Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13945 del 07/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 07/07/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 07/07/2016), n.13945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9492-2013 proposto da:

ROMA CAPITALE, (OMISSIS) in persona del Sindaco A.

G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI FRANCESCO BIASIOTTI

MOGLIAZZA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA MAGNANELLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IB INIZIATIVE BUSINESS SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del

liquidatore G.V., elettivamente domiciliata in ROMA,

V.LE GIULIO CESARE 118, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA

LAURA SPEZZAFERRO, rappresentata e difesa dall’avvocato LILIANA

TARI giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1216/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato DANIELA GAMBARDELLA per delega;

udito l’Avvocato LILIANA TARI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.r.l. Bellavista convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Comune della stessa città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti all’allagamento del locale ad uso garage di sua proprietà, dovuto alla cattiva manutenzione della rete fognaria comunale alla quale era allacciata quella del fabbricato.

Si costituì in giudizio il Comune di Roma, eccependo in rito il proprio difetto di legittimazione passiva per essere la strada luogo dell’evento dannoso di proprietà privata e non comunale, e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Espletata una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda per quanto di ragione e condannò il convenuto al risarcimento dei danni liquidati nella misura di Euro 23.731,71, oltre interessi, rivalutazione e con il carico delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dal Comune soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 5 marzo 2012, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che il primo motivo di appello si appuntava sul fatto che la sentenza di primo grado non aveva considerato che la fognatura condominiale della società attrice non riversava i liquami direttamente in quella comunale, bensì in una fognatura consortile che correva lungo un’area privata della quale il Comune non aveva la manutenzione. Tale motivo è apparso alla Corte infondato in quanto – come già rilevato dal Tribunale – vi era in atti una lettera del 18 luglio 2000 con la quale il Direttore della XIX Circoscrizione aveva comunicato all’avvocatura comunale che la fognatura in questione era in manutenzione al Comune di Roma, come risultava dall’effettuazione, proprio nel 1999, di lavori di eliminazione delle ostruzioni dalla fogna stessa; i lavori cui si riferiva la lettera erano successivi ai fatti di causa, per cui la lettera suindicata conteneva un riconoscimento, da parte del Comune, dell’esistenza di un obbligo di manutenzione a suo carico della fognatura che aveva determinato il danno, e tanto a prescindere dal percorso compiuto da questa prima di immettersi nella fognatura comunale. Ha poi aggiunto la Corte d’appello che la successiva nota, proveniente sempre dalla Circoscrizione, in data 8 giugno 2001, con la quale si attestava che la Via (OMISSIS) non era nella manutenzione del Comune non poteva ritenersi in contrasto con quella del 18 luglio 2000, giacchè faceva riferimento ad un obbligo di manutenzione di una strada e non di una condotta fognaria.

In riferimento al secondo motivo di appello – col quale il Comune aveva contestato la mancata adozione, da parte del Condominio della società danneggiata, di un sistema antirigurgito – la Corte romana ha osservato che tale eccezione era stata sollevata dal Comune solo con la memoria di cui all’art. 184 cod. proc. civ.; per cui, trattandosi di eccezione in senso stretto e non di mera deduzione difensiva, tale profilo non avrebbe dovuto neppure essere preso in esame dal Tribunale (che, peraltro, aveva ritenuto la questione infondata nel merito).

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre Roma Capitale con atto affidato a quattro motivi e supportato da memoria.

Resiste con controricorso la s.r.l. I.B. Iniziative Business, già s.r.l. Bellavista.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre innanzitutto rilevare che la società controricorrente ha posto due eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso.

1.1. La prima eccezione riguarda un presunto vizio della procura alle liti conferita dal Sindaco di Roma al difensore avv. Giovanni Francesco Biasiotti Mogliazza, procura che sarebbe priva del necessario requisito della specialità.

L’eccezione è infondata.

Risulta dagli atti che il mandato in favore del suindicato difensore è stato rilasciato dalla parte ricorrente in calce al ricorso. E’ vero che esso contiene una formula generica, ossia una delega a rappresentare Roma Capitale in ogni fase e grado del giudizio senza specifica indicazione del giudizio di cassazione e della sentenza impugnata; ma è altrettanto vero che detta procura forma un corpo unico con l’atto di ricorso, nel quale c’è, nella pagina n. 1, il puntuale richiamo alla sentenza d’appello impugnata. Sono in tal modo soddisfatti i requisiti di cui all’art. 365 cod. proc. civ. così come individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, poichè la procura in questione garantisce di essere stata apposta in data successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata ed anteriore alla notifica del ricorso ed investe il difensore del potere di rappresentare l’assistito in relazione a quel determinato giudizio, identificato dal richiamo contenuto alla sentenza di appello; la procura posta a margine del ricorso o del controricorso, del resto, è da ritenere speciale in quanto si riferisce comunque al processo al quale accede (v., in argomento, le sentenze 28 marzo 2006, n. 7084, 13 dicembre 2010, n. 25137, 14 novembre 2011, n. 23777, 24 gennaio 2012, n. 929, nonchè l’ordinanza 11 settembre 2014, n. 19226).

1.2. La seconda eccezione riguarda una presunta inammissibilità del ricorso siccome proposto da Roma Capitale, soggetto che sarebbe da ritenere diverso da quello che ha preso parte al giudizio di appello (Comune di Roma).

L’eccezione è priva di fondamento.

Com’è stato già affermato dalla sentenza 21 settembre 2015, n. 18467, di questa Corte, Roma Capitale è il nuovo ente territoriale subentrato dal 2010 al Comune di Roma, sorto a seguito della riforma del titolo 5 della parte seconda della Costituzione italiana di cui alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e dell’emanazione della L. Delega 5 maggio 2009, n. 42 (v. art. 24), e dei successivi decreti legislativi attuativi (v., in particolare, il D.Lgs. 17 settembre 2010, n. 156, il D.Lgs. 18 aprile 2012, n. 61, e il D.Lgs. 26 aprile 2013, n. 51).

Sicchè non vi è alcuna sostanziale diversità tra la parte costituita in grado di appello e quella che ha proposto l’odierno ricorso per cassazione.

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2730 cod. civ., in riferimento alla lettera del 18 luglio 2000.

Osserva il ricorrente, richiamando le proprie difese contenute nell’atto di appello, che la sentenza in esame avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente la lettera in questione per affermare la responsabilità del Comune, in quanto dichiarazione di responsabilità. Vi sarebbe violazione dell’art. 2730 cit. perchè la dichiarazione proveniente dal funzionario del Comune non era chiara nella sua portata, potendo riferirsi sia alla conduttura comunale che a quella consortile privata di Via (OMISSIS). Sarebbe stato dato valore di confessione, quindi, senza rispettare la forma scritta ad substantiam ad un atto che non poteva essere considerato tale.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2732 cod. civ., sempre in riferimento alla dichiarazione di cui al primo motivo.

Rileva il Comune ricorrente che la causa verteva sulla veridicità o meno della dichiarazione suddetta, in relazione all’art. 2732 cit..

Il fatto che si stesse “attribuendo a un Comune un obbligo giuridico di manutenzione di una fognatura privata avrebbe dovuto indurre la Corte a ricercare elementi di errore/falsità nella dichiarazione”.

Nella lettera del 18 luglio 2000, infatti, si fa riferimento alla Via (OMISSIS), per cui il luogo del sinistro non sarebbe obiettivamente individuabile; e la Corte d’appello non avrebbe compiuto alcuna indagine “tesa a verificare l’esistenza dell’errore ai fini di invalidare la dichiarazione”.

4. I due motivi, da trattare congiuntamente siccome tra loro strettamente connessi, sono privi di fondamento.

Essi, infatti, sia pure con diverso sguardo prospettico, si appuntano entrambi sulla portata probatoria da attribuire alla dichiarazione 18 luglio 2000.

Al riguardo osserva il Collegio che la Corte d’appello, con una valutazione complessiva del tutto svincolata dai connotati della prova legale – che il ricorrente pare per implicito richiamare, lamentando la presunta violazione delle disposizioni in materia di confessione – ha compiuto un giudizio globale sul contenuto di quel documento e gli ha attribuito un certo significato nel quadro complessivo della vicenda. A tale risultato la Corte è giunta valutando anche il successivo documento dell’8 giugno 2001 avente la medesima provenienza, documento che è stato ritenuto non in contrasto con quello precedente, in quanto faceva riferimento ad un obbligo di manutenzione di una strada e non di una condotta fognaria.

A fronte di siffatta ricostruzione, che rappresenta esplicazione di un potere di valutazione che appartiene tipicamente al giudice di merito, le censure di cui ai motivi in esame si risolvono nell’evidente tentativo di ottenere in questa sede una nuova e non consentita discussione del materiale probatorio. Il secondo motivo, in particolare, è privo di fondamento poichè, attraverso una singolare tautologia, dà per dimostrato che la dichiarazione del 18 luglio 2000 non corrisponda alla verità e da tale presunzione, del tutto indimostrata, fa discendere la lesione dell’art. 2732 cod. civ. (revoca della confessione), sostenendo che la Corte d’appello avrebbe dovuto “ricercare elementi di errore/falsità nella dichiarazione” stessa, in quanto essa attribuiva al Comune di Roma un obbligo che doveva spettare al privato (il che, invece, era proprio l’oggetto della prova esaminata dalla Corte d’appello).

E’ evidente, quindi, che le prospettate violazioni di legge non sussistono e che non è neppure ipotizzabile il vizio di motivazione di cui alla seconda parte del secondo motivo, giacchè la Corte di merito ha dato sufficiente conto delle ragioni poste a fondamento della decisione, con una motivazione del tutto congrua ed immune da vizi logici.

5. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2734 e 2730 cod. civ., oltre ad insufficienza ed illogicità della sentenza su un fatto decisivo per il giudizio.

Osserva il Comune di Roma che la seconda dichiarazione prodotta in atti, cioè quella dell’8 giugno 2001, aveva chiarito l’effettivo significato della precedente, per cui alla stessa si sarebbe dovuto attribuire il valore correttivo di cui all’art. 2734 cod. civ.;

poichè la fognatura consortile parte da una strada privata, non in manutenzione al Comune di Roma, ciò escluderebbe la possibilità che il Comune fosse tenuto a compiere interventi di manutenzione. La seconda dichiarazione, quindi, avrebbe tolto valore alla prima.

5.1. Il motivo, in parte ripetitivo dei precedenti, non è fondato.

Richiamando quanto già detto a proposito del primo e secondo motivo, questa Corte rileva che non è qui in discussione il profilo giuridico astratto del riparto dell’onere di manutenzione del tratto di fognatura in questione tra il Comune ed il consorzio del quale faceva parte il condominio all’interno del quale si è verificato il danno, perchè la Corte d’appello, in base alla valutazione in precedenza richiamata, ha dato per riconosciuto, da parte del Comune di Roma, l’esistenza di un obbligo di manutenzione a suo carico. Da tale presupposto la Corte di merito ha tratto la conseguente conclusione, che in questa sede non potrebbe essere modificata se non sostituendo arbitrariamente una differente e non consentita valutazione delle prove.

6. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, e art. 2043 c.c., nonchè degli artt. 167 e 183 c.p.c..

Rileva il ricorrente che la sentenza avrebbe errato nel non prendere il esame il problema dell’inesistenza di un sistema antirigurgito in relazione alla fognatura condominiale. Trattandosi di fatto colposo del creditore che ha concorso al verificarsi dell’evento, il profilo doveva essere esaminato anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 1227 cit., comma 1, come da pacifica giurisprudenza. La Corte d’appello, quindi, avrebbe dovuto affrontare la questione e verificarne la fondatezza, perchè anche la relazione del c.t.u. aveva posto in luce che l’esistenza di un sistema antirigurgito avrebbe impedito il verificarsi dell’allagamento.

6.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata, correggendo sul punto la decisione del Tribunale, ha ritenuto che la questione relativa alla mancata adozione del sistema antirigurgito da parte del condominio fosse stata tardivamente proposta dal Comune, in quanto sollevata per la prima volta in sede di replica ai sensi dell’art. 184 del codice di rito, ed ha perciò ritenuto inammissibile quel motivo di appello.

Roma Capitale non contesta il profilo della tardività, ma censura tale decisione osservando che la questione doveva essere esaminata anche d’ufficio ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1.

Osserva in proposito il Collegio che – a prescindere dal profilo formale della tardività o meno dell’eccezione – la decisione della Corte d’appello resiste comunque alla censura in esame. Ed infatti questa Corte ha già affermato, con un orientamento al quale va data oggi continuità, che gli impianti fognari, da chiunque realizzati, una volta inseriti nel sistema delle fognature comunali, rientrano nella sfera di controllo dell’ente pubblico che, come custode, risponde, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei danni causalmente collegati alla cosa, salva la prova del fortuito; il concorrente apporto causale di un terzo, rilevante soltanto in sede di eventuale regresso, in base ai principi della responsabilità solidale, non vale a diminuire la responsabilità del custode nei confronti del danneggiato, salvo che non integri il fortuito (sentenza 19 marzo 2009, n. 6665). In quella pronuncia si è anche stabilito che in tema di responsabilità extracontrattuale, se il danno subito da un condomino è causalmente imputabile al concorso del condominio e di un terzo, al condomino che abbia agito chiedendo l’integrale risarcimento dei danni solo nei confronti del terzo, il risarcimento non può essere diminuito in ragione del concorrente apporto causale colposo imputabile al condominio, applicandosi in tal caso non l’art. 1227 c.c., comma 1, ma l’art. 2055 c.c., comma 1, che prevede la responsabilità solidale degli autori del danno. In altre parole, la responsabilità di Roma Capitale non può essere diminuita, rispetto al condomino danneggiato (cioè l’odierna parte controricorrente), neppure ipotizzando un concorso di colpa del condominio, perchè la mancata presenza di un sistema antirigurgito potrà, semmai, avere rilievo in un eventuale giudizio di regresso promosso da Roma Capitale nei confronti del condominio, ma non in questa sede.

Il che toglie ogni rilievo decisorio al motivo in questione.

7. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2016

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