Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24265 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2018, (ud. 14/12/2017, dep. 04/10/2018), n.24265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11454-2016 R.G. proposto da:

P.R., C.M.A., P.E.,

elettivamente domiciliati in Roma, via Aureliana, n. 2, presso lo

studio dell’avvocato Renato Giuseppe Verrengia, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, piazza di San Salvatore in Campo,

n. 33, presso lo studio dell’avvocato Nicolina Giuseppina Muccio,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2016 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 01/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/12/2017 dal Consigliere Dott. D’Arrigo Cosimo.

Fatto

RITENUTO

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha accolto la domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’ANAS s.p.a. da P.E., C.M.A. e P.R., quali eredi e congiunti di P.G., deceduta in un sinistro stradale verificatosi a causa di un cordolo di cemento non visibile e non segnalato.

Dopo il deposito della sentenza, gli attori hanno presentato un’istanza di correzione di errore materiale, deducendo che il Tribunale, pur avendo dichiarato di volersi uniformare nella liquidazione del danno alle tabelle per il risarcimento del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano, ne aveva fatta erronea applicazione, determinando gli importi dovuti in misura dimezzata.

Con provvedimento del 18 agosto 2014, il Tribunale ha accolto l’istanza, rideterminando gli importi dovuti dall’ANAS s.p.a..

Tale provvedimento è stato appellato dall’ANAS s.p.a. che ne ha denunciato l’illegittimità in quanto esorbitante i limiti della mera correzione di un errore materiale. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello, riformando la sentenza così come corretta e sostanzialmente ripristinando l’originaria decisione; ha compensato per la metà fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Gli attori appellati hanno proposto ricorso, articolato in quattro motivi, per la cassazione della decisione, illustrati da successive memorie. L’ANAS s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

I primi tre motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

Il quarto, invece, deve essere accolto.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 288 c.p.c., comma 4; con il secondo la violazione dell’art. 112 c.p.c.; con il terzo la violazione dell’art. 342 c.p.c.. Tali censure, strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente.

I ricorrenti lamentano che l’ANAS s.p.a., nel proporre appello, non mosse alcuna censura avverso la decisione di merito, limitandosi ad impugnare l’ordinanza di correzione di errore materiale. Tale impugnazione sarebbe quindi inammissibile, in quanto l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 288 c.p.c., non è impugnabile. In ogni caso, la corte d’appello sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione, avendo dimezzato il risarcimento liquidato dal tribunale in assenza di specifica richiesta sul punto. Piuttosto, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello in quanto carente dei requisiti di ammissibilità imposti dall’art. 342 c.p.c..

Va rilevato, anzitutto, che i ricorrenti non censurano il capo della sentenza di appello che ha ritenuto illegittima l’ordinanza pronunciata dal tribunale in data 18 agosto 2014, non sussistendo i presupposti previsti per la correzione di errore materiale. La statuizione è dunque passata in giudicato. Del resto, la stessa risulta perfettamente allineata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’errore di calcolo è emendabile con la procedura di correzione ex art. 287 c.p.c., solamente qualora esso consista in un’erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione e ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 23704 del 22/11/2016, Rv. 642984). Nella specie, invece, il tribunale non ha corretto il risultato di un’operazione matematica, ma ha totalmente rivisto – raddoppiandoli – gli importi liquidati a titolo di risarcimento del danno, mediante il riferimento ad un parametro esterno alla sentenza, non vincolante e suscettibile solamente di applicazione mediata da una valutazione di merito (le c.d. “tabelle” di liquidazione del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano).

Ciò posto, questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di provvedimento di correzione di errori materiali, l’art. 288 c.p.c., nel disporre che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, intende precisare che la proposizione dell’appello (o dello specifico mezzo d’impugnazione previsto per il provvedimento corretto) è l’unico strumento consentito dalla legge per verificare se, tramite l’improprio ricorso al procedimento in esame, sia stato violato il giudicato ormai formatosi nel caso in cui la correzione sia stata utilizzata per incidere, inammissibilmente, su errori di giudizio (Sez. 6-2, Ordinanza n. 16205 del 27/06/2013, Rv. 626932; Sez. 5, Sentenza n. 5950 del 14/03/2007, Rv. 597034). In particolare, all’autonoma impugnazione del provvedimento adottato ai sensi dell’art. 288 c.p.c., osta la circostanza che lo stesso è sempre privo di natura decisoria, giacchè non può in alcun modo toccare il contenuto concettuale della decisione, nè incidere su diritti soggettivi, ed è finalizzato alla mera eliminazione – in via amministrativa – di errori di redazione del documento.

Alla luce di queste considerazioni si deve, quindi, affermare che lo strumento impiegato dall’ANAS s.p.a. per denunciare i vizi dell’ordinanza pronunciata a norma dell’art. 288 c.p.c., è corretto. L’appello era dunque ammissibile e la corte territoriale si è esattamente pronunciata sull’intangibilità del giudicato oramai formatosi sulla pronuncia di primo grado non appellata dagli attori (che invece ben avrebbero potuto chiedere al giudice d’appello di porre rimedio all’error in iudicando in essa contenuto).

I motivi in esame sono dunque manifestamente infondati, in quanto non sussiste alcuna violazione dell’art. 288 c.p.c.; la corte d’appello non ha violato il principio devolutivo dell’impugnazione, nè è incorsa in vizio di ultrapetizione allorquando ha ridato vigore all’originaria decisione di primo grado, rimuovendo gli effetti dell’illegittimo provvedimento di correzione; le parti del provvedimento impugnato erano esattamente indicate nell’atto di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., tant’è che le stesse sono state puntualmente riformate.

Con il quarto motivo i ricorrenti si lamentano della violazione degli artt. 112 e 92 c.p.c., con riferimento al capo della sentenza di appello che ha disposto la parziale compensazione delle spese del primo grado, pur in assenza di specifico appello dell’ANAS s.p.a. sul punto.

Il motivo è manifestamente fondato.

La condanna al pagamento delle spese processuali, che costituisce autonomo capo della sentenza di primo grado, non risulta fatta oggetto di gravame da parte dell’ANAS s.p.a. Nè, d’altro canto, avrebbe potuto esserlo, in quanto – come s’è già detto – la sentenza era divenuta definitiva ed irretrattabile, anche con riferimento alla statuizione sulle spese di lite. Quest’ultima non è stata interessata neppure dal provvedimento di correzione di errore materiale e solo di questo (della sua portata e della sua legittimità) la corte d’appello si sarebbe dovuta occupare.

In sostanza, la revisione del regolamento delle spese processuali del primo grado di giudizio è stata adottata come se la corte d’appello stesse provvedendo su un’impugnazione della decisione del tribunale con effetto devolutivo pieno, laddove essa era invece chiamata a pronunciarsi sull’intangibilità del giudicato e sulla illegittimità del provvedimento di correzione dell’errore materiale. In altri termini, la corte d’appello, riformando le spese liquidate in primo grado, ha violato quello stesso giudicato che essa ha ritenuto intangibile mediante l’impugnato provvedimento di correzione di errore materiale.

In conclusione, i primi tre motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere rigettati. Il quarto, invece, è fondato e, in relazione a tale profilo, la decisione impugnata deve essere cassata.

Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, è possibile decidere nel merito. Va infatti disposta la condanna dell’ANAS s.p.a. al pagamento delle spese processuali del primo grado, nell’intera misura stabilita dal tribunale. Quanto al giudizio di appello, va mantenuta ferma la liquidazione delle spese effettuata dalla corte territoriale, che ne ha disposto la parziale compensazione in ragione dell’esito complessivo del giudizio (l’ANAS s.p.a., vittoriosa in appello sulla sola questione della correzione dell’errore materiale, è risultata complessivamente soccombente); anche di tali spese va disposta la distrazione in favore del difensore di fiducia. Come già disposto con la sentenza cassata, le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste interamente a carico dell’ANAS s.p.a.

Stante la parziale fondatezza del ricorso, ricorrono i presupposti per disporre la compensazione parziale delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

PQM

Rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna l’ANAS s.p.a. al pagamento delle spese di primo grado, che liquida in Euro 12.000, di cui Euro 170,00 per spese, oltre i.v.a. e c.p.a., distratte in favore del difensore di fiducia. Compensa per metà le spese processuali del giudizio d’appello e condanna l’ANAS s.p.a. al pagamento della restante parte, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi ed Euro 29,62 per spese vive, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge, distratte in favore del difensore di fiducia. Pone interamente a carico dell’ANAS s.p.a. le spese della consulenza tecnica d’ufficio.

Compensa per la metà le spese del giudizio di legittimità e condanna l’ANAS al pagamento della restante metà in favore della controparte, che liquida in Euro 3.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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