Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26205 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 18/10/2018), n.26205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22374-2011 proposto da:

ITALFONDIARIO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE CASTRO

PRETORIO 122, presso lo studio dell’avvocato ANDREA RUSSO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 76/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 11/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2018 rial” Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La società Italfondiario s.p.a. impugnò l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate per il recupero di maggiori imponibili IVA, IRPEG e ILOR relativamente all’anno di imposta 2003; contestò, in particolare, i rilievi mossi per l’indebita detrazione di spese per “svalutazione software per uso interno” e per “consulenze contrattuali”.

2. – La sentenza di primo grado, che ebbe ad accogliere parzialmente il ricorso della contribuente, fu riformata dalla Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, che rigettò interamente il ricorso originario, confermando l’atto impositivo impugnato.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso la società Italfondiario s.p.a. sulla base di tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate non ha proposto controricorso, presentando mero atto di costituzione.

Entrambe le parti, in prossimità dell’adunanza camerale, hanno presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col ricorso, vengono formulate le seguenti censure:

1.1. – Col primo motivo, si deduce (ex art. 360 c.p.c., n. 5) il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la C.T.R. ritenuto non provata la sussistenza dei presupposti legittimanti la svalutazione dei costi per la produzione del software, con particolare riguardo ai motivi di obsolescenza dello stesso; si lamenta che il giudice di appello non abbia tenuto conto del fatto che il software non era stato completato nè utilizzato;

1.2. – Col secondo motivo, si deduce (ex art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), per avere la C.T.R. ritenuto la non provata l’inerenza all’attività di impresa dei costi dei servizi di consulenza e assistenza prestati dallo studio G.;

1.3. – Col terzo motivo, si deduce (ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la C.T.R. ritenuto la non provata l’inerenza all’attività di impresa dei costi dei servizi di consulenza e assistenza prestati dal medesimo studio G..

2. – I motivi sono inammissibili.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. L, n. 195 del 11/01/2016; Sez. 6 – 2, n. 24054 del 12/10/2017).

D’altra parte, questa Corte ha avuto modo di precisare che il vizio di omessa o insufficiente la motivazione – sindacabile nella specie rattorte temporis sulla base del testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 precedente al D.L. 22 giugno 2012, n. 83 – è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. Non sussiste, invece, tale vizio ove vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente in ordine agli elementi delibati, non essendo possibile una revisione delle vantazioni e del convincimento del giudice di merito al fine di ottenere una nuova pronuncia sul fatto (Cass., Sez. Un., n. 24148 del 25 ottobre 2013).

Nella specie, la società ricorrente, al di là della formale qualificazione dei motivi, non lamenta l’erronea interpretazione della norma neppure sotto il profilo della erronea sussunzione del fatto in una fattispecie normativa ad esso non corrispondente; essa invece -nella sostanza – critica la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale. La valutazione delle prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.

Risolvendosi le censure mosse dalla contribuente in doglianze di merito, inammissibili in sede di legittimità, il ricorso va dichiarato inammissibile.

3. – Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombènza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 9.000,00 (novemila), oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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