Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15732 del 28/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 28/07/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 28/07/2016), n.15732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27151-2014 proposto da:

A.M., A.G., eredi di A.R., P.A.,

elettivamente domiciliati in Roma Piazza Cavour presso la corte di

Cassazione, rappresentati e difesi dall’Avvocato ANGELA BRUNO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA del 17/1/2014,

depositato l’11/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Presidente Relatore Dott. Relatore FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 9.3.2012 P.A. e G. e A.M., queste ultime due quali eredi di A.R., adivano la Corte d’appello di Messina per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 in relazione alla durata irragionevole di un processo di esecuzione forzata immobiliare promosso dal loro dante causa innanzi al Tribunale di Catania nel maggio del 2002 ed ancora in corso.

Resistendo il Ministero, la Corte d’appello adita con decreto dell’11.4.2014 accoglieva parzialmente la domanda. Escluso il diritto di G. e A.M. ad ottenere l’indennizzo, in quanto queste ultime avevano agito unicamente nella qualità di eredi di A.R., la Corte territoriale riteneva parzialmente fondata la sola domanda di P.A., che nella procedura esecutiva presupposta aveva agito in proprio. Quindi, ritenuta ragionevole una durata di sei anni, ed eccedente la durata ulteriore di altri sei anni, liquidava l’equo indennizzo in Euro 2.900,00 in ragione di un moltiplicatore annuo di Euro 500,00, senza interessi perchè non richiesti.

Per la cassazione di tale decreto P.A. e G. e A.M. propongono ricorso, sulla base di tre motivi illustrati da memoria nell’imminenza dell’udienza di discussione.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 per non aver la Corte territoriale riconosciuto alcun indennizzo a G. e A.M., che in quanto eredi di A.R. avevano diritto iure hereditario all’equa riparazione.

1.1. – La doglianza è priva di fondamento.

Affermando che le odierne ricorrenti avevano agito “solo” nella qualità di eredi di A.R., la Corte d’appello di Messina ha respinto la domanda perchè il de cuius, essendo deceduto il 20.6.2008, non aveva subito alcun danno da irragionevole durata del processo esecutivo, posto che la medesima Corte territoriale ha ritenuto congrua per tale procedura la durata di sei anni, e che in tale sua parte il decreto non è stato impugnato.

Del tutto fuori contesto, quindi, è il richiamo operato nella memoria ex art. 378 c.p.c. a Cass. S.U. n. 585/14, che si riferisce al ben diverso caso dell’indennizzo chiesto iure proprio dalla parte rimasta contumace nel processo presupposto.

2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione, ancora, della L. n. 89 del 2001, art. 2 perchè la somma annua liquidata (Euro 500,00) non rispetterebbe i parametri di liquidazione della Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la cui giurisprudenza si attesta sul riconoscimento di 1.000,00 – 1.500,00 Euro per ogni anno di ritardo.

2.1. – Anche tale motivo è infondato.

Ed infatti, “sulla base dei criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (decisioni Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia, del 6 aprile 2010), questa Corte (Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914), relativamente a giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, è solita liquidare un indennizzo che, rapportato su base annua, corrisponde a circa 500,00 Euro per la durata del giudizio. Tale approdo consente di escludere che un indennizzo di 500,00 Euro per ciascun anno di ritardo, possa essere di per sè considerato irragionevole e quindi lesivo dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte europea intende assicurare in relazione alla violazione del termine di durata ragionevole del processo” (così Cass. n. 20864/14, pronunciata in un’analoga fattispecie di processo esecutivo presupposto).

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte di merito avrebbe errato nel negare il riconoscimento degli interessi legali perchè, a suo dire, non richiesti. Tali interessi, sostiene parte ricorrente, hanno natura corrispettiva, si producono di pieno diritto “ai sensi dell’art. 1224 c.c.” per i crediti liquidi ed esigibili e decorrono, pertanto, “a prescindere dalla richiesta” (così, a pag. 9 del ricorso).

3.1. – Il motivo non ha pregio.

In disparte che l’art. 1224 c.c. disciplina gli interessi moratori e non già quelli corrispettivi (previsti dall’art. 1282 c.c.), va osservato che dal carattere indennitario dell’obbligazione ex lege n. 89 del 2001 discende che gli interessi legali decorrono dalla data della domanda di equa riparazione, semprechè, tuttavia, essi siano stati richiesti (Cass. nn. 24962/11, 18150/11 e 8712/06). Il che non è avvenuto nella specie (come del resto lascia intendere la stessa parte ricorrente, nel sostenere che detti interessi sarebbero dovuti “a prescindere” dalla domanda).

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza delle ricorrenti, in solido tra loro.

6. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese, che liquida in Euro 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2016

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