Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8159 del 22/03/2019
Cassazione civile sez. trib., 22/03/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 22/03/2019), n.8159
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17120/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio
eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
GE.CO. Generale Costruzioni s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv.
Giampiero Tasco e dall’Avv. Giorgio Pozzi, elettivamente domiciliata
in Roma, via Antonio Gramsci n. 54, presso lo studio Tasco &
Associati;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio
depositata il 14 maggio 2013, n. 131/35/13.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio
2019 dal Cons. Salvatore Leuzzi.
Fatto
RILEVATO
che:
– L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, di rigetto dell’appello da essa avanzato avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale del Lazio, che aveva accolto il ricorso di GE.CO. Generale Costruzioni s.r.l., annullando un provvedimento di diniego di rimborso IVA relativo all’anno 2003 e un avviso di accertamento finalizzato al recupero dell’imposta anzidetta per la medesima annualità.
– Il diniego veniva adottato sul presupposto della “non operatività” della società richiedente negli anni dal 2001 al 2002, secondo i parametri della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 37.
– Il ricorso erariale è affidato a tre motivi.
– La contribuente resiste con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– Con il primo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 45, in combinato disposto con la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 15 e della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 37, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto l’entrata in vigore dell’art. 3, comma 45, anzidetto nel 2006, anzichè a decorrere dal 1996, reputando di conseguenza l’inapplicabilità della norma al caso di specie.
– Con il secondo motivo di ricorso, si censura la violazione del D.P.R. n., n. 633 del 1972, art. 30, comma 4 e della L. n. 662 del 1996, art. 3, commi 45 e 37, non avendo la Commissione tributaria regionale statuito la non spettanza del rimborso richiesto, nonostante la accertata e incontestata non operatività della società per l’anno 2002.
– Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, per i giudici d’appello escluso che l’erario potesse contestare il credito nonostante l’accesso della contribuente al c.d. “condono tombale” in relazione ai debiti IVA del periodo di riferimento.
– Ha precedenza l’esame del secondo motivo.
– Esso è inammissibile, in quanto dà “per pacifico” che GE.CO non fosse operativa nel 2002, ancorchè la Commissione tributaria regionale abbia accertato in contrario che “le condizioni previste dalla L. n. 662 del 1996, risultano – per tabulas – rispettate”, in tal guisa confermando sul punto la sentenza di primo grado, che pure aveva escluso che la società non fosse operativa.
– Tale accertamento si mostrava suscettibile d’essere contestato sotto il profilo del vizio di motivazione, attraverso la precisa indicazione del fatto decisivo omesso e la specifica allegazione dei documenti da cui tale fatto avrebbe dovuto essere ricavato, ovvero degli atti del giudizio (ricorso, memorie, verbali di causa) nei quali la società avrebbe ammesso di essere non operativa nell’anno 2002.
– La censura, che, pur se rubricata sotto il profilo della violazione di legge, non attinge affatto l’interpretazione o l’applicazione di norme di diritto, si limita invece, nella sostanza, a contrastare in via meramente assertiva la valutazione in fatto compiuta dalla CTR laddove ha escluso la “non operatività” di GE.CO..
– All’inammissibilità del secondo motivo di ricorso consegue l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del primo e del terzo motivo, che investono le due ulteriori rationes decidendi sulle quali si fonda la sentenza impugnata.
– Va sul punto richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (v. Cass. n. 9752 del 2017; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 22753 del 2011).
– Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile.
– Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 7500,00, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 5 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2019