Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14427 del 27/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 27/05/2019), n.14427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4532-2014 proposto da:

F.S., F.E., quali eredi di S.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

PREDEN, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUIGI

CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1025/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 03/09/2013 R.G.N. 461/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.A. era titolare di pensione di reversibilità in contitolarità con il figlio Fo.Er. e di pensione di invalidità integrata al minimo. Fo.Er. decedeva il (OMISSIS) e l’evento veniva comunicato all’Inps in data 7 aprile 1998.

2. L’indebito maturato nel periodo compreso fra l’agosto 1996 ed il maggio 1999, determinato dal fatto che l’ammontare dei trattamenti era influenzato dalla presenza del congiunto, veniva quantificato nella complessiva somma di Euro 14.213,11. L’Inps dal luglio 2000 iniziava a recuperare le somme mediante trattenute mensili sulle pensioni. Nell’aprile 2003 la pensionata decedeva. L’Inps proseguiva le operazioni di recupero (per un residuo pari ad Euro 10.191,50) nei confronti di eredi della S., F.S. e F.E., i quali agivano in giudizio per sentir accertare l’irripetibilità, anche parziale, dell’indebito.

3. La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Ferrara, rigettava il ricorso proposto dagli eredi di S.A..

4. A fondamento del decisum, argomentava che nel caso erano configurabili la consapevolezza dell’insussistenza del diritto e quindi il cosiddetto dolo omissivo che legittima la ripetibilità ed impedisce l’operare della sanatoria di cui alla L. n. 448 del 1998, art. 38 per il fatto che alla morte del marito nel (OMISSIS) la signora S. era stata edotta circa gli obblighi di comunicazione e si era impegnata a segnalare alla sede provinciale dell’Inps qualsiasi variazione nella composizione familiare e qualsiasi altro evento atto a modificare il contenuto delle dichiarazioni rese entro 30 giorni dal loro verificarsi, mentre il decesso del figlio era stato comunicato a distanza di oltre tre anni dal momento in cui si era verificato.

5. Inoltre, riteneva che non potesse trovare accoglimento il rilievo della irripetibilità dei ratei di pensione versati dopo il 7/4/1998, momento di comunicazione del decesso, in quanto l’Inps aveva tempestivamente istruito la pratica ai fini del recupero dell’indebito, costituendo il superamento della prescritta soglia reddituale il presupposto del recupero medesimo.

6. Per la cassazione della sentenza F.S. ed F.E., quali eredi di S.A., hanno proposto ricorso, affidato a due motivi, cui l’Inps ha resistito con controricorso.

7. I ricorrenti hanno depositato anche memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

8. come primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 2 come interpretato dalla L. n. 412 del 1991, art. 13; del D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 11 quater convertito con modificazioni nella L. n. 638 del 1983, temporalmente sostituiti dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260-265 e dalla L. n. 448 del 1998, art. 38.

Sostengono che non si poteva fare riferimento ad un evento verificatosi 22 anni prima per configurare un dolo omissivo della percipiente e che la mancanza di volontà di celare la sopravvenienza dell’evento era confermata dalla circostanza che, seppure in ritardo, il decesso del figlio fosse stato comunicato tramite il patronato.

9. Come secondo motivo deducono la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260-265 e lamentano che la Corte abbia ritenuto ripetibili anche le somme versate successivamente alla comunicazione del decesso, in quanto solo dopo otto mesi e 10 giorni l’Inps aveva richiesto l’aggiornamento dei redditi, mentre la spontanea comunicazione del decesso era indicativa della buona fede della signora S. e quindi tale da escludere il dolo omissivo, con conseguente applicazione del comma 263 Legge richiamata.

10. Il primo motivo non è fondato.

La soluzione adottata dal giudice di merito è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale la nozione di dolo che, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 263, (nel testo sostituito dalla L. n. 448 del 1998, art. 38) e L. n. 448 del 2001, 38, comma 10, consente la ripetizione dell’indebito nei confronti degli eredi del pensionato va desunta da quella prevista per la ripetibilità nei confronti del pensionato stesso dal R.D. n. 1422 del 1924, art. 80 e della L. n. 88 del 1989, art. 52 da intendere come comprensiva della omessa o incompleta segnalazione di circostanze incidenti sul diritto o sulla misura del trattamento, che non siano già conosciute o conoscibili dall’ente competente (Cass. n. 1919 del 25/01/2018, Cass. n. 27096 del 25/10/2018).

Conoscibilità che va circoscritta ai dati in possesso dell’istituto, non essendo questo onerato di periodiche ricerche anagrafiche sull’esistenza in vita degli assistiti e dei loro familiari.

11. Il secondo motivo è inammissibile in quanto non è coerente con la ratio decidendi adottata dal giudice di merito, che ha ritenuto fondata la richiesta di recupero dell’indebito anche per l’anno successivo rispetto a quello di comunicazione del decesso non in virtù della sussistenza del dolo della pensionata, ma dell’applicazione della disciplina generale dettata dalla L. n. 416 del 1991, art. 3 che impone all’istituto la verifica annuale delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e legittima, entro l’anno successivo, il recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.

12. Segue coerente il rigetto del ricorso.

13. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019

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