Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12924 del 22/06/2016
Cassazione civile sez. VI, 22/06/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 22/06/2016), n.12924
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2580/2015 proposto da:
C.M.A.C., elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DOMENICO FONTANA, 2 presso lo studio dell’avvocato GENNARO
MARIA AMORUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO
GIULIANI, giusta procura speciale nomina nuovo difensore, in atti;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 944/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di FIRENZE del 17/04/2014, depositata il 12/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO CIGNA;
udito l’Avvocato Amoruso Gennaro Maria (delega avvocato Stefano
Giuliani) difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
Il contribuente C.M., socio della SVS srl, ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale, nel rigettargli l’appello, ha confermato la decisione di primo grado, con cui la CTP, dato atto che gli accertamenti operati nei confronti della società erano divenuti definitivi per mancata impugnazione, aveva respinto i riuniti ricorsi proposti avverso avvisi di accertamento relativi ad IRPEF anni 2005 e 2006; la CTR, in particolare, ha evidenziato che, nell’ipotesi (quale quella in questione) di società a ristretta base sociale, la distribuzione dell’utile ai soci discende dalla naturale conoscenza dei fatti societari e dalla complicità nelle scelte;
nessun elemento utile poteva essere apportato dall’acquisizione degli atti del procedimento penale pendente in capo all’altro socio e fratello C.V..
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
La CTR, invero, si è attenuta al consolidato principio di questa Corte secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. A fronte di siffatto principio, il primo motivo, con il quale, denunziando violazione di legge, ci si duole del rigetto (da parte della CTR) della richiesta di acquisizione degli atti del procedimento penale è inammissibile, in quanto tende, sub specie di violazione di legge, ad una diversa valutazione, da parte di questa Corte, degli elementi probatori addotti dal contribuente; al riguardo appare sufficiente rilevare che il giudice di merito ha facoltà (e non obbligo) di acquisire gli atti del processo penale, liberamente valutando le risultanze degli stessi.
Il secondo motivo, denunciante vizio motivazione, è inammissibile, non essendo chiaramente indicato il fatto omesso che non sarebbe stato preso in considerazione dalla CTR. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2016