Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14565 del 15/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 15/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 15/07/2016), n.14565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11916/2012 proposto da:

E.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO

MAZZINI 4, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA CARTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO DE SIMONE;

– ricorrente –

contro

E.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI

APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PIZZINO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO LEGGERI;

– controricorrente –

e contro

E.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4331/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

uditi gli Avvocati Chiara De Simone – per delega dell’Avvocato

Corrado De Simone – e Pizzino;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E.E., con citazione dell’11 gennaio 1995, convenne davanti al Tribunale di Latina i germani E.M. e E.R., per ottenere la divisione dell’asse ereditario relitto da Em.Ma. (deceduto il (OMISSIS)) e dalla coniuge di questo S.B. (deceduta il (OMISSIS)). Si costituivano i convenuti E.M. e R., la prima proponendo domanda riconvenzionale per ottenere da E.E. il rendiconto o la collazione delle somme di denaro e dei beni immobili ricevuti dai genitori. Il Tribunale di Latina, con sentenza del 1 marzo 2005, dichiarate aperte le successioni di Em.Ma. e di S.B. devolute ab intestato ed in parti uguali in favore dei figli E.E., E.M. e E.R., disponeva lo scioglimento della comunione tra le parti sulle porzioni immobiliari e, rilevato il mancato accordo fra le stesse ai fini dell’attribuzione in natura dei beni, individuava, ai fini dell’effettuazione del successivo sorteggio, tre lotti in base alla relazione di CTU depositata il 15 aprile 1998, rimettendo per il prosieguo davanti al Giudice istruttore.

E.R. proponeva appello con due soli motivi, deducendo l’erroneita’ della decisione di prime cure quanto all’attribuzione dei valori dei tre distinti lotti ed insistendo per l’ammissione dell’interrogatorio formale di E.E., nonche’ della prova testimoniale, richiesti in primo grado. Si costituiva soltanto E.E., rimanendo contumace nel giudizio di gravame E.M.. Con sentenza n. 4331/2011 dell’8 ottobre 2011 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione. La Corte di merito osservava come l’appello fosse volto in sostanza a criticare l’effettivita’ dei valori dei tre lotti ricavati dal CTU sulla base dei rilievi mossi dal CTP ingegner G., essendo percio’ tale sperequazione dei valori ostativa all’attribuzione tramite sorteggio. La sentenza di secondo grado evidenzia come il Tribunale avesse disposto l’acquisizione ad opera del consulente d’ufficio della relazione tecnica di parte, sicche’ la CTU aveva tenuto conto delle osservazioni svolte dal CTP. In ogni caso, si trattava di censure non fondate su dati oggettivi e tutte attinenti alle risultanze estimative dell’elaborato peritale. La Corte di merito affermava poi, nel dettaglio, che il CTU avesse considerato la copertura in eternit del (OMISSIS), ovvero la spesa necessaria per la sostituzione della stessa, come anche la possibilita’ di ottenere i necessari titoli edilizi abilitativi per la creazione di due distinti appartamenti mediante realizzazione di un tramezzo divisorio nell’immobile di (OMISSIS). Circa la mancata ammissione dei mezzi istruttori, la Corte di Roma condivideva la decisione del Tribunale di negare l’ammissione tanto dell’interrogatorio formale che della prova testimoniale, non indicando i capitoli dedotti quali precise somme avesse ricevuto in donazione E.E..

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, E.R. ha proposto ricorso articolato in sette motivi, cui resiste E.E., mentre E.M., intimata, non ha svolto attivita’ difensiva. E.E. ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il 26 maggio 2016.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso di E.R., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla L. n. 257 del 1992, quanto all’accertata vetusta’ della copertura di eternit ed alla necessita’ di procedere alla sua rimozione, con conseguenti spese ed oneri. Nel motivo si rivolgono diffuse critiche alla CTU, richiamandosi la consulenza di parte, e si censura quanto al riguardo deciso dal Tribunale di Latina. Alla Corte d’Appello si contesta, invece, di non poter integrare, come fatto, con proprie valutazioni la relazione del CTU, allorche’ ha considerato che il consulente d’ufficio avesse tenuto conto della copertura in eternit nell’ambito della stima della vetusta’ dei singoli beni. Viene contraddetta anche l’interpretazione che la Corte di merito ha dato della L. n. 257 del 1992, art. 12.

Il secondo motivo di ricorso, posto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, allega, tuttavia, soltanto un vizio della motivazione in ordine al profilo, trattato nelle note critiche alla CTU e non esaminato dall’ausiliare ne’ dal Tribunale, della necessita’ e difficolta’ di ottenere il rilascio di un atto di assentimento comunale per ricavare due distinti appartamenti dall’unico attualmente esistente. Si adduce la palese incongruenza motivazionale, anche in relazione alle critiche alla CTU depositate all’udienza del 3 febbraio 2004 ed a tutti i problemi in esse trattati, ed ancora l’omesso rilievo dell’erroneita’ della sentenza di primo grado in relazione ai valori attribuiti dalla CTU agli immobili, anche alla luce della giurisprudenza richiamata negli atti e scritti difensivi.

Pure il terzo motivo di ricorso invoca in rubrica tanto il numero 3 che dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma poi si sostanzia soltanto in un “ulteriore vizio della motivazione” quanto all’avvenuta unificazione degli appartamenti “A” e “B” ed all’attribuzione dei relativi valori, anche in relazione agli atti amministrativi necessari ed agli effetti del D.P.R. n. 380 del 2001.

Il quarto motivo di ricorso, costantemente rubricato in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia la tautologia della motivazione della Corte di merito, che non avrebbe considerato che le contestazioni mosse dal CT di parte, “anche alla luce della giurisprudenza richiamata in atti”, non attengono affatto a valutazioni soggettive.

Il quinto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia l’omesso esame dei motivi dei motivi d’appello e la violazione “dei principi giurisprudenziali in materia di rispetto della destinazione naturale del bene e di obbligo di non alterazione della stessa”, nonche’ la “totale assenza di motivazione sul punto”. Si contesta che il frazionamento in due unita’ del corpo centrale dei negozi comporta una diminuzione di valore pari al 40%. A tali obiezioni la Corte d’Appello non avrebbe dato risposta.

Il sesto motivo, relativo sempre all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deduce la violazione e falsa applicazione dei principi in materia di divisione dell’immobile, ovvero la violazione dei principii giurisprudenziali in materia di edificabilita’ di fatto e di determinazione dell’effettivo valore di mercato dell’immobile, o, ancora la totale assenza di motivazione sul punto, quanto alla scadenza della concessione edilizia n. 17295 del 1996, con conseguente inedificabilita’ del terreno, incidente sul valore del lotto. Il settimo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deduce la violazione e falsa applicazione dei principii generali di cui agli artt. 112 e 115 c.p.c., ovvero l’erroneita’ dell’affermata fondatezza del rigetto delle istanze istruttorie avanzate alle udienze del 18.02.1999 e 04.04.2000 e non accolte; ed ancora, l’erroneita’ della motivazione, nella parte in cui ha ritenuto l’infondatezza delle critiche alla sentenza di primo grado, che aveva respinto le istanze istruttorie tempestivamente avanzate. Si deduce ancora la violazione dell’art. 230 c.p.c., circa l’ammissione e l’espletamento dell’interrogatorio formale.

2. In via pregiudiziale, vanno dichiarate inammissibili tutte le censure rivolte nei diversi motivi di ricorso specificamente contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Latina, o addirittura contro la relazione di consulenza tecnica d’ufficio, atteso che oggetto del ricorso in esame puo’ essere esclusivamente la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Roma. Va ancora detto che tema dei due motivi d’appello, poi transitati nei sette motivi di ricorso per cassazione, sono le contestazioni che E.R., parte del giudizio di divisione iniziato nel 1995 dalla sorella E., oppone al valore attribuito dal consulente tecnico d’ufficio agli immobili oggetto della divisione. Ponendo tali contestazioni, viene in discussione l’esattezza delle quote del progetto divisionale, questione su cui la causa era stata rimessa al collegio del Tribunale di Latina per la decisione.

A norma dell’art. 726 c.c., comma 2, invero, eseguita la stima, deve procedersi alla formazione di tante porzioni quanti sono gli eredi o le stirpi condividenti in proporzione delle quote. Per quota non puo’ intendersi che quella risultante dalla vocazione ereditaria. Il criterio dell’estrazione a sorte previsto dall’art. 729 c.c. e prescelto dal Tribunale di Latina, opera, allora, nel caso di uguaglianza di quote a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, ed e’ pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, allorche’ il sorteggio possa comportare un frazionamento antieconomico dei beni gia’ comuni o presenti degli inconvenienti che devono essere opportunamente valutati, i quali possono attenere non soltanto a ragioni oggettive legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunita’, la cui valutazione e’, tuttavia, sindacabile in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3461 del 12/02/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1091 del 18/01/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14165 del 27/10/2000; Sez. 2, Sentenza n. 5947 del 27/06/1996; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1757 del 17/03/1980). La stessa uguaglianza, o meno, delle quote, presupposta per l’assegnazione di queste mediante estrazione a sorte, a norma dell’art. 729 c.c., va valutata con riferimento al momento dell’apertura della successione, e sulla base di apprezzamento di fatto che, risolvendosi in un’indagine di fatto, e’ riservato al giudice di merito ed e’ censurabile in cassazione solo per la sua illogicita’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8772 del 26/10/1994).

Il ricorrente, nei motivi da uno a sei, lamenta che la Corte d’Appello di Roma abbia disatteso le sue contestazioni circa i criteri seguiti dal consulente tecnico d’ufficio e le valutazioni dallo stesso effettuate per la formazione delle quote, omettendo del tutto qualsivoglia concreta e complessiva analisi delle stesse. Tali motivi non possono essere accolti. La Corte di merito ha esaurientemente motivato il suo giudizio in ordine alla consulenza tecnica d’ufficio, escludendo che vi fossero le carenze denunciate con l’atto di appello, relative all’individuazione e valutazione dei cespiti. I primi sei motivi di ricorso sono, allora, innanzitutto genericamente formulati, denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, senza recare alcuna puntuale indicazione delle norme asseritamente violate; oppure affermando la violazione dei “principi giurisprudenziali”, laddove i precedenti di questa Corte possono consentire una verifica di legittimita’ sotto il profilo della violazione di legge soltanto ove intesi come puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto, di un specifica ed individuata disposizione normativa. Per il resto, i primi sei motivi ripropongono inammissibilmente in questa sede questioni di fatto, al di fuori dei limiti istituzionali del giudizio di legittimita’.

Deve pure affermarsi che il mancato esame dell’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica, o della richiesta di adozione di un diverso progetto, non e’ di per se’ idoneo a determinare il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, qualora il giudice di merito abbia adottato il progetto predisposto dal consulente tecnico d’ufficio, dopo di avere esaminato e confutato le critiche ad esso rivolte dalle parti, dovendo la motivazione del rigetto delle deduzioni non esaminate ritenersi implicita nella contraria decisione adottata (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1559 del 18/05/1968). Il giudice di merito non e’ tenuto, neppure a fronte di un’esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice stesso. Il continuo richiamo alle considerazioni della consulenza di parte dell’ingegnere G., operata dal ricorrente nei primi sei motivi di ricorso, trascura che le stesse costituiscono semplici allegazioni difensive, onde il giudice di merito non e’ vincolato a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni in esse contenute, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con esse e conformi al parere del proprio consulente, ne’ e’ obbligato, per quanto gia’ ribadito, a disporre nuova consulenza d’ufficio, sicche’ non e’ nemmeno necessaria un’espressa pronunzia sul punto, quando risulti, dal complesso della motivazione, che lo stesso giudice abbia ritenuto esaurienti i risultati conseguiti con gli accertamenti svolti. Ora, circa il dato della “copertura in eternit”, di cui nel primo motivo si lamenta la mancata considerazione, la Corte d’Appello ha affermato che la stessa dovesse intendersi implicitamente valutata dal CTU nell’ambito della vetusta’ degli elementi strutturali dei beni da dividere ed ha opposto che neppure sussistesse un obbligo legislativo di rimuovere tale copertura. Al riguardo, il ricorrente prospetta, sub specie di vizio di motivazione della sentenza, ovvero di insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dalla Corte di merito, dei fatti della controversia o delle prove, una spiegazione alternativa di tali fatti e delle risultanze istruttorie, e cioe’ che la medesima sussistenza della copertura in eternit dovesse essere diversamente contemplata nello stabilire il valore delle singole porzioni. Tale spiegazione alternativa – seppur provvista di astratta plausibilita’ – non appare l’unica possibile, laddove il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (pur nella formulazione qui applicabile, antecedente alla modificazione operata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012) deve incidere su un fatto “decisivo del giudizio”, e quindi non chiama questa Corte, quale giudice di sola legittimita’, a scegliere sulla base di criteri possibilistici o probabilistici tra due prospettazioni alternative. E’ poi corretto che della L. 27 marzo 1992, art. 12, comma 3, affida alle Regioni il compito di disporre la rimozione dei materiali contenenti amianto, ponendo il costo delle relative operazioni a carico dei proprietari degli immobili, ma cio’ a condizione che “non si possa ricorrere a tecniche di fissaggio, e solo nei casi in cui i risultati del processo diagnostico la rendano necessaria”. A parte, dunque, la necessita’ fattuale della verifica di tali condizioni di insorgenza dell’obbligo di rimozione della copertura del (OMISSIS), compreso nella comunione E., verifica da cui, semmai, discenderebbe l’effettiva necessita’ di calcolare gli oneri posti a carico del proprietario dell’immobile, nelle argomentazioni della Corte di Roma tale circostanza e’ spiegata come tale da non mutare la fisionomia, sul piano funzionale ed economico, della porzione che comprende il bene, e quindi non rilevante ai fini della tutela del diritto dei condividenti all’uguaglianza qualitativa delle distinte quote.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, quanto all’omessa considerazione della necessita’ e difficolta’ di ottenere il rilascio di un atto di assentimento comunale per ricavare due distinti appartamenti, identicamente tentano di spiegare alternativamente quanto dalla Cote di merito affermato, secondo cui il tramezzo divisorio da realizzarsi non era incompatibile col regime urbanistico. La divisibilita’ di un immobile comune, in attuazione del diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, puo’ ritenersi legittimamente da negare solo quando risulti rigorosamente accertata l’irrealizzabilita’ del frazionamento dell’immobile, oppure la sua realizzabilita’ a pena di notevole deprezzamento, o, ancora, l’impossibilita’ di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14577 del 21/08/2012). Nella specie, l’intervento da realizzare per la creazione di due distinti appartamenti nell’immobile di (OMISSIS) sembra, per quanto evincibile dalla sentenza impugnata, soggetto al regime del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 6 e percio’ affatto preclusivo dell’agevole frazionamento dell’immobile.

Il quarto motivo di ricorso e’, poi, inammissibile, in quanto censura in via generica la dichiarazione di condivisione che la Corte d’appello ha espresso rispetto alle elaborazioni del consulente d’ufficio ed ai criteri dallo stesso seguiti nella stima del valore degli immobili.

Il quinto ed il sesto motivo richiamano ancora risultanze di fatto della consulenza di parte (riduzione dello spazio del corpo centrale dei negozi, scadenza della concessione edilizia del 1996), insistendo per l’omessa considerazione di alcuni elementi di fatto nello stabilire il valore delle porzioni da parte della CTU e dei giudici di primo e di secondo grado. Sempre si trascura che la consulenza di parte vale come semplice allegazione difensiva, di carattere tecnico e priva di autonomo valore probatorio, sicche’ il giudice di merito puo’ disattenderne le conclusioni senza obbligo di analizzarle e confinarle, e senza percio’ incorrere in vizio di motivazione, non trattandosi di circostanze acquisite alla causa attraverso prove orali o documentali, purche’ risulti, dal complesso della motivazione, che lo stesso giudice abbia ritenuto esaurienti i risultati conseguiti con gli accertamenti svolti.

Va, infine, rigettato il settimo motivo di ricorso. E.R. si lamenta dell’omessa ammissione della prova per interrogatorio formale (ed in subordine per testi) circa la corresponsione di “somme di denaro” da E.M. alla figlia E. e circa l’occupazione da parte di quest’ultima dell’appartamento del padre, senza corrispondergli canoni. La sentenza di primo grado aveva negato l’ammissione di quelle prove, perche’ generiche (confermando le ordinanza istruttorie del 18 febbraio 1999 e del 18 aprile 2000), ed aveva quindi escluso dall’asse ereditario tanto quelle somme, quanto l’appartamento di (OMISSIS), in quanto acquistato da E.E. con atto del 6 marzo 1980. Pure la Corte d’Appello ha ritenuto generica l’istanza di prova che non specificava quali somme fossero state oggetto di donazione da parte del padre in favore della figlia Emanuela. Il ricorrente denuncia al riguardo violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e il vizio di motivazione.

Ora, secondo consolidato orientamento di questa Corte, la mancata ammissione di un’istanza istruttoria non integra omessa pronuncia, cioe’ violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto tale norma non riguarda le istanze istruttorie, sibbene soltanto le domande attinenti al merito; ne’ del pari la mancata ammissione di istanze istruttorie depone per una violazione del principio della disponibilita’ delle prove, secondo il quale il giudice, piuttosto, non puo’ porre a fondamento della decisione altro che le prove dedotte dalle parti. Sotto il profilo, invece, del difetto di motivazione, la censura non merita accoglimento alla luce del controllo della decisivita’ dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, controllo rimesso al giudice di legittimita’ e da operare soltanto sulla base delle deduzioni istruttorie indicate nel ricorso. Invero, il quarto capitolo di prova vorrebbe dimostrare che E.E. avesse occupato per anni l’appartamento di (OMISSIS), evidentemente agli effetti dell’obbligo del condividente di versare agli altri, pro quota, i frutti civili del bene comune goduto in esclusiva durante la comunione; sennonche’, tale bene, come visto, e’ stato escluso dalla massa ereditaria dalla sentenza di primo grado, e’ sul punto non e’ stato proposto specifico motivo di appello, sicche’ la questione e’ ormai sottratta al tema da decidere.

Parimenti, la sentenza di primo grado aveva escluso dall’asse ereditario le somme di danaro asseritamente corrisposte dai genitori ad E.E.. I primi tre articoli della prova per interrogatorio e per testi che E.R. afferma in ricorso di aver richiesto all’udienza del 18 febbraio 1999 rivelerebbero, allora, decisivita’ ove il ricorrente avesse dimostrato che gli stessi fossero strumentali all’accoglimento di una propria espressa domanda o eccezione, volte alla deduzione del fatto che la sorella Emanuela fosse tenuta alla collazione per imputazione ex se, ai sensi dell’art. 751 c.c., del valore nominale delle donazioni di specifiche somme di denaro effettuate dal de cuius. Al riguardo, dapprima il Tribunale e poi la Corte d’Appello hanno convincentemente argomentato che le prove per interrogatorio formale e per testi richieste dal ricorrente non fossero sufficientemente specifiche, secondo quanto richiesto negli artt. 230 e 244 c.p.c., valutazione che il giudice del merito deve effettuare sulla base del contenuto dei capitoli in rapporto ai termini della controversia, rimanendo tale indagine allo stesso giudice istituzionalmente demandata ed incensurabile in sede di legittimita’ se adeguatamente motivata.

Consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore della controricorrente E.E., mentre non occorre provvedere in proposito per E.M., la quale non ha svolto attivita’ difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente E.E. le spese del giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016

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