Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12863 del 21/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 21/06/2016, (ud. 22/04/2016, dep. 21/06/2016), n.12863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22217/2014 proposto da:

A.F., + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

LUCREZIO CARO 63, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RAFFO,

che li rappresenta e difende giuste deleghe in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 330/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 18/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Alessandro Raffo difensore dei ricorrenti che si

riporta agli scritti.

Fatto

IN FATTO

Con decreto reso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, la Corte d’appello di Perugia rigettava l’opposizione proposta dagli odierni ricorrenti contro il decreto monocratico che aveva dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione, relativamente ad un processo amministrativo svoltosi innanzi al TAR Lazio e definito con decreto di perenzione. Rilevava detta Corte che ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, comma 3, all. 3, se nel termine di 180 gg.

dal decreto di perenzione il ricorrente deposita la dichiarazione di avere ancora interesse alla trattazione della causa, il presidente del TAR revoca il decreto stesso e dispone la reiscrizione della causa sul ruolo. Pertanto, il decreto di perenzione doveva ritenersi definitivo solo decorso detto termine; sicchè, nella specie, il ricorso ex lege n. 89 del 2001, era improponibile perchè proposto prima che il provvedimento conclusivo del giudizio presupposto fosse divenuto definitivo. Osservava, ancora, che non era fondata la replica della parte opponente secondo cui la proposizione del ricorso per equa riparazione integrava gli estremi d’un atto d’acquiescenza ai sensi dell’art. 329 cpv. c.p.c.. Pur ammettendo il rilievo della domanda a tal fine, restava il fatto che al momento in cui era stata presentata questa non presentava la condizione di proponibilità di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

La cassazione di tale decreto è chiesta dagli odierni ricorrenti con ricorso affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. e l’omessa esame d’un fatto decisivo e discusso dalle parti, in relazione, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Vi si sostiene che la volontà di non contrastare gli effetti del decreto di perenzione emesso nel giudizio presupposto sarebbe stata validamente manifestata in epoca anteriore al deposito del ricorso, mediante il rilascio al difensore della procura speciale ad agire ai sensi della L. n. 89 del 2001.

2. – Il secondo mezzo espone la nullità del procedimento c del decreto impugnato, per violazione degli artt. 112, 116 e 132 c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per aver la Corte territoriale reso la pronuncia d’improponibilità omettendo di esaminare la dedotta idoneità dei mandati apposti in calce al ricorso di equa riparazione a produrre, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., l’effetto di acquiescenza al decreto di perenzione.

3. – Il terzo motivo allega la nullità del procedimento e del decreto impugnato per violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte territoriale, vi si afferma, avrebbe erroneamente qualificato la definitività del provvedimento conclusivo del giudizio presupposto come condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione, dovendosi invece considerare condizione dell’azione, che in quanto tale ben può sopravvenire alla proposizione della domanda, dovendo sussistere all’atto della decisione.

4. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro sostanziale identità, sono manifestamente infondati sotto ogni profilo.

Ed infatti: a) il decreto impugnato si è pronunciato espressamente sulla pretesa acquiescenza al decreto di perenzione a causa della stessa proposizione det ricorso ex lege c.d. Pinto (v. pag. 4), escludendo che quest’ultima possa integrare gli effetti dell’acquiescenza implicita ex art. 329 c.p.c.; e non si vede cos’altro ciò possa significare se non che anche la procura, necessariamente anteriore alla presentazione del ricorso (diversamente l’attività della parte ricorrente sarebbe incorsa nella diversa nullità di cui all’art. 125 c.p.c., comma 2), è del pari inidonea a produrre acquiescenza; b) l’omessa pronuncia può avere ad oggetto solo le domande e le eccezioni di merito, non anche le mere difese, per di più in rito (cfr. ex multis, Cass. nn. 321/16 e 22860/04), come l’argomentazione difensiva a sostegno della proponibilità del ricorso; c) affermare che il rilascio della procura speciale a propone la domanda di equa riparazione implichi acquiescenza al provvedimento conclusivo del giudizio presupposto, sol perchè detta domanda non sarebbe altrimenti proponibile, costituisce la più classica delle petizioni di principio, visto che appunto di proponibilità della domanda in base alla L. n. 89 del 2001, art. 4, si discute.

5. – Anche il terzo motivo non ha pregio.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che la definitività della decisione emessa nel processo di riferimento, nel quale si sostiene essersi prodotta la violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU, condiziona la proponibilità della domanda e non già il suo accoglimento (fr. Cass. n. 19479/14), e come tale è stata interpretata anche da Corte cost. n. 30/14, secondo cui “si deve ritenere che la norma censurata (L. n. 89 del 2001, art. 4: n.d.r.) precluda la proposizione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata”.

6. – In conclusione il ricorso va respinto.

7. – Conseguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico dei ricorrenti in solido tra loro.

8. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e pone a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, le spese, che liquida in Euro 500,00 oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 22 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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