Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21717 del 06/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/09/2018, (ud. 10/05/2018, dep. 06/09/2018), n.21717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23862-2016 proposto da:

S.P.P., rappresentato e difeso dall’avv. ROBERTO PIERELLI,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di

CASSAZIONE;

– ricorrenti –

contro

VALERIANI & ROSSINI S.R.L., in persona del legale rappresentate,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso

lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI, rappresentato e difeso

dagli avvocati MAURIZIO DELLA COSTANZA, CLAUDIA CARDENA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 224/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 9/8/2016 R.G.N. 152/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/5/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CLAUDIA CARDENA’.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza n. 224/2016, la Corte di appello di Ancona, decidendo sul reclamo proposto da S.P.P., confermava la pronuncia del Tribunale di Pesaro che aveva respinto l’opposizione proposta dallo S. nei confronti della Valeriani & Rossini s.r.l. L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51 e ss., avverso l’ordinanza ex art. 1, comma 48, che aveva rigettato il ricorso del lavoratore inteso ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società in data 30/11/2013 nell’ambito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991.

1.2. Riteneva la Corte territoriale che la comunicazione di licenziamento collettivo inviata dalla società ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, contenesse tutti i necessari requisiti di specificità indicando adeguatamente i motivi della situazione di eccedenza di personale, le ragioni organizzative ostative all’adozione di misure conservative, il numero, la collocazione aziendale e i profili del personale eccedente, i tempi di attuazione del programma di riduzione così da consentire ai sindacati un effettivo controllo. Evidenziava che una conferma di tale valutazione poteva proprio trarsi dall’essere successivamente intervenuta la sottoscrizione dell’accordo sindacale. Escludeva la possibilità di sindacare, nel merito, le scelte aziendali e riteneva altresì infondata l’eccezione di illegittimità dell’accordo sindacale. Infine riteneva priva di vizi anche la comunicazione finale ex art. 4, comma 9, tanto con riguardo alla indicazione dei criteri di scelta e delle relative modalità applicative quanto con riguardo alla individuazione dello S. quale dipendente da licenziare, esclusa ogni comparabilità con altri dipendenti.

2. Per la Cassazione della sentenza ricorre S.P.P. con cinque motivi.

3. La Valeriani & Rossini s.r.l. resiste con controricorso successivamente illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto corretta e conforme, da un punto di vista formale e sostanziale, al dettato del comma 3 della citata norma la comunicazione di apertura della mobilità del 15/11/2013. Rileva che erano state puntualmente evidenziate dalla difesa del lavoratore molteplici circostanze di illegittimità ed in particolare l’utilizzo in detta comunicazione di mere clausole di stile quali perdurante recessione parcellizzazione degli ordini, mercato schizofrenico, riduzione del margine operativo, riduzione del fatturato, l’assenza di ogni riferimento ai dati contabili societari, la mancata esplicitazione delle ragioni per le quali erano state ritenute in esubero 5 unità da subito prospettate dalla difesa del lavoratore, omettendo di approfondire dette circostanze con adeguata istruzione probatoria.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4 dell’art. 2697 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 5 dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la Corte, a fronte della dedotta insussistenza dei presupposti sostanziali per l’avvio della mobilità, abbia omesso di procedere all’accertamento degli stessi mediante istruttoria (limitandosi al solo interrogatorio libero delle parti all’udienza del 6/7/2016) ed omesso altresì ogni valutazione circa il rispetto da parte del datore di lavoro dell’onere della prova delle ragioni a base del licenziamento collettivo e del principio di buona fede.

1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4 e dell’art. 116 c.p.c.. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto legittimo l’accordo sindacale siglato dalle oo.ss. ai sensi del comma 5 sulla scorta della comunicazione di avvio della procedura di mobilità del 15/11/2013, essendosi tale accordo sostanziato nella mera presa d’atto delle circostanza di cui alla comunicazione preventiva senza alcuna pur sintetica valutazione delle stesse, con ciò di fatto fuorviando o eludendo l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuito alle oo.ss..

1.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4. Lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto legittima la comunicazione di cui al comma 9 della citata norma di chiusura della mobilità senza tener conto del fatto che in tale comunicazione non era stato fatto alcun richiamo nè al criterio convenzionale dell’individuazione degli esuberi in base al profilo professionale (criterio predeterminato dal datore di lavoro nella comunicazione preventiva e fatto proprio nell’accordo con le oo.ss.) nè al criterio delle ragioni tecnico produttive organizzative da intendersi sotteso alla scelta datoriale, secondo gli stessi giudici territoriali. Rileva anche l’omessa valutazione di vizi formali attinenti tanto alla data certa della formazione del documento quanto alla trasmissione dello stesso alle parti ed alle pp.aa. individuate dalla L. n. 223 del 1991, art. 4.

1.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 6 dell’art. 2697 c.c. anche in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 5 ed alla L. n. 604 del 1966, art. 5, dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la Corte, respingendo le istanze istruttorie del reclamante, e non procedendo all’istruzione probatoria, abbia omesso di appurare importanti circostanze di fatto in ordine sia alla fondatezza delle ragioni addotte a base della mobilità sia rispetto ai criteri per l’individuazione degli esuberi in relazione alla persona del reclamante.

2. Il ricorso, nei vari motivi in cui è articolato, è infondato.

3. La comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro avvia la procedura di licenziamento collettivo deve avere i contenuti prescritti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ma non predeterminare criteri di scelta, ha essenzialmente la finalità di consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale (tra molte: Cass. 7 settembre 2002, n. 13031; Cass. 11 aprile 2003, n. 5770; Cass. 11 luglio 2007, n. 15479; Cass. 2 marzo 2009, n. 5034); tuttavia compete al giudice del merito verificare – con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistito da idonea motivazione – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (ex aliis, Cass. n. 15479/2007 cit.; Cass. n. 17 aprile 2014, n. 8971; Cass. 14 aprile 2015, n. 7490); in particolare tale comunicazione è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. 16 marzo 2007, n. 6225; Cass. 16 gennaio 2013, n. 880; Cass. n. 7490/2015 cit.); in proposito si è sovente affermato che, in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale (Cass. 5 maggio 2016, n. 9061; Cass. 3 luglio 2015, n. 13794), per cui, in relazione ad essi, “l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza” (in termini: Cass. 18 novembre 2016, n. 23526); occorre poi ribadire che la L. n. 223 del 1991, nel prevedere, agli artt. 4 e 5, la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda; i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di effettive esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 21 febbraio 2012, n. 2516; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3176).

Nella specie, come evidenziato dalla Corte territoriale, nella comunicazione preventiva la Valeriani & Rossi s.r.l. aveva individuato compiutamente le ragioni che avevano determinato la contrazione del personale (riduzione del margine operativo e del fatturato a sua volta cagionata dalla recessione e comprovata anche dai pregressi interventi di integrazione salariale) ed altresì specificamente indicato il numero, la collocazione aziendale e i profili del personale eccedente dando atto, in relazione a ciascun reparto aziendale, del numero dei dipendenti impiegati, della qualifica e del livello di ciascuno di essi, dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale. La procedura era quindi passata al vaglio delle oo.ss. che erano addivenute all’accordo sindacale la cui sottoscrizione costituiva ulteriore indice per valutare la completezza della comunicazione iniziale (v. la già citata Cass. n. 7490/2015 oltre che, sulla possibilità che l’accordo sindacale consenta di apprezzare l’adeguatezza delle informazioni fornite, anche Cass. 5 marzo 2014, n. 5195 e Cass. 5 aprile 2011, n. 7744).

Del resto, come sopra evidenziato, la valutazione della adeguatezza della comunicazione spetta al giudice di merito, e deve essere compiuta anche in relazione al fine che la comunicazione stessa persegue, che è quello di sollecitare e favorire la gestione contrattata della crisi.

Quella, nella specie, operata è del tutto logica e coerente con i residui spazi di controllo devoluti al giudice che non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione, per cui non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine che attiene invece al merito delle scelte imprenditoriali circa la riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.

4. Anche il rilievo relativo alla pretesa nullità dell’accordo sindacale è infondato.

Questa Corte ha già affermato che, in materia di licenziamenti collettivi per riduzione del personale, la L. n. 223 del 1991, art. 5 (sul quale è intervenuta la sentenza di rigetto della Corte costituzionale n. 268 del 1994 che contiene importanti affermazioni in merito alla procedimentalizzazione dell’esercizio del potere imprenditoriale di recesso) deve essere interpretato nel senso che il datore di lavoro, una volta definiti e giustificati gli ambiti spaziali e/o delle singole lavorazioni o settori produttivi entro cui operare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità, ha la facoltà – da esercitare previo accordo con le organizzazioni sindacali di cui alla stessa L. n. 223, art. 4, comma 2, – di privilegiare ai cosiddetti criteri sociali (anzianità e carichi di famiglia) il criterio delle esigenze tecnico – produttive ed organizzative. Tali esigenze possono, quindi, giustificare una specifica e più ristretta localizzazione della scelta ovvero la predeterminazione di una serie di graduatorie che, con carattere di generalità, accorpino mansioni identiche od omogenee in ragione della loro maggiore o minore fungibilità, essendo innegabile che la salvaguardia del rapporto lavorativo dei dipendenti con specifici profili professionali (difficilmente riscontrabili nel mercato del lavoro) è spesso elemento decisivo per la riuscita dei processi di ristrutturazione e riconversione produttiva (v. Cass. 9 maggio 2006, n. 11886; Cass. 25 gennaio 2006, n. 1405; Cass. 7 giugno 2003, n. 9153; Cass. 6 aprile 2002, n. 4949; Cass. 3 febbraio 2000, n. 1201; Cass. 10 giugno 1999, n. 5718; Cass. 24 marzo 1998, n. 3133).

Su tali criteri pattizi il sindacato di ragionevolezza, che il giudice, investito a seguito di impugnativa del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità, può effettuare, è limitato alla violazione del principio di non discriminazione tipizzato nelle fattispecie previste dall’art. 15 dello Statuto dei lavoratori e più in generale alla violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) – v. Cass. 20 marzo 2013, n. 6959; Cass. 11 maggio 1999, n. 4666 -.

Nella specie la Corte territoriale, con riferimento all’adottato criterio di cui all’art. 5, comma 1, lett. c), e così al criterio di selezione basato sul profilo professionale dei dipendenti che del primo costituiva applicazione, ha ritenuto, in modo conforme agli indicati arresti giurisprudenziali, che lo stesso risultasse coerente con i principi di razionalità economica e di ragionevolezza così da non meritare le censure che in questa sede vengono mosse anche sotto il profilo della violazione del criterio di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., deputato a presiedere la soluzione in forma equilibrata dei conflittuali interessi delle parti.

5. Per il resto, gli ulteriori rilievi di cui al primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso (relativi alla sussistenza della situazione di eccedentarietà del personale, alla riduzione del margine operativo e del fatturato, ai motivi tecnici, organizzativi e produttivi ostativi all’adozione di misure atte ad evitare la riduzione di personale, all’effettività del confronto e delle valutazioni in sede sindacale, al rispetto dei criteri per l’individuazione degli esuberi, alla fungibilità dello S. ed allo svolgimento dal parte dello stesso di mansioni anche presso reparti non interessati dalla mobilità), oltre ad infrangersi, in parte, contro la sopra evidenziata estraneità al controllo giudiziale delle verifiche concernenti l’iniziativa imprenditoriale, impingono nelle valutazioni di merito della Corte territoriale e sono come tali inammissibili specie considerato che questa Corte ha già affermato (v. Cass. 29 ottobre 2014, n. 23021; Cass. 29 ottobre 2015, n. 22142; Cass. 27 luglio 2017, n. 18659), con indirizzo cui si intende dare in questa sede continuità, l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c. alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo ex art. 1 Legge Fornero. A tale riguardo ha evidenziato come la normativa di riferimento non disciplini il contenuto dell’atto di reclamo, introduttivo del giudizio di secondo grado e che vi è dunque integrazione della disciplina – pur speciale – dettata dalla L. n. 92 del 2012, art. 1,commi 58 e 61 con quella dell’appello nel rito del lavoro; dalla integrazione deriva la applicazione anche dell’art. 348 ter c.p.c., ed in particolare – per quanto in questa sede rileva – della modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia cd. doppia conforme.

A tenore dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il vizio di motivazione non è dunque deducibile in caso di impugnativa di pronuncia cd. doppia conforme, come nella fattispecie di causa.

La disposizione è applicabile ratione temporis (D.L. n. 83 del 2012, ex art. 54, comma 2) nel presente giudizio giacchè il reclamo è stato depositato in data 5.4.2016.

6. Nella parte in cui il ricorrente denuncia, poi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. senza, però, censurare l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e dunque per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360 c.p.c., comma 1, perchè, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinchè si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., Sez. un., 10 giugno 2016, n. 11892).

7. Quanto alle ulteriori doglianze, va ricordato che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. U, n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame.

8. Infine, quanto alle censure di cui al 4 motivo inerenti l’inoltro della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, (questione non trattata dalla Corte territoriale), non si evince dal ricorso per cassazione se le stesse fossero state anche in precedenza prospettate (nulla si rileva dalle motivazioni delle decisioni del Tribunale in sede cautelare ed in sede di opposizione trascritte nel contenuto dallo stesso ricorrente), il che rende il rilievo inammissibile per novità (v. Cass. 21 novembre 2017, n. 27568; Cass. 22 gennaio 2013, n. 1435; Cass. 20 ottobre 2006, n. 1453).

9. Il ricorso va, quindi, rigettato.

10. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

11. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2018

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