Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11131 del 19/04/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/04/2019, (ud. 30/01/2019, dep. 19/04/2019), n.11131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19451-2018 proposto da:

TOPPETTI 2 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 51, presso lo

studio dell’avvocato FERRUCCIO ZANNINI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO MASTRODOMENICO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS) già EQUITALIA SERVIZI

DI RISCOSSIONE SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 135, presso

lo studio dell’avvocato MAURIZIO CIMETTI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2395/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 31/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2395, pubblicata il 21 gennaio 2018, dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla Toppetti 2 s.r.l. contro l’Agenzia delle entrate con il quale era stata impugnata la sentenza della CTR Veneto n. 973/2016, che aveva a sua volta pronunziato in sede di rinvio in esito alla pronunzia di questa Corte n. 7056/2014, con la quale era stato accolto il ricorso della contribuente proposto avverso avvisi di accertamento per IRES, IRAP e IRPEG relativi agli anni dal 2003 al 2008.

Osservava questa Corte che il ricorso proposto era inammissibile sotto diversi profili, difettando l’esposizione dei fatti, alla luce dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, l’esposizione della parte in diritto, articolare su sette punti, nessuno dei quali accompagnato dalla formale riconduzione ad uno degli archetipi dei motivi di ricorso. Specificava, ancora, che per taluno dei punti – punti 2, 3 e – difettava di specificità e decisività (quanto al punto 2) e che, le altre censure – esposte al punto 4 – si riferivano a vizi della cartella, non pertinenti rispetto agli avvisi impugnati e comunque a vizi nuovi esposti per la prima volta in Cassazione e dunque in modo inammissibile, come anche i punti 1 e 6, fondati su presupposti di fatto erronei, non ricorrendo nella censura di cui al punto 7 alcun vizio rispondente ai vizi previsti dall’art. 360 c.p.c. Questa Corte dichiarava parimenti inammissibile il ricorso incidentale proposto da Equitalia Servizi di riscossione s.p.a.

La società Toppetti 2 srl propone ricorso per revocazione, affidato a tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’errore percettivo sull’interpretazione del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata, risultando con sufficiente chiarezza i fatti sostanziali sui quali si erano fondate le pretese delle parti. Peraltro, l’esposizione dei fatti esposta nel ricorso per cassazione sarebbe identica a quella che era stata proposta nel primo ricorso per cassazione, poi accolto dalla sentenza di questa Corte n. 7056/2014, sicchè non era giustificabile “l’antiteticità valutativa” fra le due decisioni.

Con il secondo motivo si prospetta l’errore percettivo in ordine all’interpretazione del requisito dell’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione ex art. 366 c.p.c., comma 1. La sentenza impugnata avrebbe errato nel non considerare specifici i motivi di impugnazione che, in ogni caso, aveva esaminato nel merito, apparendo dunque la statuizione un mero obiter.

Con il terzo motivo si deduce l’errore percettivo in ordine alla doglianza relativa alla ritenuta inammissibilità dell’acquisizione del pvc. La Cassazione avrebbe errato nel considerare tale questione inammissibile, risultando dagli atti che la questione era stata indicata in modo autosufficiente nel ricorso.

Con il quarto motivo si contesta la ritenuta inammissibilità della questione concernente i documenti in lingua straniera, non potendo la ricorrente specificare i documenti ignoti e nemmeno indicati dal giudice del rinvio.

Con il quinto motivo si deduce l’erroneità della statuizione concernente la ritenuta inammissibilità della censura rivolta al computo di interessi e aggio che erano stati contestati in relazione alla genericità della motivazione addotta dalla CTR. Ancora, si duole la ricorrente della inammissibilità della questione relativa all’apparente motivazione degli avvisi di accertamento, avendo specificamente contestato l’assunto della CTR espresso sul punto, in relazione alle indicazioni a suo tempo offerte dalla Cassazione in sede di rinvio.

Viene ancora contestata l’inammissibilità della questione relativa alla ritenuta inutilizzabilità di atti e documenti rinvenuti presso il notaio svizzero, posto che la censura esposta avrebbe evidenziato l’insoddisfacente motivazione della CTR, la quale non aveva fornito elementi rilevanti per spiegare come le somme versate a società estere facenti capo a P.F. fossero rientrate nella disponibilità dei soggetti che le avevano versate.

La ricorrente aggiunge, inoltre, che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato altri punti esposti nel ricorso, nemmeno includendoli fra quelli per i quali la Cassazione aveva dichiarato l’inammissibilità.

Le censure esposte dalla ricorrente meritano un esame congiunto.

Giova premettere che questa Corte ha chiarito che “l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali” – Cass. n. 17443/2008 -, ancora aggiungendo che “in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso” – Cass. n. 10466/2011 -. Ne consegue che deve escludersi che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncià ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (Cass. n. 5221/2009, Cass. n. 14937/2017, Cass. 03/04/2017 n. 8615, Cass. n. 20164/2018).

Orbene, alla stregua dei principi sopra esposti, le censure revocatorie esposte dalla ricorrente sono tutte inammissibili, le stesse involgendo profili valutativi operati dal giudice di legittimità, allorchè questi ha considerato inammissibile – e non esaminato nel merito – come pure erroneamente prospettato dalla ricorrente – il ricorso principale. Tali valutazioni in ordine alla carenza dell’esposizione del fatto, alla compiuta esposizione dei motivi ed alla articolazioni di censure comunque inammissibili per difetto di specificità, analiticità o per insussistenza dei presupposti di fatto sulla base delle quali si fondavano, si sottraggono al sindacato in sede di revocazione, come detto limitato alla censura di errori percettivi da parte del giudice (anche di legittimità) – nel caso non ricorrenti – ma non già all’esame di vizi che involgono, per converso, la valutazione giuridica, anche per gli aspetti di natura processuale.

Orbene, la ricorrente non ha nemmeno prospettato e documentato che la valutazione del giudice sia stata inficiata da una percezione inesatta di elementi fattuali risultanti in modo incontrovertibile dal processo, semmai limitandosi a contrapporre al giudizio di inammissibilità esplicitamente compiuto dalla Cassazione una personale valutazione in termini di ritualità del ricorso e delle modalità di redazione che, all’evidenza, non possono trovare spazio nel presente giudizio. In conclusione, nel caso di specie non si ravvisa alcun errore di fatto da parte del giudice di legittimità, ponendo il ricorrente in discussione, con tutte le censure, l’attività valutativa compiuta, tanto risultando sufficiente a confutare gli ulteriori profili difensivi esposti in memoria dalla ricorrente.

Resta solo da dire, quanto alle questioni agitate nella parte finale del ricorso, che esse attengono alla prospettata omessa pronunzia – non suscettibile di revocazione – Cass. n. 17659 del 29/07/2009 -su questioni che la ricorrente non ha tuttavia documentato essere oggetto preciso di specifico motivo di ricorso per cassazione e che, come tali, non possono dare luogo ad alcun vizio revocatorio.

Il ricorso è pertanto inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore del controricorrente in Euro 4.000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi. Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2019

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