 luglio 2013, n. 3741).

2.3. Ha, quindi, ulteriormente osservato che: “Con riferimento al caso in esame, giova ricordare che nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, la opponente ha sostanzialmente contestato la pretesa creditoria, deducendo che la stessa esulava dal rapporto di concessione, in quanto avanzata in relazione a prestazioni eccedenti il tetto massimo di spesa autoritativamente fissato per quell’anno dall’amministrazione concedente. La struttura concessionaria del servizio, nella propria comparsa di risposta, ha insistito nella domanda, deducendo, specificamente, che prima della notifica del decreto ingiuntivo la ASL non aveva ancora adottato alcuna delibera con la quale veniva stabilito il tetto massimo di spesa per ogni singola struttura provvisoriamente accreditata; che un preteso sforamento per macroarea non avrebbe potuto essere ripartito in maniera astratta e generica su tutti i centri provvisoriamente accreditati appartenenti ad una stessa branca, senza che si tenesse conto dell’effettivo sforamento da parte di ciascuna singola struttura; che la regressione tariffaria applicata in ragione della determinazione “ex post” del tetto massimo di spesa per l’anno 2006 non poteva avere efficacia retroattiva. E’ quindi evidente che la domanda, cosi come definitivamente fissata dalla società ricorrente in seguito alla opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla ASL, comporti un accertamento di carattere pregiudiziale rispetto alla pretesa meramente patrimoniale originariamente formulata involgente con il ricorso introduttivo, accertamento che deve necessariamente involgere la legittimità del provvedimento con il quale la P.A. ha autoritativamente fissato il limite oltre il quale, secondo l’assunto della opponente, la convenzione perderebbe efficacia e al concessionario non spetterebbe alcun rimborso. Intesa la questione nei predetti temimi, appare incontrovertibile che il petitum non possa essere limitato, come ha invece fatto il primo giudice, alla sola originaria pretesa formulata con il ricorso per decreto ingiuntivo, ma debba essere inquadrato in relazione alla ulteriore attività assertiva svolta dalla creditrice sulla base delle eccezioni della opponente. Ne può ritenersi che le eccezioni sollevate dall’opponente non abbiano alcuna incidenza sulla giurisdizione. Invero, nel caso si specie, trattandosi di un giudizio a contraddittorio differito, in seguito alla proposizione della opposizione le eccezioni del convenuto hanno comportato, come si è detto, la precisazione della originaria domanda, con la introduzione di questioni che involgono il pregiudiziale accertamento in ordine alla legittimità dell’attività posta in essere dalla P.A. nel corso del rapporto, devolvendone la cognizione al giudice amministrativo. Sul punto giova richiamare un principio affermato dalla Supreme Corte, secondo cui “La giurisdizione, come si desume dal principio di cui all’art. 5 cod. proc. civ., si determina sulla base della domanda proposta dall’attore, e non anche del contenuto delle eventuali eccezioni sollevate dal convenuto, a meno che le stesse non evidenzino che la pretesa giudiziale avversa, già come “ab initio” formulata, implichi l’accertamento di situazioni soggettive esulanti dalla cognizione del giudice adito (Cass. (Sez. Un.) 12 novembre 2012, n. 19600)”.

3. Parte ricorrente, illustrando il motivo di ricorso, ha criticato la motivazione della sentenza impugnata con le seguenti argomentazioni:

a) i giudici salernitani avrebbero erroneamente ritenuto attratta la controversia alla giurisdizione amministrativa dando rilievo all’eccezione proposta dall’ASL nel senso del superamento del tetto di spesa stabilito dalle deliberazioni amministrative invocate, mentre tale prospettazione, integrando un’eccezione e tra l’altro nemmeno dimostrata “avrebbe potuto rilevare semmai ai soli fini del merito, qual mero fatto estintivo o modificativo del diritto di credito oggetto del giudizio, e così ai soli fini della quantificazione del corrispettivo maturato” dalla ricorrente, e ciò perchè la proposizione di una mera eccezione da parte della convenuta non aveva allargato l’oggetto del processo e tanto meno aveva avuto effetti su un presupposto processuale come la giurisdizione, giacchè essa si determina dalla domanda;

b) la sentenza impugnata avrebbe male applicato il principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 10149 del 2012 (e anteriormente da altre decisioni di questa Corte), non considerando che non era controversa la sussistenza del rapporto concessorio e non era stata impugnata la delibera di determinazione del tetto di spesa;

c) la prospettazione della rilevanza della delibera regionale n. 800 del 2016 e di quella successiva dell’ASL, che aveva determinato i limiti di spesa e la conseguente regressione tariffaria, non si erano, del resto sostanziate in una domanda riconvenzionale e l’oggetto del processo era rimasto confinato nella domanda proposta in via monitoria, mentre risulterebbe incomprensibile l’affermazione che l’eccezione dell’ASL avesse avuto l’effetto di “precisare” quella domanda;

d) essa ricorrente nemmeno aveva sollecitato la disapplicazione di atti amministrativi e, se lo avesse fatto, essa sarebbe stata possibile potendo il giudice ordinario conoscere incidenter tantum della legittimità di atti amministrativi generali ed astratti e disapplicarli senza esorbitare dalla sua giurisdizione.

3.1. Sulla base di tali deduzioni la ricorrente ha sostenuto che la corte territoriale avrebbe violato il consolidato principio secondo cui ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il petitum sostanziale, che andrebbe identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio.

4. Il motivo di ricorso è fondato nei sensi di seguito indicati e dev’essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Corte d’Appello di Salerno.

4.1. In via preliminare, essendo pacifico che il regime concessorio intercorrente fra le parti ha natura di concessione di pubblico servizio, si rileva che non è in discussione che, avuto riguardo al momento in cui è stata introdotta la controversia, la giurisdizione su di essa sia regolata dall’assetto normativo scaturito a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 ed in particolare della declaratoria di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7. Per effetto di tale declaratoria e per quanto qui interessa, il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 1, come sostituito dalla L. n. 205 del 200, art. 7, lett. a), venne caducato nella parte in cui prevedeva che fossero devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi anzichè “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”. La decisione della Consulta, com’è noto, determinò il sostanziale ritorno al criterio di riparto a suo tempo operante nel regime della L. n. 1034 del 1971, art. 5, e quel criterio in fine è stato recepito, senza significative modifiche, dal Codice del processo amministrativo, emanato con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (art. 133, comma 1, lett. c).

4.2. Ciò premesso, si rileva che, poichè la controversia introdotta dalla ricorrente con il ricorso monitorio aveva ad oggetto la richiesta di condanna della resistente al pagamento di corrispettivi dovuti in relazione all’intercorso rapporto concessorio ed in forza delle prestazioni di servizio eseguite dalla ricorrente secondo il c.d. regime di accreditamento provvisorio (di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modifiche), non è dubbio che nella prospettazione introduttiva la domanda fosse riconducibile alla giurisdizione del giudice ordinario.

Lo ha implicitamente riconosciuto la stessa corte territoriale, là dove ha declinato la giurisdizione non già sulla domanda per come era stata originariamente proposta, bensì sulla domanda per come, a suo dire, sarebbe stata “precisata” dalla creditrice a seguito della proposizione da parte della debitrice opposta dell’eccezione di giurisdizione, prospettata sotto il profilo che le somme ingiunte non erano dovute in ragione dell’efficacia: a) di una deliberazione della Regione Campania, la n. 800 del 2006, la quale aveva fissato i limiti del tetto della spesa sanitaria per l’anno 2006 e disposto che le AA.SS.LL. applicassero ai soggetti erogatori del servizio in forza di concessioni le c.d. regressioni tariffarie in relazione ai compensi per le prestazioni effettuate; b) della propria conseguente delibera, che aveva determinato in concreto il tetto della spesa per le prestazioni erogate dal comparto erogatore dei servizi, in cui operava la ricorrente.

Le pretese precisazioni della sua originaria domanda che avrebbe effettuato la creditrice qui ricorrente si sarebbero sostanziate, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, nella deduzione, in replica all’eccezione per come formulata dalla resistente, di tre circostanze: a) l’essere stata la deliberazione di applicazione della delibera regionale sulla fissazione del tetto massimo di spesa adottata successivamente al ricorso monitorio; b) il doversi operare la ripartizione all’interno della macroarea di appartenenza del servizio della ricorrente non già con incidenza su tutte le strutture in accreditamento, bensì considerando l’effettivo sforamento rispetto al tetto massimo da parte di ognuna; c) l’impossibilità che la regressione tariffaria operasse in modo retroattivo.

La prima di dette deduzioni avrebbe postulato l’ininfluenza ratione temporis sul giudizio della deliberazione applicativa di quella regionale sul tetto di spesa in ragione dell’essere stata adottata dopo la sua introduzione: essa, dunque, avrebbe negato l’efficacia sulla vicenda oggetto della controversia della deliberazione in quanto fatto sopravvenuto al giudizio.

La seconda deduzione avrebbe avuto il significato di una denuncia di illegittimità della delibera in ragione del criterio di ripartizione adottato.

La terza deduzione si sarebbe risolta nella negazione dell’incidenza sulla vicenda giudicata dell’efficacia della deliberazione regionale per essere la sua efficacia inidonea ad operare su di essa in quanto non dotata di forza retroattiva, cioè priva di forza regolatrice dell’obbligazione di pagamento dei corrispettivi maturata anteriormente alla sua adozione.

4.3. Ancorchè la sentenza impugnata non espliciti il suo asserto correlandolo ad un atto processuale del giudizio di merito, l’esame della comparsa di risposta di primo grado della ricorrente (che essa ha prodotto in seno al fascicolo di appello, a sua volta prodotto in questo giudizio di legittimità) rende palese che la corte salernitana ha inteso riferirsi a quanto la ricorrente aveva dedotto nelle pagine 9-12 di detto atto, sotto la rubrica “Sulla presunta infondatezza della pretesa”.

4.4. Le deduzioni in replicationes alla prospettazione dell’ASL che sono espresse alle pagine indicate (alle quali qui si fa rinvio) non sono, per la verità, del tutto coincidenti con la rappresentazione che ne ha fatto riassuntivamente la sentenza impugnata: in particolare, emerge che, con la prima deduzione ci si era doluti non già che il ricorso monitorio fosse stato richiesto anteriormente all’adozione della deliberazione del dicembre 2006 di attuazione della deliberazione regionale, ma, in realtà, che alla ricorrente di essa fosse stata data notizia – con una nota dirigenziale (del Dirigente dell’U.V.P.S. -A.C. prot. 711 del 18 maggio 2007) – dopo quella richiesta.

Comunque, tutte le deduzioni esprimevano certamente l’assunto che la pretesa creditoria fatta valere dalla ricorrente non potesse subire l’incidenza della deliberazione della stessa ASL ed anzi la seconda e la terza postulavano, ponendolo come problema di prova del superamento del tetto massimo, anche che il suo contenuto fosse stato carente o meglio che il potere dell’ASL di dare attuazione alla deliberazione regionale si fosse attuato in maniera incompleta, occorrendo l’individuazione di specifici tetti di spesa per tutti i soggetti erogatori della prestazioni e, dunque, specificamente per la stessa ricorrente.

In particolare, le deduzioni si concretarono per un verso, cioè quanto all’allegazione che la deliberazione non era incidente sotto i profili indicati, in un assunto che si risolveva nella stessa negazione della soggezione della pretesa creditoria esercitata al potere autoritativo espresso nella deliberazione dell’ASL, per altro verso nel sostenere che, quando pure quella soggezione fosse stata astrattamente predicabile, il suo modo di essere non si sarebbe dovuto esplicare nel senso della ripartizione astratta (e, dunque, in eguale percentuale) fra tutti i soggetti della macroarea (cioè del comparto erogatore delle prestazioni, cui apparteneva la ricorrente) bensì applicando lo sforamento con riferimento alla specifica posizione di ognuno, con conseguente carenza di un provvedimento in questo secondo senso e illegittimità del suo diverso contenuto.

Sotto l’uno e l’altro profilo le deduzioni integrarono certamente contestazioni sulla legittimità dell’invocazione dell’esercizio di un potere autoritativo della p.a. La connotazione in questo senso è innanzitutto implicata dalla circostanza che la deliberazione dell’ASL è attuativa della deliberazione regionale di fissazione del tetto massimo in regime di c.d. accreditamento provvisorio, la quale è espressione senza dubbio di un potere amministrativo previsto dalla legge (siccome emerge dal sistema del D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modifiche), che si estrinseca in un atto amministrativo a contenuto generale con il quale la regione provvede alla fissazione di quel tetto per il servizio sanitario nel suo ambito territoriale e prescrive agli organismi come le Asl, attraverso i quali il servizio è articolato, di procedere al fine di assicurare il rispetto del tetto per l’ambito sul quale ognuno è preposto. Il potere di attuazione da parte di tali organismi, per il fatto stesso che deve in concreto realizzare quanto disposto dalla regione, non può che avere la stessa natura e dunque anch’esso carattere tendenzialmente autoritativo, ancorchè diretto ad incidere sul profilo del rapporto di concessione di servizio inerente al corrispettivo, che è regolato dall’accordo contrattuale comunque disciplinante lo svolgimento del regime di accreditamento provvisorio.

Il potere dei detti organismi risulta autoritativo per il fatto stesso che deve attuare l’atto regionale espressione di potere autoritativo e tale natura è rafforzata anche dal fatto che per l’attuazione di quanto disposto da detto atto regionale gli organismi debbono compiere a loro volta valutazioni che implicano apprezzamento di interessi di natura pubblicistica inerenti all’organizzazione del servizio sanitario nel rispettivo ambito territoriale.

Gli atti di attuazione della delibera regionale non possono, invece, considerarsi espressione di un potere privatistico di diritto comune, cioè giustificato dall’accordo regolatore del rapporto di accreditamento provvisorio, ancorchè in esso la possibilità che sui corrispettivi incida il meccanismo di imposizione del tetto di spesa sia contemplata. Si tratta di una previsione che non attribuisce al potere di fissazione del c.d. tetto massimo ed alla sua applicazione in concreto natura contrattuale e, dunque, paritetica, avendo solo il valore di richiamo a quanto emergente dalla disciplina legislativa del regime concessorio in c.d. accreditamento provvisorio, nel cui ambito è contemplata la previsione della possibilità della c.d. regressione tariffaria. Il potere discende cioè dalla legge.

4.5. Il controllo sull’esercizio di tale potere ed in particolare sulla legittimità del relativo provvedimento attuativo della deliberazione regionale non può essere ricondotto nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario inerente alle controversie sulle indennità, sui canoni o altri corrispettivi, ancorchè tale provvedimento in concreto incida sulla debenza di tali entità.

Queste le ragioni.

4.6. E’ vero che quando la legge (nella specie per come risultante dalla già ricordata pronuncia della Corte costituzionale e per come faceva già la L. n. 1034 del 1971, art. 5 ed ora fa nel D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), recante il codice del processo amministrativo) allude a dette controversie, usa una formulazione che certamente si presta in prima battuta ad essere intesa come comprensiva anche delle liti nelle quali si discute della pretesa a dette spettanze in quanto dovute sulla base della disciplina del rapporto di concessione e, dunque, anche con riferimento alle varie modalità che esso prevede per la loro determinazione e ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di modalità di determinazione espressione di poteri soggetti al diritto comune o di modalità di determinazione espressione di poteri autoritativi della p.a. concedente.

Ma in concreto l’ampiezza della formulazione non toglie che il legislatore abbia inteso riferirsi ad esse solo nel primo senso e dunque esclusivamente alla controversia sulla determinazione che dipenda dall’applicazione della disciplina del rapporto concessorio in quanto connotata da una posizione di pariteticità delle parti e pertanto dall’assenza di poteri autoritativi della p.a. concedente e dall’attribuzione ad essa soltanto di poteri iure privatorum, cioè dei normali poteri riconosciuti ad una parte di un rapporto di diritto comune, qual è l’accordo contrattuale che la p.a. e il concessionario stipulano per dar corso al regime di erogazione delle prestazioni in c.d. accreditamento.

Se ed invece la controversia riguardi quella determinazione in quanto dipendente da poteri autoritativi pubblicistici riconosciuti alla p.a., nel senso di abilitarla ad intervenire autoritativamente sulle indennità, sui canoni, sui corrispettivi, la formulazione attributiva della giurisdizione al giudice ordinario non può essere intesa nel senso che ad esso competa di controllare la legittimità dell’esercizio di quel potere.

Questa seconda opzione esegetica è giustificata alla stregua dell’interpretazione costituzionale che si impone in base alla norma dell’art. 113 Cost., comma 3. Tale norma dispone che “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge”. In tal modo la norma esige che una legge ordinaria dica espressamente quando la giurisdizione ordinaria in una determinata materia può annullare un atto della pubblica amministrazione e che ne indichi gli effetti. Ed il riferimento all’annullamento, concretandosi l’annullamento nella negazione dell’efficacia provvedimentale dell’atto, va inteso non solo nel senso che occorre che la legge debba attribuire un potere di annullamento espressamente, ma anche correlativamente che, in mancanza di tale attribuzione, l’a.g.o., quando le sia attribuita la giurisdizione su un rapporto con una p.a. non può neppure negare quella efficacia sebbene non tramite un formale annullamento, ma disconoscendola: tale disconoscimento si risolverebbe in una sorta di annullamento in senso sostanziale.

Ora, poichè nel caso di specie la formulazione attributiva della giurisdizione ordinaria non dice espressamente che l’a.g.o. ha il potere di annullare eventuali atti autoritativi incidenti sulla determinazione delle indennità, dei canoni e dei corrispettivi, deve escludersi che la detta giurisdizione possa comprendere la possibilità del giudice ordinario investito di una controversia al riguardo di deciderla eventualmente annullando formalmente o disconoscendo sostanzialmente l’efficacia (e, dunque, facendo luogo ad una sorta di annullamento sostanziale) il provvedimento della p.a. che abbia inciso in qualche modo sull’obbligazione di corresponsione di indennità, canoni e corrispettivi.

Ne deriva che il giudice ordinario non può essere adito con una domanda che postuli la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi previo annullamento dell’eventuale deliberazione autoritativa della p.a. che abbia inciso in qualche modo sulla loro relativa debenza.

Poichè la giurisdizione si determina dalla domanda, sebbene secondo il criterio del c.d. petitum sostanziale, la stessa soluzione si giustifica nel caso in cui con la domanda si chieda la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi postulando l’accertamento incidentale dell’invalidità della suddetta deliberazione in quanto incidente sulla loro determinazione e ciò per la ragione che, quando si prospetti con la domanda giudiziale un determinato modo di essere di un rapporto pregiudicante, qual è una deliberazione di quel genere, la domanda, pur se il petitum formale immediato non concerna tale accertamento, deve ritenersi comprensiva di esso, giacchè l’art. 34 cod. proc. civ. concepisce la possibilità di un accertamento incidentale del rapporto pregiudicante (qual è quello concretatosi nella deliberazione incidente) come possibile solo se la contestazione sul suo modo di essere sia prospettata dal convenuto, mentre se esso sia prospettato come contestato dallo stesso attore il relativo accertamento è oggetto della domanda giudiziale.

In questo caso il giudice ordinario deve ritenersi investito di una domanda di accertamento della illegittimità della deliberazione e, quindi, secondo il criterio del petitum sostanziale, di una domanda di annullamento di essa e deve su tale domanda declinare la giurisdizione, trattenendo la sola domanda di condanna alle indennità, canoni o corrispettivi (salvo poi sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c. su di essa in attesa della definizione di quello rimesso all’a.g.a.).

La domanda di annullamento proposta espressamente o impropriamente in via incidentale, una volta considerato che nella materia la giurisdizione del giudice amministrativo è esclusiva, è da ascrivere alla giurisdizione del giudice amministrativo secondo tale qualificazione e non in via di sola legittimità, con la conseguenza che concerne indifferentemente tanto la cognizione degli interessi legittimi quanto quella dei diritti soggettivi e ciò tanto nel regime normativo applicabile alla controversia sotto il quale è insorta la presente lite quanto sotto quelli successivi e sopra indicati.

4.7. Ci si deve interrogare, poi, su quali siano i poteri del giudice ordinario, qualora egli venga investito di una domanda intesa ad ottenere la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi e sia la p.a. concedente a dedurre, come è accaduto nella specie, in via di eccezione, che essa non sia dovuta in tutto od in parte in ragione dell’esistenza di un proprio provvedimento autoritativo, adottato sulla base di una previsione normativa, che ne ha escluso la debenza totale o parziale.

Giusta la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul provvedimento, consegue che il giudice ordinario, se il provvedimento risulti impugnato e sub iudice davanti al giudice amministrativo, si trova nella condizione indicata dall’art. 295 c.p.c..

Se il provvedimento è ancora impugnabile oppure sono decorsi i termini per impugnarlo e, dunque, esso si è consolidato, oppure è stato impugnato ed il giudicato l’ha parimenti consolidato, il giudice ordinario si trova, invece, nella condizione di dover decidere la controversia dando rilievo al provvedimento ed all’efficacia sua propria e ciò in quanto non ha il potere che di fronte agli atti amministrativi la legge gli riconosce con la L. n. 2248 del 1865, art. 5,allegato E, abolitiva del contenzioso amministrativo: è noto, infatti, che “il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario non può essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati” (Cass., Sez. Un., n. 2244 del 2015).

Il giudice ordinario non può dunque mettere in discussione l’efficacia del provvedimento sulla controversia a lui devoluta e deve riconoscerla, decidendo, dunque, la controversia con il dare rilievo alla deliberazione e senza poterne metterne in discussione la validità e l’efficacia. In altri termini il giudice ordinario ha un potere di accertamento incidentale limitato alla sola esistenza della deliberazione e non può sindacare la sua validità ed efficacia, stante l’indicata esclusione del potere di disapplicazione, che si risolve nell’impossibilità di dar corso ad un accertamento incidenter tantum, altrimenti consentito dall’art. 34 cod. proc. civ. La ragione del restringimento della cognizione incidentale derivante dalla riferita interpretazione restrittiva dell’art. 5 della legga abolitiva del contenzioso amministrativo è che l’accertamento sulla materia oggetto dell’eccezione fondata sulla deliberazione è riservato alla giurisdizione ammnistrativa e dunque: a) se la parte privata non l’ha ancora impugnato le compete di eventualmente impugnarlo, mentre frattanto deve soggiacere alla sua efficacia; b) se l’impugnazione non è avvenuta ed il provvedimento si è consolidato, la soggezione è giustificata a maggior ragione; c) se l’impugnazione è avvenuta e sia stata rigettata con sentenza dell’a.g.a. passata in cosa giudicata, vi è solo da dare rilievo a quest’ultima.

4.8. Qualora il privato, in replica alla prospettazione della p.a., neghi che l’incidenza sull’oggetto della controversia possa estrinsecarsi o sostenga l’illegittimità del provvedimento stesso, come è accaduto nella fattispecie, non è sostenibile che questa replica all’eccezione, prospettata dall’amministrazione con l’invocare l’efficacia del provvedimento, determini automaticamente la conseguenza che la controversia si debba intendere nella sostanza come controversia sull’esercizio del potere autoritativo di cui è espressione il provvedimento, con la conseguenza che il giudice ordinario debba dichiarare il suo difetto di giurisdizione.

Vi osta il principio per cui la giurisdizione si determina della domanda e ciò ancorchè esso notoriamente si debba intendere nel senso che la “domanda” deve individuarsi sulla base del petitum sostanziale e non sulla base della mera prospettazione. Il petitum sostanziale espresso nella domanda con cui si chiedono le indennità, i canoni o, come nella specie, i corrispettivi non è inciso dalle replicationes a meno che esse non si siano sostanziate in una modifica del tenore originario della domanda, il che esige però un’attività della parte privata di riformulazione della domanda stessa con la richiesta di accertare con efficacia di giudicato l’illegittimità dell’attività provvedimentale la cui rilevanza è stata eccepita dalla p.a..

In mancanza di detta riformulazione della domanda, le replicationes alle eccezioni della p.a. circa l’efficacia del provvedimento restano soltanto fatti che il giudice ordinario deve esaminare per decidere sulla originaria domanda. Incidono sull’oggetto del processo ma non su quello della domanda. Sotto tale profilo sollecitano solo un sindacato incidentale sulla legittimità del provvedimento che, però, non è consentito alla stregua dell’indicato limite del potere di disapplicazione e che non lo è tanto più in un assetto nel quale sulla legittimità del provvedimento si configura la giurisdizione del giudice amministrativo in via esclusiva, cioè estesa anche alle situazioni di diritto soggettivo. L’esistenza della giurisdizione esclusiva e, quindi, dell’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della cognizione della legittimità del provvedimento anche ai fini della tutela di quelle situazioni, impedirebbe comunque – cioè al di là dell’indicata esclusione del potere di disapplicazione per essere la controversia con la p.a. – di giustificare il potere di disapplicazione assumendone come oggetto l’esercizio in funzione della tutela della situazione di diritto soggettivo, in ipotesi rimasta tale nonostante l’esercizio del potere della p.a. con il provvedimento. E tanto si presta ad escludere anche il potere di disapplicazione nei casi in cui la deliberazione incidente sulla controversia non fosse stata emanata dalla p.a. che sia in causa, ma da un’autorità sopra ordinata, come nel caso – che non è quello oggetto di controversia, in cui non pare che la replicatio della qui ricorrente si sia spinta a contestare la deliberazione regionale n. 800 del 2006 – della deliberazione regionale generale applicativa del tetto di spesa ed impositiva della regressione.

La questione della possibilità o meno della disapplicazione – è appena il caso di avvertirlo – non somministra una questione di giurisdizione, ma si concreta in una questione di merito interna alla giurisdizione del giudice ordinario.

Giusta le svolte considerazioni consegue che le replicationes tese a postulare l’accertamento della illegittimità del provvedimento debbono essere considerate dal giudice ordinario irrilevanti ai fini del decidere, mentre deve escludersi che la loro introduzione assuma rilievo ai fini della individuazione della giurisdizione, come invece ha ritenuto nel caso di specie la sentenza impugnata, male applicando, peraltro, il principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 16700 del 2012, il quale, là dove allude alla possibilità che le eccezioni della p.a. convenuta evidenzino che la pretesa giudiziale avversa, già come ab initio formulata, implichi un accertamento esulante dalla cognizione del giudice adito, ha inteso alludere al caso in cui già il tenore della domanda, eventualmente proposta nel senso di postulare impropriamente tale accertamento in via incidentale, evidenzi che il petitum sostanziale esula dalla giurisdizione del giudice ordinario.

Le considerazioni che si sono venute svolgendo sono funzionali a precisare il modus operandi del riparto della giurisdizione in subiecta materia e ciò sia con riferimento all’arresto di cui a Cass., Sez. Un., n. 10149 del 2012, sia con riguardo alla recente decisione di cui a Cass., Sez. un. n. 14428 del 2017.

Va formulata un’avvertenza: per evitare che la previsione della giurisdizione ordinaria si svuoti del tutto ed essa venga posta nel nulla dalla mera invocazione da parte della p.a. della incidenza del suo potere autoritativo sull’oggetto attribuito a detta giurisdizione, siccome espressa in un provvedimento, deve distinguersi il caso in cui tale invocazione si appoggi sullo stesso contenuto del provvedimento adottato (nel senso che esso stesso sia stato emanato prevedendo quella incidenza, cioè il comportamento che l’ha prodotto nei contenuti che ha assunto) dal caso in cui la p.a. semplicemente invochi il provvedimento come legittimante il suo operato al di fuori di una espressa previsione della sua possibilità nel provvedimento o della sua adozione proprio con il contenuto che ha assunto: in questo secondo caso appartiene alla giurisdizione dell’a.g.o., per la ragione che altrimenti essa risulterebbe disponibile dalla p.a. sulla base della mera prospettazione della riconducibilità del proprio comportamento al provvedimento, il rilevare che il comportamento non era previsto dal provvedimento o non lo era con il contenuto adottato, con la conseguenza che esso, in quanto incidente – con riferimento alla specie di cui è processo – sulla debenza di indennità, canoni e altri corrispettivi, è comportamento sindacabile dall’a.g.o. In altri termini, compete all’a.g.o. il riconoscere se il comportamento tenuto dalla p.a. ed incidente su quella debenza è previsto dal provvedimento che la p.a. invoca come legittimante la sua adozione o la sua adozione con il contenuto che ha assunto. In questo caso l’a.g.o. non si ingerisce sull’ambito di efficacia del provvedimento con una valutazione della sua legittimità, che non le compete, ma procede solo alla mera attività di individuazione ricognitiva del se quel comportamento è riconducibile a quell’ambito oppure si presenta tenuto in assenza di tale riconducibilità.

5. Alla stregua delle considerazioni che si sono venute svolgendo dev’essere dichiarata sulla controversia la giurisdizione del giudice ordinario e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

La corte di rinvio deciderà la controversia considerando le replicationes svolte dalla ricorrente in punto di sopravvenienza della deliberazione dell’ASL all’introduzione del giudizio, in punto di erroneità del criterio di ripartizione adottato nell’attuazione della delibera regionale n. 800 del 2006 e in punto di inapplicabilità della deliberazione dell’ASL alla pretesa creditoria in via retroattiva. Le considererà irrilevanti se ed in quanto esse sollecitino una decisione della controversia nel senso di disconoscere l’efficacia della deliberazione stessa e dunque un accertamento incidentale tendente alla sua disapplicazione vietato dalla retta applicazione dell’art. 5 della legge abolitiva del contenzioso. In via preliminare, il giudice di rinvio dovrà verificare, questo essendo inerente invece all’àmbito della sua giurisdizione, (a) se la deliberazione, secondo il suo tenore e, quindi, per quanto dispone espressamente o anche implicitamente, abbia disposto anche riguardo alla vicenda pur se sopravvenuta alla pendenza del giudizio, (b) se disponga effettivamente il criterio di riparto da cui la ricorrente dissente e (c) se abbia efficacia retroattiva, sempre secondo il suo disposto espresso o implicito.

Questi accertamenti spetteranno al giudice di rinvio, essendo solo funzionali all’individuazione del tenore della deliberazione e dunque alla mera individuazione della sua efficacia dispositiva espressa o implicita sulla vicenda e non, invece, ad un sindacato su di essa e, pertanto, risultando finalizzati solo a considerarla come fatto rilevante (per suo espresso o implicito disposto, come s’è detto).

Lo stesso giudice di rinvio potrà verificare, per la medesima ragione, se i contenuti che la delibera dell’ASL risulta avere, in quanto da essa giustificati in forza della deliberazione regionale, sono effettivamente riconducibili a quanto quest’ultima ha disposto oppure tale riconducibilità non risulti e, dunque, i contenuti siano stati espressione di scelte dell’ASL, che in tal modo non risulteranno assistite da quella riconducibilità e, dunque, non saranno espressione di potere autoritativo giustificato dalla delibera regionale.

6. Al giudice di rinvio è rimesso di regolare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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