Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1859 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 23/01/2019), n.1859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24625-2017 proposto da:

COMPAGNIA AEREA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;

– ricorrente –

contro

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati FERDINANDO PERONE, PAOLO PERUCCO, ANDREA

BORDONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 406/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18 aprile 2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 06 novembre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Milano, accogliendo in parte la domanda proposta da C.E. nei confronti di Alitalia Compagnia Aerea Italiana s.p.a., dichiarava la nullità del termine apposto al quarto dei contratti di lavoro subordinato stipulati tra le dette parti (per lo svolgimento di mansioni di Pilota “Primo Ufficiale”) per il periodo dall’8 maggio al 7 ottobre 2012 e dichiarava costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dall’8 maggio 2012 con condanna della società al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, ex art. 32, pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; che, a seguito di appello principale della società ed incidentale del lavoratore (riferito alla statuizione di decadenza dall’impugnativa dei primi tre contratti a tempo determinato ed a quella con la quale il Tribunale aveva ritenuto assorbita la domanda relativa alla violazione del diritto di precedenza nell’assunzione di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 5, dall’accoglimento di quella di nullità del contratto a termine) la Corte territoriale, con sentenza del 18 aprile 2017, li rigettava entrambi confermando la decisione del primo giudice;

che, ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede, ai fini della verifica dell’osservanza da parte della società della cd. “clausola di contingentamento” occorreva stabilire (e quindi la società doveva provare) quanti lavoratori a termine fossero in forza con contratto stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, al momento dello svolgimento del rapporto di lavoro e che il loro numero non superasse mai il 15% degli assunti a tempo indeterminato e tale prova non era stata fornita non essendo la documentazione fornita allo scopo dalla società attendibile;

che per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la Compagnia Aerea Italiana s.p.a. (già Alitalia Compagnia Aerea Italiana s.p.a.) affidato a quattro motivi cui resiste il C. con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’integrale accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,420 e 437c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte d’appello erroneamente applicato il disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001 cit., art. 2, – secondo il quale la percentuale del 15% dell’organico aziendale, fissata come limite per il ricorso ai contratti a termine, doveva essere calcolata con riferimento all’organico aziendale al 1^ gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferivano – e consistendo, dunque, l’onere gravante sulla società nella indicazione del numero dei contratti a termine stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, cit. art. 2, dall’inizio dell’anno e fino alla sottoscrizione del contratto in questione dato da raffrontare, poi, all’organico aziendale al 1^ gennaio;

– con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione violazione, sotto altro profilo, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,420 e 437c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto la Corte territoriale: aveva omesso di considerare che la prova del rispetto della “clausola di contingentamento” doveva ritenersi pacifica stante la mancata contestazione entro il termine della prima udienza da parte del lavoratore della documentazione prodotta dalla società, con riferimento all’anno 2012, unico anno rilevante ai fini della decisione;

non aveva tenuto conto del fatto che i contratti a termine prodotti da controparte (contratti dal cui mancato inserimento negli elenchi depositati dalla società il Tribunale aveva ritenuto inattendibile la documentazione prodotta e, dunque, non idonea a provare il rispetto della “clausola di contingentamento”) erano stati tardivamente prodotti in giudizio e, comunque, concernevano l’anno 2011 e non il 2012;

– con il terzo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo il giudice del gravame del tutto omesso di esaminare che il documento contrassegnato dal n. 5 della produzione della società conteneva la lista di tutti i contratti a tempo determinato stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 cit., art. 2, con la data di decorrenza e di cessazione di ciascun rapporto sicchè risultava anche il dato relativo al personale in forza “al momento di svolgimento del rapporto di lavoro del lavoratore” erroneamente ritenuto mancante i ragion per cui la documentazione prodotta dal lavoratore giammai avrebbe potuto smentire l’attendibilità delle liste nominative prodotte dalla società non contestate e confermate anche dal teste escusso ingiustamente ritenuto inattendibile;

– con il quarto motivo viene dedotta nullità della sentenza per obiettiva insufficienza della motivazione in parte qua, violazione dell’art. 132 c.p.c., degli artt. 118disp. att. c.p.c. e dell’art. 24 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la Corte d’appello ritenuto la deposizione del teste escusso inattendibile sulla scorta di una motivazione illogica ed irrazionale;

che il primo motivo è inammissibile alla luce del principio secondo cui nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano, sicchè è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U., n. 16602 del 08/08/2005; successive conformi, ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U., n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, nel caso in esame, a prescindere dalla interpretazione fornita del disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, in ordine al criterio da applicare per verificare l’osservanza della “clausola di contingentamento” la Corte territoriale ha ritenuto che la documentazione prodotta dalla società fosse nel suo complesso inattendibile e, dunque, non idonea a comprovare il rispetto di detta clausola, ratio decidendi questa non inficiata dagli altri motivi di ricorso come appresso si dirà;

che il secondo motivo è infondato. In primo luogo va rilevato come il lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio avesse eccepito la nullità dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per violazione della “clausola di contingentamento” sicchè non era suo onere contestare le contrarie allegazioni aziendali o fornire la prova contraria alle allegazioni di controparte avendo egli già espresso la propria posizione al riguardo così fissando quello che era il thema probandum (Cass. n. 6183 del 14/03/2018; Cass. 18046 del 20 agosto 2014); peraltro, è stato anche precisato che “Il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, nè tale specificità può essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi.” (Cass. n. 22055 del 22/09/2017; Cass. n. 12748 del 21/06/2016; Cass. n. 6606 del 06/04/2016; Cass. n. 18046 del 20 agosto 2014) e, nel caso in esame, ciò che viene lamentata è proprio la mancata contestazione del contenuto dei documenti prodotti dalla società. Quanto alla tardiva produzione da parte del lavoratore dei contratti a termine stipulati nel 2011 che non risultavano riportati nella lista prodotta dalla società si osserva come correttamente la Corte territoriale ha ritenuto giusta la decisione del primo giudice di ammetterli, visto che la loro produzione si era resa necessaria a seguito della documentazione prodotta dalla società. Ed infatti, è il caso di ricordare come il potere istruttorio di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c. ben può essere utilizzato anche per superare preclusioni o decadenze in danno delle parti essendo diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio (Cass. n. 10790 del 04/05/2017; Cass. n. 19305 del 29/09/2016) ed i criteri per il suo esercizio sono determinati dall’esigenza, propria del rito del lavoro, di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità e la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile al fine di decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo. Riguardo, poi, alla circostanza che i contratti prodotti dal lavoratore concernendo l’anno 2011 non potevano valere ad inficiare anche la documentazione relativa all’anno 2012 prodotta dalla società si osserva che, sul punto, la censura è inammissibile finendo con il sollecitare una rivisitazione del merito della causa non consentita in questa sede. Invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, ex plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003); nel caso in esame il Tribunale prima e, poi, la Corte d’appello hanno, sulla scorta di una motivazione tutt’altro che tautologica ritenuto che la non coincidenza dei nominativi fra i contratti depositati e l’elenco dei dipendenti deponesse a sfavore della attendibilità dei dati forniti dalla società;

che il terzo motivo è inammissibile perchè non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, nella formulazione “ratione temporis” applicabile alla presente controversia come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) in quanto finisce il denunciare l’omessa o carente valutazione di un documento e non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Peraltro, la Corte, come già esposto nel corso della disamina del secondo motivo, ha valutato inattendibile la documentazione prodotta dalla società nel suo complesso, ivi compreso il documento il cui esame, qui, si assume omesso;

che il quarto motivo è infondato essendo la motivazione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto inattendibile il teste escusso adeguata e priva di contraddizioni e, dunque, tutt’altro che apparente o inesistente;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del controricorrente lavoratore come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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