Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26565 del 22/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 22/10/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 22/10/2018), n.26565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9418/2016 proposto da:

IREN MERCATO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio

dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende

unicamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale

procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 282/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 08/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza depositata l’8 ottobre 2015, la Corte d’appello di Genova ha rigettato l’appello proposto da Iren Mercato s.p.a. contro la sentenza del tribunale che aveva accolto in parte l’opposizione proposta dalla società contro un avviso di addebito avente ad oggetto crediti Inps per contribuzione dovuta a titolo di CIGS, CIGO e mobilità, rideterminando il credito spettante all’Inps in un minore importo;

ha invece accolto l’appello incidentale proposto dall’Inps e, per l’effetto, ha condannato l’opponente al pagamento delle somme aggiuntive e delle sanzioni;

la Corte, a fondamento del decisum, ha argomentato sulla base della natura della società che, in quanto a capitale misto, non può usufruire delle esenzioni contributive previste per le imprese industriali degli enti pubblici;

ha inoltre ritenuto che le somme aggiuntive e gli interessi non potessero essere elisi in ragione di un preteso contrasto interpretativo sul debito contributivo, rappresentando essi conseguenza automatica del mancato versamento dei contributi, sicchè non sussistevano i presupposti per l’applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 13, così come non sussistevano i presupposti per l’applicazione del comma 10″ della norma cit. perchè la riduzione è in tal caso condizionata al pagamento dei contributi nel termine fissato dagli enti impositori, condizione non verificatasi nella specie; infine, non poteva applicarsi il medesimo art., comma 15, non sussistendo i contrasti interpretativi richiesti;

contro la sentenza la società propone ricorso per cassazione, sostenuto da tre motivi, cui resiste con controricorso l’Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti;

la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la ricorrente, denunciando la violazione di un complesso di norme (D.Lgs.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, come successivamente modificato; L. n. 1115 del 1968, art. 2; L. n. 164 del 1975, art. 1; L. n. 223 del 1991, art. 16; art. 2093 c.c., L. n. 142 del 1990, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), censura la sentenza per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO, nonostante la sua sostanziale natura di “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, si censura la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al contributo di mobilità e si richiamano le stesse considerazioni già svolte nel primo motivo.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 10 e 13 e comma 15, lett. a), nonchè gli artt. 1175,1227 e 1375 c.c. e L. n. 241 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si rileva che sussistevano i presupposti per una riduzione delle sanzioni o delle somme aggiuntive.

4. I primi due motivi sono manifestamente infondati.

E’ pacifico che la società ricorrente sia una società partecipate per una quota da soggetti pubblici. Si tratta pertanto di società a capitale misto. Trova applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza ormai costante di questa Corte secondo cui, in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (cfr., ex Cass. 20 aprile 2016, n. 7981; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19761; Cass. 29 agosto 2014, n. 18455; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27513; Cass. 11 settembre 2013, n. 20818; Cass. 10 marzo 2010, n. 5816; da ultimo, Cass. 4 aprile 2017, n. 8704 e Cass. 15 gennaio 2016, n. 600, nonchè Cass. 25 settembre 2018, n. 22730).

Le argomentazioni della ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.

4.1. L’orientamento non può dirsi contraddetto dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali che aveva abrogato il D.L.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, come da precedenti decisioni di questa Corte (v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre);

deve aggiungersi che con la L. 29 dicembre 2015, n. 208, il legislatore, intervenendo proprio sul D.Lgs. cit., art. 46, ha previsto che l’abrogazione (già disposta alla lett. b) non opera con riguardo al D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, con ciò ripristinando la norma medesima (in tal senso Cass. n. 8704/2017);

ne discende che dagli interventi legislativi del 2015 non possono trarsi clementi che inducano ad un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico (da ultimo, Cass. 15088/2017; Cass. n. 22730/2018).

5. Il terzo motivo è infondato. La decisione della corte territoriale in tema di sanzioni e somme aggiuntive conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., anche Cass. 5088 del 1995, e Cass. n. 16093 del 2014; da ultimo, Cass. n. 15088/2017, cit.).

La riduzione delle sanzioni non può farsi discendere dall’art. 116, comma 10, in mancanza dei “contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo”, stante la consolidata giurisprudenza di segno contrario rispetto alle posizioni della società, e neppure dal medesimo art. 116, comma 15, richiedendosi a tal fine l’integrale pagamento delle contribuzioni dovute, nel termine fissato dagli enti impositori, condizione che come accertato dalla Corte territoriale non si è verificata (Cass. 26/6/2017, n. 15897; Cass. 27/2/2018, n.:1560).

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’Inps, anche nella qualità di procuratore speciale della SCCI, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo in ragione del valore della controversia.

Poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a eludo dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi professionali e Euro 200 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario delle spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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