Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25095 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 10/10/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 10/10/2018), n.25095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2355-2015 proposto da:

D.S.E., (CF (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, V. GERMANICO 172, presso lo studio dell’Avvocato SERGIO

GALLEANO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (CF. (OMISSIS)), in persona del legale rapp.te

pt, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso

lo studio dell’Avvocato GIAMPIERO PROIA, che lo rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3634/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/07/2014, R.G.N. 7419/2011.

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 3634/2014, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia n. 2497/2011 emessa dal Tribunale della stessa città con cui erano state respinte le domande proposte da D.S.E. nei confronti di Poste Italiane spa dirette ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposte ai contratti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra le parti dall’1.7.2005 al 13.8.2005 (per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito presso la filiale di (OMISSIS)) e dall’1.7.2006 al 15.8.2006, dal 5.4.2007 al 31.7.2007 e dal 16.8.2007 al 31.8.2007 (ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis);

che avverso la decisione di secondo grado D.S.E. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi;

che Poste Italiane spa ha resistito con controricorso, illustrato con memoria;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., con riferimento al primo contratto, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che Poste Italiane spa avesse adeguatamente assolto all’onere della prova in ordine alla sussistenza delle ragioni sostitutive addotte nel contratto mediante la tempestiva produzione del prospetto delle assenze e presenze del personale dell’Ufficio di adibizione nel periodo interessato, quando, invece, vi era stata contestazione sin dall’inizio dal parte del ricorrente sulla documentazione prodotta; 2) l’omesso esame di fatti discussi tra le parti e decisivi ai fini del giudizio in ordine al rilievo sulla mancata prova delle esigenze sostitutive, sempre relativamente al primo contratto; 3) la violazione della clausola 4 e 8.1 della direttiva UE 1999/70, in relazione ai contratti stipulati D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2, comma 1 bis, per averli erroneamente la Corte territoriale ritenuto legittimi con riferimento alla disciplina legislativa e alla giurisprudenza comunitaria; 4) la violazione dell’art. 2, comma 1 bis in connessione all’art. 115 c.p.c., sulle mansioni del lavoratore, nonchè l’omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per non avere considerato la Corte di appello che il ricorrente aveva dedotto di essere stato adibito a mansioni di natura finanziaria, estranee al servizio postale universale, così integrando una ipotesi di nullità del termine apposto al contratto non rientrante nella regolamentazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis; 5) la violazione della direttiva UE 1999/70 sulla reiterazione dei contratti ritenuta erroneamente legittima dai giudici di seconde cure; 6) la violazione dell’art. 2, comma 1 bis, anche in relazione all’art. 2697 c.c. nonchè l’omessa motivazione su fatti discussi tra le parti e decisivi ai fini del giudizio, in relazione alla percentuale degli assunti calcolata erroneamente dalla Corte di merito sul totale dei dipendenti e non con riferimento al solo ambito territoriale della disposta assunzione; 7) la violazione dell’art. 2697 c.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti, per non avere la Corte territoriale motivato sul rispetto della percentuale della cd. clausola di contingentamento, incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c.;

che il primo ed il secondo motivo di ricorso relativi al primo contratto a termine intercorso tra le parti, trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. Giova premettere, in ordine alle denunziate violazioni di legge, che una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960); inoltre la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che era gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 5.9.2006 n. 19064). In ordine, poi, alla tematica della “non contestazione” rilevata dai giudici di seconde cure, deve rilevarsi che la censura è infondata avendo la sentenza impugnata precisato che la positiva documentazione fornita al riguardo da Poste Italiane spa non era stata contestata da controparte, se non genericamente e solo in appello; al riguardo occorre rimarcare che, seppure il principio di non contestazione vale per le allegazioni e non per i documenti, tuttavia la non contestazione dei documenti può essere liberamente valutata dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 6606/2016) rilevando comunque (cfr. Cass. n. 13206/2013) come non contestazione dei fatti rappresentati nei documenti stessi (Cass. n. 8998/2001). Ciò premesso, questa Corte ha più volte il principio, qui ribadito (cfr. Cass. 26.1.1010 n. 1577 e Cass. 26.1.20010 n. 1576), secondo cui “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del presupposto di legittimità; che è stato anche precisato che tale principio non si pone in senso contrario alla sentenza della Corte costituzionale n. 214/2009 laddove, dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 e art. 11,afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2, impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, atteso che il brano della citata sentenza costituzionale deve essere letto nel relativo contesto argomentativo, che individua la ratio legis proprio nell’esigenza di assicurare trasparenza e veridicità della causa che si pone a monte dell’apposizione del termine e la sua immodificabilità nel corso del rapporto; che ne discende che, nell’ampia casistica offerta dall’esperienza concreta, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori deve passare necessariamente attraverso la specificazione dei motivi, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma: in questi termini le due opzioni interpretative (quella della sentenza della Corte costituzionale e quella accolta dalla citata giurisprudenza della Suprema Corte) sono compatibili (cfr. tra le altre Cass. 17.1.2012 n. 565; Cass 2.5.2011 n. 9602);

che l’accertamento di fatto a riguardo operato dal giudice del merito, il quale ha fondato la valutazione di specificità della causale sul rilievo che nel contratto era indicato l’ambito territoriale, il luogo della prestazione lavorativa e le mansioni dei lavoratori da sostituire con il relativo periodo in cui la temporanea carenza si era verificata risulta coerente con le indicazioni del giudice di legittimità e si sottrae pertanto alle censure formulate;

che in tale quadro, caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico che si riflette poi sulla relatività delle verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità della apposizione del termine è sufficiente quindi l’accertamento della congruità del rapporto tra le assenze del personale stabile e il numero dei contratti a termine conclusi per tale esigenza, in un determinato periodo, non essendo peraltro, affatto necessario un carattere di temporaneità ex se dell’esigenza stessa e neppure un carattere di straordinarietà ovvero un superamento di un tasso fisiologico di assenteismo (in termini Cass. 14.2.2013 n. 6979);

che le ulteriori censure prospettate, le quali si risolvono nella denuncia del vizio della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, sono infondate. Deve darsi, infatti, continuità al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. tra le altre Cass 21.7.2010 n. 17097; Cass. 24.5.2006 n. 12362);

che anche la doglianza sulla rilevanza della produzione documentale da parte della società è parimenti infondata: invero il riscontro di effettività delle esigenze sostitutive operato dalla Corte distrettuale sulla base del prospetto prodotto da Poste Italiane spa risulta coerente con la giurisprudenza di questa Corte in quanto fondato sul raffronto tra il numero dei lavoratori a tempo indeterminato che sono stati sostituiti ed il numero delle giornate lavorate dal personale assunto a termine nello stesso ufficio postale;

che l’assunto del giudice di appello in ordine alla assenza di specifica contestazione dei dati risultanti dagli elementi documentali, è conforme alla regola processuale secondo la quale, nel processo civile (così come nel rito del lavoro) non occorre la prova dei fatti che, allegati da una parte, non siano stati espressamente contestati dalla controparte (Cass 4.12.2007 n. 25269);

che, pertanto, le censure, a prescindere dalle dedotte violazioni di legge non ravvisabili per quanto sopra detto, si traducono essenzialmente in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio sicchè vanno disattese;

che anche i restanti motivi, relativi agli altri contratti, da trattarsi sempre congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono infondati: infatti, le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis (per Poste italiane spa ex lege), non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata “ex ante” direttamente dal legislatore (Cass. Sez. Un. 31.5.2016 n. 11374);

che la disposizione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, aggiunta dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558 non contrasta con l’ordinamento comunitario, in quanto, come rilevato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-20/10 Vino), è giustificata dalla direttiva 1997/67/CE, in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, non venendo in rilievo la direttiva 1999/70/CE, in tema di lavoro a tempo determinato, neppure con riferimento al principio di non discriminazione, che è affermato per le disparità di trattamento fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ma non anche per le disparità di trattamento fra differenti categorie di lavoratori a tempo determinato (cfr. Cass. 11.7.2012 n. 11659);

che il citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis non contrasta neanche con il divieto di regresso contenuto nell’art. 8 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 99/70/CE, trattandosi di disposizione speciale, introdotta accanto ad altra analoga previsione speciale, con la quale il legislatore si è limitato ad operare una tipizzazione della ricorrenza di esigenze oggettive, secondo una valutazione di tipicità sociale (cfr. Cass. 26.7.2012 n. 13221);

che, inoltre, correttamente la Corte distrettuale ha considerato che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 241/2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1 di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore (cfr. Cass. 2.7.2015 n. 13609);

che deve essere escluso pure che Poste Italiane spa abbia realizzato, in virtù di detta disposizione, un abusivo sfruttamento di posizione dominante – in violazione dei Trattati – come unica impresa concessionaria di servizi postali, come già affermato in precedenti pronunce di questa Corte (cfr. Cass. n. 5860/2017; Cass. n. 19688/2014; n. 19998/2014) alle cui condivisibili argomentazioni si rinvia;

che va anche rimarcato che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, aggiunto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558 ha introdotto per le imprese operanti nel settore postale, una ipotesi di valida apposizione del termine autonoma e speciale rispetto a quelle stabilite dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 (cfr. Cass. n. 26678/2016; Cass. n. 10590/2017) per cui ogni riferimento in ordine ad uno stretto collegamento tra le due disposizioni circa il contenuto del contratto non è condivisibile; deve osservarsi che l’art. 2, comma 1 bis citato, come già rilevato dalla Corte distrettuale, non richiede alcuna indicazione specifica nel contratto di lavoro di elementi riguardanti il numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione, o del numero dei contratti a termine stipulabili o stipulati (alla data di sottoscrizione del contratto) nella misura del 15 % consentito, nè è prevista alcuna sanzione per la eventuale loro omissione; oltre al profilo letterale sopra esposto, va sottolineato che le esigenze di trasparenza e di controllo per le parti sociali e per i lavoratori medesimi, in ordine all’osservanza di tale requisito, sono già assicurate dalla chiara ed esatta determinazione legale della fattispecie, circa i riferimenti temporali diretti ed indiretti e con riguardo ai parametri quantitativi con la precisazione dei relativi criteri, sicchè il problema della loro verifica attiene ad un piano diverso, da effettuarsi in concreto in sede giudiziale, e da svolgersi con l’osservanza delle regole processuali sugli oneri di allegazione e di riparto della prova;

che i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis e succ. modifiche, in successione tra loro con Poste italiane spa sono conformi alla disciplina del contratto a tempo determinato dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, applicabile ratione temporis e che, a sua volta, la disciplina italiana applicabile al rapporto, e cioè la normativa sulla successione di contratti a tempo determinato prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 integrata dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, è conforme ai relativi principi fissati dall’Accordo Quadro nel lavoro a tempo determinato, stipulato tra le organizzazioni sindacali CES, UNGE e CEEP il 18.3.1999, recepito nella direttiva del Consiglio 28.6.1999/70/CE (cfr. Cass. Sez. Un. 31.5.2016 n. 11374);

che tale disciplina impone di considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi), la cui sola violazione, non rinvenibile però nella fattispecie, comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto (cfr. Cass. n. 19998/2014);

che alla stregua di quanto esposto, essendosi la Corte territoriale adeguata a tali principi, il ricorso deve essere rigettato;

che al rigetto segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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