Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25436 del 12/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/10/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 12/10/2018), n.25436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15618-2017 proposto da:

EFFE & EFFE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI, 10, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCA ORLANDI, rappresentata e difesa

dagli avvocati VITTORIO BERARDI, GIANCARLO DI MANNO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (Cf. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8200/17/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 12/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 8200/17/16 depositata in data 12 dicembre 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dalla Effe&Effe srl avverso la sentenza n. 340/4/13 della Commissione tributaria provinciale di Latina che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2007. La CTR osservava in particolare che essendo oggetto di contestazione e base delle riprese fiscali l’inesistenza delle operazioni di cui a n. 13 fatture passive registrate dalla società contribuente ed emesse da altra società ritenuta una “cartiera”, l’onere di provare l’effettività delle prestazioni fatturate gravava sulla società contribuente verificata ed affermava il mancato assolvimento dello stesso.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la ricorrente lamenta l’omesso esame della sua eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato a causa della mancata produzione del PVC emesso nei confronti della società emittente delle fatture oggetto di contestazione da parte dell’agenzia fiscale e profila altresì la violazione dell’art. 112 c.p.c., a causa della mancata pronuncia sul relativo motivo di impugnazione.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la ricorrente si duole dell’omesso esame di fatto decisivo e controverso ma anche della violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c., poichè la CTR non ha correttamente valutato le risultanze istruttorie rispetto alla esistenza/inesistenza delle operazioni fatturate.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono inammissibili ed infondate.

Anzitutto la sussistenza nel caso di specie di una “doppia conforme”, preclude la prospettazione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, stante la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, non avendo comunque la società contribuente assolto all’onere di dimostrare che le “ragioni di fatto” considerate in secondo grado siano diverse da quelle valutate nel primo (v. Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03). Quanto al vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello concernente il dedotto vizio motivazionale dell’avviso di accertamento impugnato, per omessa allegazione del PVC redatto a carico di società terza, affermata “cartiera”, lo stesso risulta insussistente.

Risulta infatti evidente che su tale motivo la CTR laziale si è pronunciata negativamente per implicito, posto che ha, peraltro correttamente (v. amplius infra), sussunto la fattispecie concreta nelle previsioni normative riguardanti la fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti e quindi statuito di conseguenza.

Rispetto a tale profilo di censura non resta quindi che ribadire che “Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perchè indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico – giuridico, decisa e rigettata dal giudice” (Sez. Sentenza n. 17580 del 04/08/2014, Rv. 631894 – 01; conforme, Sez. 2, Sentenza n. 1539 del 22/01/2018, Rv. 647081 – 01).

In relazione alle censure riguardanti la valutazione del materiale istruttorio se ne configura anzitutto l’inammissibilità, secondo i consolidati principi di diritto che:

– “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015);

– “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01);

– “In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01);

– “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Sez. 3 -, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 02).

In ogni caso, non emerge alcuna violazione dell’anche evocato principio normativo generale di cui all’art. 2697 c.c..

La sentenza impugnata infatti si è rigorosamente attenuta alla giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (“In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01)1, constatando in fatto e nel merito il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla contribuente, con giudizio appunto non ulteriormente sindacabile in questa sede.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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