Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15090 del 21/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 21/07/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 21/07/2016), n.15090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.S., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliato per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 445/2014,

depositato il 5 marzo 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

marzo 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per i ricorrenti, l’avvocato Andrea Sgueglia, per delega

dell’Avvocato Salvatore Coronas.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorsi depositati presso la Corte d’appello di Perugia in riassunzione di precedenti ricorsi presentati dinnanzi alla Corte d’appello di Roma, dichiaratasi incompetente, i ricorrenti in epigrafe indicati, e altre persone qui non ricorrenti, chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Lazio il 3 giugno 1995 e definito con sentenza di improcedibilità del ricorso per carenza di interesse del 9 aprile 2010; giudizio volto ad ottenere il riconoscimento del diritto dei ricorrenti al medesimo trattamento stipendiale corrisposto all’Arma dei Carabinieri;

che la Corte d’appello rigettava la domanda sul rilievo che il principio per cui la violazione del termine di ragionevole durata di un processo genera normalmente sofferenza, ansia, patema, trova eccezione nel caso in cui la parte non nutra alcuna seria speranza in ordine al possibile accoglimento della domanda;

che tale era la situazione nel caso di specie, atteso che la domanda, proposta in forma collettiva e quindi con un impatto meno significativo sui singoli ricorrenti, era destinata a sicuro insuccesso perchè già in tal senso orientava la sentenza della Corte costituzionale n. 191 del 1990; del resto, gli stessi ricorrenti non avevano svolto attività sollecitatoria nel corso del giudizio presupposto, presentando una istanza di prelievo nel 2008, a tredici anni dall’inizio della causa, solo al fine di poter proporre la domanda di equa riparazione, ed avevano anzi dichiarato di non avere più interesse alla decisione, determinando l’adozione di una sentenza di improcedibilità;

che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso sulla base di due motivi;

che il Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione/falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 3, commi 4 e 5 e dell’art. 6 della CEDU, censurando il decreto impugnato per avere ritenuto sussistenti elementi tali da giustificare la insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata, quali la asserita natura seriale della controversia, la circostanza che la domanda fosse sin dall’inizio fortemente aleatoria e destinata alla reiezione, atteso che l’equa riparazione spetta alle parti del processo a prescindere dall’esito dello stesso; ovvero la definizione del giudizio presupposto con dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse, che non dà luogo a una presunzione di disinteresse anche per il periodo anteriore; ovvero ancora la tardata presentazione dell’istanza di prelievo costituendo, questi, tutti elementi che potrebbero al più, ove sussistenti (ma certamente non lo sarebbe quello relativo alla modestia della posta in gioco), incidere sulla determinazione dell’indennizzo;

che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, avendo il giudice di merito pronunciato sulla base di una ricostruzione errata e incompleta dei fatti di causa;

che il ricorso, i cui due motivi possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è fondato;

che invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che “in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, l’indennizzo è escluso per ragioni di carattere soggettivo nell’ipotesi di lite temeraria, di causa abusiva o nel caso ricorrano altre ragioni che dimostrino in positivo la concreta assenza di un effettivo pregiudizio d’indole morale, nonchè nelle alte situazioni elencate dal comma 2-quinquies, aggiunto all’art. 2 della L. n. 89 del 2001, del D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3) convertito in L. n. 134 del 2012. Nell’uno e nell’altro elenco non rientra il caso della manifesta infondatezza della domanda, la quale, ove non qualificata dall’ulteriore requisito di temerarietà o di abusività della lite, costituisce null’altro che il giudizio critico o di verità che la sentenza di merito esprime sulla postulazione contenuta nella domanda stessa” (Cass. n. 18834 del 2015);

che, si è rilevato in tale pronuncia, il diritto all’equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo: a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. n. 28592 del 2011; Cass. n. 10500 del 2011; Cass. n. 18780 del 2010), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una prete sa di puro azzardo; b) nell’ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Casa. n. 23373 del 2014, non massimate; Casa. n. 22873 del 2009), che ricorre allorchè lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite; e c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell’effettivo e concreto pregiudizio d’indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7325 del 2015);

che, si è quindi osservato, il comma 2-quinquies, aggiunto all’art. 2 della L. n. 89 del 2001, del D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3), convertito in legge n. 134 del 2012, ha previsto, con elencazione da ritenersi non tassativa, talune ulteriori ipotesi di esclusione dell’indennizzo, in presenza delle quali il giudice non dispone di margini d’apprezzamento della fattispecie;

che tra queste – si è precisato – “(continua a) non rientra(re) quella della manifesta infondatezza della domanda. Intuitiva l’estraneità al caso in esame delle lett. da b) ad e) del comma 2-quiaquies cit., va altresì esclusa sia la previsione di cui alla lett. a), che nega l’equa riparazione alla parte soccombente che sia stata condannata nel giudizio presupposto a norma dell’art. 96 c.p.c., sia quella di cui alla lett. f). Quest’ultima, in particolare, si riferisce ad ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi processuali; e dunque ad una condotta interna al processo e di specifica incidenza sulla sua durata, lì dove, invece, la manifesta infondatezza costituisce null’altro che il giudizio critico o di verità che la sentenza di merito esprime sulla postulazione contenuta nella domanda”;

che, nella specie, dal decreto impugnato emerge che la Corte d’appello ha desunto la consapevolezza della infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto facendo riferimento ad un elemento – la pronuncia della Corte costituzionale n. 191 del 1990 – che non risulta decisivo, atteso che la questione posta nel giudizio presupposto concerneva l’estensione del trattamento retributivo già riconosciuto al personale dell’Arma dei Carabinieri ai sottufficiali dell’esercito, con la medesima decorrenza del primo;

che in relazione a tale tipologia di controversia, nello scrutinare analoghi ricorsi aventi ad oggetto decreti della Corte d’appello di Perugia concernenti domande di equa riparazione proposte con riferimento a giudizi amministrativi nei quali si poneva la questione della estensione ai militari del trattamento economico previsto – per il periodo 1986-1991 – per i Carabinieri e altri corpi di polizia, questa Corte (Casa. n. 19478 del 2014) ha avuto modo censure la decisione consapevolezza, in domanda, la quale di ritenere immune dalle proposte della Corte d’appello secondo cui la capo ai ricorrenti, che la loro postulava la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, fosse manifestamente infondata e insuscettibile, in quanto tale, di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata, poteva considerarsi maturata solo nell’anno 1999, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 331;

che, d’altra parte, non può non rilevarsi che la pronuncia della Corte costituzionale del 1991, citata nel decreto impugnato, non poteva costituire precedente idoneo a fondare la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, della manifesta infondatezza della domanda da loro proposta, anche perchè tale domanda aveva ad oggetto la L. n. 23 del 1993;

che appaiono quindi fondate le censure volte ad evidenziare la erroneità della affermazione che la consapevolezza della manifesta infondatezza della domanda potesse essere insorta in capo ai ricorrenti prima ancora della proposizione della domanda, potendo la stessa farsi ragionevolmente risalire al 1999, e cioè alla decisione della Corte costituzionale n. 331, la cui motivazione, secondo quanto già ritenuto dalla Corte d’appello di Perugia con decreti risultati immuni dalle censure proposte con il relativo ricorso per cassazione, rendeva evidente la impossibilità di pervenire ad una soluzione favorevole rispetto alle pretese azionate dai ricorrenti anche nei giudizi aventi ad oggetto la decorrenza del disposto adeguamento;

che la identità della questione sottoposta a scrutinio in questa sede e quella oggetto di esame nella sentenza n. 19478 del 2014, impone di accogliere (così come del resto già avvenuto con le sentenze n. 27567 del 2014 e n. 22169 del 2015) il ricorso;

che il decreto impugnato va quindi cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia perchè, alla luce dei rilievi prima evidenziati, proceda a nuovo esame della domanda, nonchè alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto Impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016

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