Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12228 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. II, 14/06/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29645-2011 proposto da:

M.C., (OMISSIS), C.A. I.

(OMISSIS), C.D. (OMISSIS), C.

V. G. (OMISSIS), in qualità di eredi di C.

G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TRIONFALE 21,

presso lo studio dell’avvocato EUGENIO MAURIZIO CARPINELLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MIRELLA CHIAROLLA;

– ricorrenti –

contro

ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI della PROVINCIA di (OMISSIS),

p.iva

(OMISSIS), in persona del Direttore Generale legale

rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI ARIETA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

TRISORIO LIUZZI;

– controricorrente –

e contro

CO.VI.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1282/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GISONDA, con delega dell’Avvocato

GIUSEPPE TRISORIO LIUZZI difensore del controricorrente, che ha

chiesto il rigetto del ricorsO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Co.Vi. con atto di citazione del 15 maggio 7000 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bari C.G. e l’Istituto Autonomo Case Popolari della provincia di (OMISSIS) e premesso che con provvedimento di assegnazione di alloggio popolare del 30 luglio 1968 gli era stato attribuito l’immobile sito in (OMISSIS) per il quale in data 17 maggio 1999 aveva stipulato con IACP della Provincia di (OMISSIS) contratto di cessione in proprietà, che Gazzetta Giovanni assegnatario di altro alloggio popolare nel medesimo complesso immobiliare aveva occupato abusivamente il locale di uso comune posto al confine del vano scala attigua al locale consegnato ad esso deducente, così arrecandogli grave ed ingiustificato pregiudizio; chiedeva, pertanto, di accertarsi il proprio diritto di comproprietà sull’immobile de quo e di accogliersi la sua domanda di rivendica nei confronti del Gazzetta con ogni provvedimento idoneo a far cessare le molestie e le turbative subito, nei confronti della IACP, quale soggetto venditore, dichiararsi l’obbligo a manlevare esso attore anche ai sensi dell’art. 1480 c.c..

Si costituivano entrambi i convenuti.

L’IACP, contestando la genericità della domanda del Co., chiedeva che venisse precisato, quando il Gazzetta aveva occupato, indebitamente, la pertinenza in oggetto.

Il Gazzetta, a sua volta, eccepita la competenza tabellare del giudice della sezione staccata di Putignano eccepiva la totale infondatezza della pretesa attrice, posto che al Co. non risultava essere stato ceduto alcun diritto di comproprietà sul bene in questione. Insisteva per il rigetto della domanda dell’attore.

Assegnato il processo al giudice di Putignano espletata l’istruttoria il Tribunale di Bari sez. staccata di Putignano con sentenza n. 194 del 2005 dichiarava Co. comproprietario dell’immobile in contestazione, rigettava la domanda di garanzia del Co. nei confronti dell’IACP, compensava le spese tra Co. e l’IACP e condannava Gazzetta al pagamento delle spese del giudizio e delle spese della CTU. Avverso questa sentenza, interponeva appello Co.Vi. per erroneo riconoscimento della comproprietà del Co. sul locale in contestazione, erroneo rigetto della domanda di sospensione del processo, erroneo regolamento della disciplina delle spese.

Resistevano entrambi gli appellati, Co. dispiegava appello incidentale – chiedendo in caso di accoglimento dell’appello dichiararsi l’IACP tenuto a manlevare esso istante, anche ai sensi dell’art. 1480 c.c..

La Corte di Appello di Bari con sentenza n. 1282 del 2010 rigettava l’appello principale e dichiarava assorbito l’appello incidentale condannava l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, dagli atti e, soprattutto, dal registro delle deliberazioni adottato dal Consiglio di Amministrazione dell’IACP, risultava pacifica la destinazione condominiale del bene oggetto di controversia. C. non aveva correttamente documentato la natura e l’oggetto del giudizio asseritamele pregiudiziale e, pertanto, correttamente il Tribunale non aveva sospeso il presente procedimento: Tuttavia e, comunque, non esisteva la pregiudizialità di cui all’art. 295 c.pc..

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dagli eredi di C. ( M.C., moglie, G.A., D., V., i figli) con ricorso affidato a sei motivi illustrati con memoria. L’Istituto Autonomo Case Popolari hanno resistito con controricorso. Co.Vi., intimato, in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

In data 25 marzo l’avv. Chiarolla ha depositato la sentenza n. 225/13 del Tribunale di bari con unita comunicazione, ex art. 372 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 .= Con il primo motivo del ricorso gli eredi di G.G. lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Secondo i ricorrenti, erroneamente, la Corte distrettuale avrebbe disatteso l’eccezione di integrazione del contraddittorio considerato che vertendo in tema di proprietà, in base alla scrittura prodotta e, così come sarebbe stato formalmente eccepito, dovrebbe appartenere a più soggetti, e, comunque, apparterrebbe a V. A.R., moglie di Co., tutti i comproprietari avrebbero dovuto essere convocati in giudizio.

1.1.- Il motivo è infondato.

Intanto va qui ribadito e confermato quanto è stato correttamente evidenziato dalla Corte distrettuale e, cioè, che la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale spetta, a norma dell’art. 180 c.c., ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione di carattere reale (come, nella specie, quella di rivendicazione) o con effetti reali diretta alla tutela della proprietà o del godimento della cosa comune, senza che sia indispensabile la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge, non vertendosi in un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

Pertanto, correttamente, la Corte distrettuale ha ritenuto che il contraddittorio fosse integro.

1.1.a) Generica è, altresì l’osservazione del ricorrente in merito all’esistenza di altri intestatari del diritto oggetto della controversia perchè, come è affermato da questa Corte, in altra occasione (Cass. n. 13571 del 12/06/2006) che qui si ribadisce e si conferma: chi eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare nominativamente le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari, di provarne l’esistenza, e di documentare, altresì, i presupposti di fatto che giustificano l’integrazione. Epperò, l’attuale ricorrente, neppure, in questa fase, indica nominativamente chi sarebbero i litisconsorti necessari non convocati in giudizio.

2 = I ricorrenti lamentano ancora:

a) Con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3);

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, nel l’interpretare gli atti acquisiti al processo dai quali dovrebbe risultare la destinazione condominiale del bene oggetto della controversia non avrebbe correttamente seguito i canoni interpretativi e, soprattutto, quello secondo il quale le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre. In particolare, la Corte di merito nel ritenere la destinazione condominiale del locale de quo: a) non avrebbe tenuto conto che l’estratto del registro del Consiglio di Amministrazione dell’IACP non poteva avere nè valore costitutivo, nè valore ricognitivo perchè non si basava su di un titolo valido ed efficace, ma solo su una pseudo dichiarazione impersonale che per altro sarebbe contraddetta da altre dichiarazioni contrastanti. b) avrebbe ritenuto che, solo la natura condominiale del locale de quo, giustificherebbe l’imposizione della servitù di passaggio a favore della retro posta cantinola assegnata in via esclusiva al G., senza tenere conto, però, che avrebbe attribuito alla eventuale esistenza di una servitù di passaggio a carico del sub 15 il valore di prova di un diverso diritto (quello d’uso) che avrebbe dovuto essere provato in via autonoma e non per relationem.

c) Con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., art. 16 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale nel ritenere pacifica la destinazione condominiale del bene de quo non avrebbe tenuto conto che, ab origine tale locale era stata posseduto dal G. in modo esclusivo ed in modo totalmente incompatibile con l’uso condominiale o di altri soggetti. Non solo, ma lo stato dei luoghi come così rappresentato dal G. nei suoi atti difensivi, non contestati da parte avversa evidenziava che mai del locale di cui si dice si potesse fare un uso comune.

2.1.= La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte – o direttamente o indirettamente, la questione (sia pure sotto profili diversi) di accertare se, nell’ipotesi, il bene, oggetto della controversia, avesse destinazione condominiale.

Ora, va qui permesso che il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito; di conseguenza la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. A sua volta, va, anche, premesso che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, si che, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 novembre 2003, n. 17248).

Ora, nel caso in esame, la parte ricorrente si limita – in concreto –

ad opporre, alla interpretazione del contratto inter partes data dai giudici del merito la propria soggettiva lettura di quello stesso contratto e degli stessi dati acquisiti al processo, ed è evidente –

quindi – che il motivo non può trovare l’accoglimento. La Corte distrettuale ha esaurientemente spiegato che la destinazione condominiale del bene de quo era stata sempre pacifica come risultava dall’estratto del registro delle Deliberazioni adottato dal Consiglio di Amministrazione dell’IACP. dalla situazione dei luoghi e dal contratto di cessione in proprietà a favore di Co..

D’altra parte, i ricorrenti non tengono conto che la valutazione dei dati processuali data dalla Corte distrettuale è complessiva, cioè, secondo quanto i singoli dati processuali indicavano considerati nel loro complesso, evitando la parcellizzazione dei diversi dati che, autonomamente considerati, avrebbero potuto, in via di principio, avere altro significato. Piuttosto, a fronte delle valutazioni della Corte distrettuale le parti contrappongono le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, nè può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le proprie aspettative e convinzioni.

3.= Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1021 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo il ricorrente, posto che il diritto d’uso è un diritto reale di natura temporanea, mentre il diritto che si ritiene esistente sarebbe di carattere perpetuo essendo collegato in perpetuo ad alcuni appartamenti, la dichiarazione di diritto d’uso non sarebbe idonea a fornire al prova dell’esistenza di un diritto d’uso, nè è adeguata a far sorgere tale diritto. Nella scrittura, comunque, non vi sarebbe nemmeno una precisa deroga al divieto di cedibilità del diritto d’uso, sicchè deve ritenersi cessato dopo che Ca.Vi. non era più proprietario dell’appartamento avente sub 5 per averlo ceduto alla figlia Be. con contratto di mantenimento nel quale per altro non si fa riferimento nè al diritto d’uso, nè alla comproprietà del locale in questione.

3.1- Il motivo, di non facile comprensione, è, comunque, inammissibile perchè riguarda una questione che non risulta abbia formato oggetto del giudizio davanti alla Corte di appello di Bari.

E’ giusto il caso di ricordare che, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa.

4 = Con il quinto motivo del ricorso, i ricorrenti, lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c.. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, erroneamente, non avrebbe sospeso il giudizio per pendenza di altro giudizio asseritamente pregiudiziale. In particolare, specificano i ricorrenti, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che il G. aveva proposto autonomo giudizio ancora pendente presso il Tribunale di Bari per vedersi riconosciuta la proprietà del bene di cui si dice, in forza dell’assegnazione originaria e per usucapione ventennale. Tra l’altro, va osservato, sempre secondo i ricorrenti, che le parti dei due giudizi coincidevano e che il Co. nel rivendicare la proprietà di un bene reclamato dal G. in proprietà originaria, sarebbe direttamente e necessariamente interessato a questo secondo giudizio poichè il diritto vantato dipenderebbe dall’accertamento effettuato nel giudizio pregiudiziale.

4.1 .= Il motivo è infondato.

Infatti, la Corte distrettuale, contrariamente a quanto sostengono I’ ricorrenti, ha chiaramente specificato che il rapporto di pregiudizialità che, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., impone al giudice la sospensione necessaria del processo, non poteva configurarsi nel caso concreto, perchè nel processo pregiudiziale non era parte Co.Vi., così come risultava per tabulas dall’atto di citazione introduttivo del procedimento RG. 211/2005, Sezione staccata di Putignano, prodotta in primo grado. E, tale affermazione è perfettamente coerente con l’orientamento espresso da questa Corte di Cassazione con diversi arresti, tra i quali sent. n. 15017 del 15/07/2005, secondo cui il rapporto di pregiudizialità che, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., impone al giudice la sospensione del processo, non può configurarsi nella ipotesi di processi pendenti tra soggetti diversi, perchè la pronuncia in un giudizio non può fare stato nei confronti delle diverse parti di un altro giudizio e, quindi costituire il necessario antecedente logico –

giuridico della relativa decisione.

4.1.a) Tuttavia, essendo stato denunciato un error in procedendo, la Cassazione sarebbe anche giudice del fatto, con la conseguenza che, parte ricorrente, avrebbe dovuto indicare nel ricorso, e non lo ha fatto, tutti gli elementi necessari caratterizzanti il dato processuale di cui richiederebbe il riesame. Come ripetutamente afferma questa Corte, che qui si condivide e si conferma: se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di mancata sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere – dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (ex multis Cass.. n. 8575 del 26/04/2005).

5.= Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3);

motivazione insufficiente e contraddittoria. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe motivato in modo contraddittorio la liquidazione delle spese perchè da un lato ha compensato integralmente le spese tra Co. e G., dall’altro ha condannato quest’ultimo a pagare le spese all’avvocato anticipatario.

5.1.= Il motivo è infondato. Come ha precisato la Corte distrettuale Iacp e Co. erano parti distinte ed ad ognuna delle quali competeva la liquidazione delle spese processuali per l’intero, ove non ne fosse disposta la compensazione totale o parziale. Pertanto, la circostanza che nei confronti di una parte convenute le spese siano state compensate non pregiudicava il diritto della parte vincitrice a sentirsene attribuire e liquidare l’intero. In altri termini, la contraddittorietà della motivazione denunciata dal ricorrente è frutto solo di una lettura distorta della sentenza perchè la compensazione non è stata disposta tra Co. e G., ma tra G. e Iacp e tra il Co. e l’iacp, tra Co. e G. vi è stata, invece, la condanna del G. in favore di Co..

In definitiva il ricorso va rigettato e i ricorrenti in solido in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati a rimborsare all’IACP le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidare con il dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido, a vantaggio dell’IACP, al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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