Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2366 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/01/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 29/01/2019), n.2366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17464-2017 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI, 11, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO IMPROTA,

rappresentata e difesa dall’avvocato BARBARA AQUILANI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA, EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 11/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/12/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

Il Tribunale di Roma, su istanza di P.P., omologava, come da C.T.U., Accertamento Tecnico Preventivo concernente i requisiti sanitari ai fini del riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, compensando le spese del procedimento “attesa la decorrenza del beneficio principale da data posteriore al ricorso”;

avverso il provvedimento propone ricorso per cassazione P.P. con unico motivo;

l’INPS resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con unico motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 445 c.p.c., comma 5. Osserva che la compensazione delle spese era stata disposta in ragione del riconoscimento da parte del CTU del requisito sanitario per l’indennità di accompagnamento dal 1/12/2015, quindi in epoca successiva al deposito del ricorso avvenuto in data 26/5/2015. Rileva che tale motivazione non era idonea a giustificare la compensazione delle spese, poichè dallo spostamento della decorrenza non era desumibile la reciproca soccombenza ma, piuttosto, la soccombenza dell’Istituto, poichè, secondo il principio di causalità, la necessità di ricorrere al giudice era imputabile all’Inps, specificamente in ragione del diniego della domanda inoltrata in via amministrativa successivamente accolta in sede giudiziale, con conseguente totale soccombenza dell’Inps. Evidenzia che, in ogni caso, l’art. 92 c.p.c., prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti solo in caso di soccombenza reciproca, quando, cioè, sia ravvisabile una pluralità di pretese contrapposte rigettate a svantaggio di entrambi gli istanti, mentre nella specie il giudice aveva accolto in toto le domande proposte da parte istante. Qualora, poi, nello spostamento della decorrenza fosse ravvisabile un’ipotesi di accoglimento parziale, parziale sarebbe dovuta essere anche la compensazione delle spese, individuandosi l’Inps come parte che ha dato causa in misura prevalente agli oneri processuali;

il ricorso è ammissibile sulla scorta di quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema in fattispecie analoghe (cfr. Cass. n. 6084/14, Cass. n. 6149 del 9/3/2017), perchè il decreto di omologa, nella statuizione relativa alle spese, costituisce un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, che incide indubbiamente sui diritti patrimoniali e che non è soggetto ad impugnazione in altre sedi;

la pronuncia sulle spese dell’accertamento tecnico preventivo, ex art. 445 bis c.p.c., è esplicitamente prevista dallo stesso art., comma 5, e deve coordinarsi con i principi generali di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.. Nell’ambito di tali principi viene in considerazione la soccombenza parziale, nella specie in concreto ravvisabile, stante l’accoglimento della pretesa limitato nella durata, con fissazione di una decorrenza del beneficio successiva all’epoca della domanda, idoneo a giustificare la compensazione (“La nozione di soccombenza reciproca che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento anche meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo” Cass. n. 10113 del 24/04/2018);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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