Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15858 del 29/07/2016


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Cassazione civile sez. trib., 29/07/2016, (ud. 20/06/2016, dep. 29/07/2016), n.15858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16227-2010 proposto da:

INFORMATICA 2000 SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI VILLA SEVERINI 54, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 44/2009 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 22/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE LORENZI con incarico verbale in

sostituzione dell’Avvocato TINELLI che ha chiesto l’accoglimento e

deposita copia Sent. del Tribunale di BARI Sez. Lavoro n. 1858/12;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La società Informatica 2000 S.r.l. impugnava – con distinti ricorsi, riuniti dinanzi alla CTP – due avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari 2, per l’anno d’imposta 2000, con i quali era stato rideterminato il maggior reddito d’impresa ed erano state contestate violazioni a fini IVA (avviso di accertamento n. (OMISSIS)) e, sulla base degli stessi presupposti, era stato accertato il maggior reddito d’impresa a fini IRPEG rispetto al dichiarato e maggior imponibile a fini IRAP (avviso di accertamento n. (OMISSIS)).

La ricorrente lamentava che sia la Guardia di Finanza che l’Ufficio non avevano correttamente considerato i rilievi degli ispettori dell’INPS, rispetto ai quali non avevano fornito alcun riscontro.

L’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Bari (OMISSIS) controdeduceva che dal processo verbale della Guardia di Finanza risultava che soggetti che apparivano legati alla società da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in effetti erano lavoratori dipendenti e che, sulla scorta di tali maggiori costi per lavoro dipendente, andava determinato un maggior volume d’affari.

La Commissione Tributaria Provinciale di Bari, con sentenza del 25 giugno 2007, accoglieva il ricorso, dichiarando la nullità dell’avviso di accertamento e compensando interamente tra le parti le spese del giudizio.

2.- Proposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Bari 2, nel contraddittorio con la società appellata, la Commissione Tributaria Regionale di Bari ha accolto l’appello, riformando la sentenza impugnata e compensando le spese.

3.- Avverso la sentenza di secondo grado, pubblicata il 22 aprile 2009, la società Informatica 2000 S.r.l. in liquidazione propone ricorso affidato a sette motivi.

L’intimata Agenzia delle Entrate non si difende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La Commissione Tributaria Regionale ha preso le mosse dai verbali di accertamento della Guardia di Finanza e degli ispettori dell’INPS, dando conto della sufficienza degli elementi ivi esaminati per ritenere provato che le prestazioni dei quattro lavoratori presenti presso la società (le cui dichiarazioni erano state acquisite dagli ispettori) fossero riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato. Data perciò per dimostrata “la pratica del lavoro sommerso”, la CTR ha ritenuto – richiamando il D.L. n. 12 del 2002 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2005 – che fosse onere della società datrice di lavoro dare la prova di elementi a sè favorevoli. Ha quindi escluso che questa prova fosse stata fornita, poichè la società non si sarebbe potuta avvalere, allo scopo, delle dichiarazioni rese dai propri dipendenti, in quanto non rilevanti a fini probatori ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, mentre non avrebbe fornito elementi ulteriori a proprio discapito. Ha perciò accolto i corrispondenti motivi di appello.

1.1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), poichè i giudici d’appello hanno riconosciuto che l’attività accertativa degli ispettori dell’INPS era fondata sulle dichiarazioni rese dai quattro lavoratori, ma, secondo la ricorrente, non avrebbero considerato che da queste dichiarazioni (interamente riportate nell’illustrazione del motivo) non risulta alcun elemento da cui si possa desumere che ci fossero state retribuzioni “in nero”. Pertanto, la motivazione sarebbe viziata perchè non risulta spiegato quali elementi avrebbero reso possibile ritenere che l’Amministrazione finanziaria avesse provato l’esistenza di costi del personale non dichiarati nè contabilizzati.

1.2.- Col secondo motivo si denuncia illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), poichè la CTR, pur avendo affermato che l’intero accertamento erariale si fonda sulle dichiarazioni dei quattro dipendenti ed avendo precisato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 esclude l’ammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario, ha accolto l’appello basato unicamente su dette dichiarazioni.

1.3.- Col terzo motivo si denuncia illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), poichè la CTR ha invertito l’onere della prova, ritenendo che fosse la società contribuente a dover fornire la prova a proprio favore, in applicazione del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, e della sentenza della Corte Costituzionale n. 144/2005, mentre, secondo la ricorrente, la normativa non sarebbe applicabile al caso di specie (in cui non sono in contestazione l’emersione e la regolarizzazione del “lavoro nero”, nè le sanzioni irrogate a tale fine).

1.4.- Col quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) perchè la CTR si è avvalsa di dichiarazioni di terzi, attribuendo alle stesse, secondo la ricorrente, la valenza della prova testimoniale, laddove avrebbero potuto essere utilizzate tutt’al più come meri indizi, senza che l’Ufficio avesse aggiunto ulteriori elementi probatori, anche presuntivi, a supporto dell’accertamento del maggior reddito d’impresa.

1.5.- Col quinto motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), perchè il giudice d’appello non si sarebbe pronunciato sulle eccezioni formulate dalla società appellata, in merito al fatto che la pretesa fiscale derivasse dall’applicazione nell’area tributaria di una verifica di tipo previdenziale.

1.6.- Col sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) perchè i giudici d’appello avrebbero erroneamente ritenuto che l’Agenzia delle Entrate di Bari (OMISSIS) avesse dimostrato la fondatezza dell’attività accertativa, con ciò ribaltando l’onere della prova a carico della società contribuente. Invece secondo la società, dato che dalle dichiarazioni rese dai lavoratori non risultava alcun elemento di prova di retribuzioni “in nero”, si sarebbe trattato di dichiarazioni rilevanti soltanto a fini previdenziali per un non corretto inquadramento delle posizioni lavorative; in particolare, i maggiori oneri ed imponibili previdenziali accertati dall’INPS, in quanto meramente “figurativi”, quale base imponibile astratta su cui calcolare la contribuzione previdenziale, sarebbero stati calcolati prescindendo dalla percezione o meno della maggiore retribuzione da parte dei lavoratori. Conseguentemente, sarebbe mancata la prova dell’erogazione di tali prestazioni retributive, non contabilizzate, e quindi del maggior costo sostenuto dalla società datrice di lavoro, che incombeva sull’Amministrazione finanziaria, mentre i giudici di appello avrebbero illegittimamente gravato la società contribuente dell’onere della prova del contrario.

1.7.- Col settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. b e d, (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La società ricorrente espone che, avendo accertato presunti maggiori oneri retributivi non dichiarati di Lire 11.556.000, l’Amministrazione ha ritenuto dimostrata l’inattendibilità della contabilità aziendale e ne ha tratto la conseguenza di poter procedere, ai sensi della norma indicata in rubrica, ad una ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi tanto a fini IVA che delle imposte dirette. Deduce quindi che avrebbe errato il giudice d’appello nel convalidare l’operato dell’Ufficio perchè l’accertamento a fini previdenziali non avrebbe dimostrato che, a fini fiscali, fossero stati contabilizzati costi inferiori a quelli sostenuti; pertanto, l’Ufficio non avrebbe potuto procedere ad un accertamento di tipo induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. b) e d), in mancanza della prova di violazioni formali o sostanziali nella contabilità del contribuente.

2.- Vanno esaminati in via prioritaria e congiunta i motivi sesto e settimo, poichè tra loro connessi e fondati, con assorbimento dei motivi restanti.

Per come dedotto con l’ultimo motivo, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. h e d, consente l’accertamento induttivo allorquando, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, vi siano elementi desumibili da altre verifiche (per quanto qui rileva, quelle di cui all’art. 33 cit. D.P.R.) che inducano a ritenere l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione. Il relativo onere probatorio incombe sull’Amministrazione, pur potendo essere assolto mediante la prova presuntiva (come da inciso finale della lettera d del citato art. 39).

Nel caso di specie, l’unico elemento tratto dalla verifica previdenziale consiste nell’illegittimo inquadramento dei lavoratori trovati presso la sede della società come lavoratori assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (c.d. Co.Co.Co.) piuttosto che come lavoratori subordinati. Con la conseguenza che, presunta siffatta qualificazione, ne sarebbe tutt’al più conseguita un’evasione di oneri contributivi, in quanto la base imponibile astratta su cui calcolare la retribuzione previdenziale per i lavoratori subordinati sarebbe stata diversa e maggiore (ovviamente, a prescindere dall’effettiva percezione da parte dei lavoratori della corrispondente maggiore retribuzione).

Le dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori dell’INPS, da cui la CM ha preso le mosse, non contengono alcun elemento che lasci presumere la corresponsione in loro favore di retribuzioni maggiori di quelle contabilizzate dalla società, quindi l’occultamento di parte della retribuzione che sarebbe stata versata ai quattro dipendenti. Al contrario, risulta che la Informatica 2000 S.r.l. avrebbe (illegittimamente, secondo l’accertamento previdenziale – sub iudice in altra sede) risparmiato sul costo del lavoro, stipulando contratti di collaborazione continuativa, che prevedono un minor carico previdenziale, piuttosto che contratti di lavoro subordinato, per i quali il carico sarebbe stato più elevato.

A fronte di questa situazione sarebbe stato onere dell’Amministrazione fornire elementi ulteriori da cui desumere l’effettiva (o presumibile) esistenza di maggiori costi per retribuzioni da lavoro dipendente, non contabilizzati.

Soltanto ove questi ultimi fossero stati accertati (o presumibili), l’Amministrazione sarebbe potuta accedere all’accertamento induttivo, desumendo dai (provati o presunti) maggiori costi per le retribuzioni dei lavoratori dipendenti i maggiori ricavi rilevanti a fini impositivi.

In mancanza di siffatti elementi di prova, il cui onere era a carico dell’Agenzia appellante, la CTR non avrebbe potuto accogliere l’appello.

2.1.- La CTR ha applicato la regola di inversione dell’onere della prova desumibile dal D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 144 del 14 aprile 2005, che ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui non consente al datore di lavoro la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio in una data successiva al primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata la violazione.

Si tratta di norma falsamente applicata al caso di specie, col quale non ha attinenza alcuna (come evidenziato col terzo motivo, pur erroneamente intitolato ed illustrato come vizio di motivazione, piuttosto che come violazione di legge).

Essa consente al datore di lavoro un alleggerimento della propria posizione, a fini sanzionatori, una volta che sia stato dimostrato l’impiego di lavoratori “in nero”.

Diversa la situazione accertata nei confronti della società Informatica 2000 s.r.l., per quanto detto sopra.

2.2.- All’erronea applicazione di una norma di legge non pertinente è conseguita, come rilevato col sesto motivo di ricorso, l’illegittima inversione dell’onere della prova in capo alla società contribuente affermata dal giudice di secondo grado, laddove non risultava affatto assolto, da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’onere della prova che avrebbe consentito l’accesso all’accertamento induttivo ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

I motivi sesto e settimo vanno perciò accolti e la sentenza impugnata va cassata, con assorbimento dei motivi restanti.

3.- Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto, questa Corte può decidere nel merito, riscontrando la mancanza assoluta – nelle dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori dell’INPS, addotte a sostegno dell’accertamento di cui all’atto impugnato – di qualsivoglia elemento apprezzabile, di per sè od in combinazione con altri, al fine di dimostrare maggiori costi per retribuzione da lavoro dipendente.

Il ricorso originario della società contribuente va quindi accolto e gli avvisi di accertamento impugnati vanno annullati.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del primo grado di giudizio, mentre l’Agenzia delle Entrate va condannata al pagamento delle spese del secondo grado e del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto ed il settimo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società Informatica 2000 S.r.I., in liquidazione, ed annulla l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) e l’avviso di accertamento n. (OMISSIS). Compensa le spese del primo grado di giudizio; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della società qui ricorrente, delle spese del secondo grado di giudizio, liquidate complessivamente nell’importo di Euro 4.100,00 (di cui Euro 900,00 per diritti ed Euro 3.200,00 per onorari), oltre rimborso spese generali. IVA e CPA come per legge, e delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate complessivamente nell’importo di Euro 7.968,00, di cui Euro 668,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2016

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