Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24620 del 05/10/2018

Cassazione civile sez. II, 05/10/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 05/10/2018), n.24620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2349/2014 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO n.

20, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

C.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 22938/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 27/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.G. evocava in giudizio innanzi il Giudice di Pace di Roma C.L., invocandone la condanna al pagamento delle somme dovute a fronte dell’attività professionale di assistenza legale fornita dall’attrice in favore del convenuto in relazione al giudizio conclusosi con la sentenza n. 17416/2002 del Tribunale di Roma. A sostegno della domanda, l’attrice deduceva di aver assistito il C. tanto nel giudizio di merito che nella successiva fase esecutiva; che la debitrice Assitalia Spa aveva, solo dopo la notifica del pignoramento, provveduto a saldare quanto dovuto a fronte di sorte, spese ed onorari, tanto della fase di cognizione che di quella di esecuzione; che tuttavia il C. aveva trattenuto per sè le spese ed onorari della fase esecutiva, omettendo di consegnarli alla T..

Il convenuto si costituiva invocando il rigetto della pretesa attorea ed Giudice di Pace riteneva generica la domanda e dichiarava la nullità dell’atto di citazione.

Interponeva appello la T. ed il Tribunale di Roma, con la sentenza impugnata n. 22938/2012, escludeva la nullità dell’atto introduttivo ma respingeva la domanda nel merito, in quanto riteneva che l’appellante fosse stata già retribuita per tutte le prestazioni professionali rese al C., avendo ella ricevuto un assegno direttamente dalla compagnia assicurativa in ragione della dichiarazione di distrazione delle spese contenuta nella procura alla lite. Secondo la Corte territoriale detta dichiarazione era da ritenere efficace anche per la fase esecutiva, posto che la procura sulla cui base la T. aveva agito in exercutivis era la medesima; il pagamento eseguito dalla compagnia doveva quindi intendersi a saldo di tutte le competenze maturate dalla ricorrente per le due fasi, di cognizione ed esecutiva.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza la T. affidandosi ad un unico motivo.

Il C. non ha svolto attività difensiva in questo grado.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul reale oggetto della domanda, rappresentato non già dal pagamento delle spese relative alla fase della cognizione, che la compagnia aveva versato direttamente alla ricorrente, dichiaratosi antistataria, bensì dalla restituzione delle somme ulteriori rispetto alla sorte e agli interessi indicati in precetto, che il C. aveva percepito dalla compagnia assicurativa ed aveva arbitrariamente trattenuto, senza consegnarle alla T.. In proposito, la ricorrente evidenzia che risulterebbe per tabulas il pagamento da parte della compagnia assicurativa di Euro 9.200 a fronte di una sorte capitale di Euro 7.242 e di un totale precettato di Euro 8.122,34. Sussisterebbe quindi la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il Tribunale di Roma non si sarebbe pronunciato sul reale petitum ed avrebbe mal interpretato il pagamento eseguito dalla compagnia assicurativa direttamente alla T., omettendo di considerare che il C. aveva percepito somme eccedenti a quelle a lui dovute dopo la notifica del pignoramento; di conseguenza, le predette somme dovevano necessariamente includere anche gli onorari della fase esecutiva.

La doglianza è inammissibile, in quanto essa è formulata con il ricorso alla tecnica del cd. “assemblaggio”. In proposito, “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017, Rv. 645637; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006, Rv. 594136 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21621 del 16/10/2007, Rv. 600200).

Nè è sufficiente, allo scopo, la pedissequa riproduzione dell’intero atto di appello o di altri atti delle fasi di merito ovvero (com’è avvenuto nel caso di specie) comunque connessi al processo o inerenti alla fase esecutiva, posto che “In tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813; conf. Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 3385 del 22/02/2016, Rv. 638771; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8245 del 04/04/2018, Rv. 647702).

Va pertanto ritenuto inammissibile il motivo articolato mediante riproduzione integrale di uno o più atti processuali, nel quale da un lato manchi il momento di sintesi funzionale e dall’altro l’illustrazione dei singoli motivi non consenta di cogliere i fatti rilevanti in funzione della comprensione dei motivi stessi.

Inoltre la censura in esame, proprio perchè formulata mediante la pedissequa riproduzione di atti delle fasi precedenti del giudizio, appare generica e carente della necessaria specificità, nella misura in cui essa non aggredisce la specifica ratio in base alla quale il Tribunale ha respinto la domanda della T.. In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che poichè la ricorrente si era dichiarata antistataria nella fase di cognizione e la successiva fase esecutiva era stata proposta in base alla stessa procura utilizzata per il giudizio, il pagamento pacificamente eseguito dalla compagnia a mani della ricorrente si riferisse tanto ai compensi inerenti la fase di cognizione che a quelli relativi alla fase di esecuzione.

Detta ratio non viene specificamente aggredita dalla censura proposta dalla ricorrente che – inoltre – si rivela sul punto ulteriormente inammissibile perchè in effetti con essa si deduce un vizio motivazionale, al di fuori dei limiti previsti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012. In argomento, va ribadito che il vizio di motivazione dev’essere interpretato “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Restano quindi esclusi da un lato qualunque altro vizio della motivazione e, dall’altro lato, l’omesso esame di elementi istruttori che non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Rv. 632914; Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 23828 del 20/11/2015, Rv. 637781; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828).

Peraltro, la doglianza va ritenuta inammissibile anche in quanto essa si risolve, in ultima analisi, in una richiesta di rivalutazione del giudizio di merito proposto dalla Corte territoriale. La ricorrente invoca infatti una ricostruzione dei dati di fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale, senza considerare che “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017, Rv.646976; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4916 del 15/04/2000, Rv. 535737).

In continuità con il precetto contenuto nella sentenza delle S.U. di questa Corte n. 24148 del 25/10/2013 (Rv. 627790), va riaffermato che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.

In argomento, va ribadito che il giudizio fattuale riservato al giudice di merito si estende anche alla ricostruzione delle domande e delle eccezioni proposte dalle parti: infatti “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è dato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017, Rv. 646811; conformi, Cass. Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010, Rv. 614588 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745).

Ne consegue, per i diversi e concorrenti profili evidenziati, l’inammissibilità del motivo ed il rigetto del ricorso. Nulla per le spese, in difetto di costituzione dell’intimato.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018

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