Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16112 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/08/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 03/08/2016), n.16112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3274-2015 proposto da:

CROCE ROSSA ITALIANA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

D.C.B., L.T., R.M., B.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 96, presso lo

studio dell’avvocato FLORA DE CARO, rappresentati e difesi

dall’avvocato LORENZO DI GAETANO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 642/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

26/06/2014, depositata il 25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio

dell’11 /05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAGETTA ANTONELLA;

udito l’Avvocato De Caro Flora difensore dei controricorrenti che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’11 maggio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.. La Corte d’appello di Milano, pronunciando sugli appelli riuniti di Croce Rossa Italiana avverso le sentenze nn. 53/2012, 55/2012, 56/2012 e 57/12 del tribunale di Busto Arsizio ha così statuito: Conferma le sentenze n. 53/12 e n. 55/12 del tribunale di Busto Arsizio; in parziale riforma delle sentenze n. 57/12 e della sentenza n. 56/12 del tribunale di Busto Arsizio, riduce rispettivamente ad Euro 37.831,25 la somma relativa alla condanna specifica; condanna l’appellante alla rifusione delle spese del grado che liquida in complessivi Euro, 5.280,00 oltre oneri di legge.

La Corte territoriale, per quel che ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che la pretesa degli originari ricorrenti, che avevano prestato la loro attività in favore dell’ente convenuto sulla base di una pluralità di contratti a termine reiterati senza soluzione di continuità, risultava fondata alla luce sia del fatto che la contrattazione collettiva aveva previsto l’applicabilità in favore del personale a termine del medesimo trattamento economico riservato ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, con alcune eccezioni, tra le quali non era contemplato il compenso incentivante, componente della retribuzione accessoria, ai sensi dell’art. 32 C.C.N.L., sia del principio di non discriminazione tra lavoratori assunti a termine e lavoratori a tempo indeterminato, sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999 e recepito nell’ordinamento interno del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, che impone di considerare irrilevante, al fine di stabilire se sussistano “ragioni obiettive” atte a giustificare un trattamento differenziato, la meta natura temporanea di un rapporto di lavoro. D’altro canto la difesa dell’Ente non aveva offerto alcuna prova circa la sussistenza di elementi precisi e concreti, tali da connotare il rapporto di lavoro degli appellati diversamente da quello dei dipendenti assunti stabilmente nella medesima qualifica, sì da legittimare la mancata erogazione del compenso in oggetto.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la Croce Rossa Italiana sulla base di un unico motivo; gli intimati hanno resistito con tempestivo controricorso.

Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, in relazione alla recepita direttiva 1999/70/CE., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, art. 32 C.C.N.L., compatto Enti pubblici non economici 1998/2001, degli artt. 1 e 25 C.C.N.L., 2002/2005, e biennio economico 2002/2003, art. 3 C.C.N.L., integrativo personale CRI 1998/2001, parte economica 2001, nonchè di ogni altra norma e principio connesso, anche in relazione L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, D.P.C.M. del 5 maggio 2005, n. 97, artt. 2 e 3, censurando la decisione impugnata sulla base delle seguenti considerazioni:

ai sensi della normativa comunitaria e del disposto D.Lgs n. 360 del 2001, art. 6, che tale direttiva aveva recepito, l’attribuzione al personale assunto a tempo determinato di una componente del trattamento retributivo previsto per i lavoratori stabilmente assunti è condizionata al previo vaglio di compatibilità con tra beneficio economico e posizione lavorativa. Nel caso di specie, la CRI aveva assunto personale a tempo determinato per svolgere prestazioni in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale; tale attività non costituisce una funzione delegata alla C.R.I. dallo stesso Servizio e, pertanto, non rientra nelle attività istituzionali dell’Ente, quali previste dallo Statuto; le prestazioni in regime di convenzione si connotano per un nesso di strumentalità indiretta, che giustifica un trattamento economico difforme;

stante la funzione cui assolve il Fondo per i trattamenti accessori (artt. 31 e 32 CCNL 1998/2001), la corresponsione di quote di tali componenti retributive è correlata al conseguimento dei migliori risultati da parte dell’Ente sul presupposto della definizione di un obiettivo e della verifica del suo raggiungimento; nel caso di contratti a tempo determinato non è neppure possibile individuare specifici obiettivi di qualità, stante la peculiarità di tale tipologia contrattuale, destinata a sopperire a carenze temporanee dell’Amministrazione; la natura transitoria ed instabile del rapporto di collaborazione a termine non consente di ipotizzare che il personale possa significativamente incidere sul livello quali-quantitativo delle prestazioni rese dall’Ente. L’efficienza dell’Amministrazione al cui raggiungimento è sottesa la funzione incentivante del compenso in esame deve necessariamente accompagnarsi a requisiti di effettività, rilevanza, concreta misurabilità del contributo apportato dal singolo dipendente e ciò è possibile sono per il personale stabilmente incardinato nell’organico dell’Ente;

atteso che, ai fini della risoluzione della “quaestio iuris” è rilevante stabilire se il genere di rapporto di lavoro sia compatibile con la definizione di finalità ed obiettivi per la cui realizzazione è erogato il compenso incentivante, incombeva sul lavoratore ricorrente allegare e dimostrare la sussistenza di circostanze atte a fondare la pretesa azionata ed in particolare di avere partecipato al piano di produzione e di risultato e di avere raggiunto i risultati che il piano poneva.

Il motivo è manifestamente infondato alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha disatteso in maniera puntuale i profili di censura avanzati dall’ente ricorrente (v. tra le altre, Cass. n. 488, n. 487, n. 359, n. 285, n. 279, n. 277, n. 197, n. 196, n. 152, a 33 del 2016, e n 26007, n. 25552 del 2015).

Nelle pronunzie richiamate è stato infatti ritenuto che il mancato riconoscimento del compenso anche ai dipendenti assunti a tempo determinato, per giunta in virtù di contratti ripetutamente prorogati, si pone in contrasto con il principio di non discriminazione, di cui alla clausola 4 punto 1 della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE alla quale ha dato attuazione nell’ordinamento interno D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6. E’ stato osservato che secondo l’interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE la suddetta direttiva, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro ad essa allegato si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico ed esigono che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di molo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1 di detto accordo quadro (Corte giust. UE 8 settembre 2011, in causa 0177/10). E la nozione di “ragioni oggettive” richiede che la disparità di trattamento sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguano il rapporto di impiego in questione, nel particolare contesto in cui si iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria (Corte giust. UE. 13 settembre 2007, in causa C307/05). Sicchè, i lavoratoti a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento contrattuale di natura retributiva meno favorevole, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovino in una situazione comparabile: non potendo il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici costituire, di per sè, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’accordo quadro, risolvendosi nella negazione, appunto discriminatoria, di una condizione di impiego (Corte giust. UE 22 dicembre 2010, in cause C-444/09 e C- 456/09, con specifico riferimento a un’indennità di servizio per anzianità).

Con specifico riferimento al compenso incentivante è stato rilevato che esso è previsto quale elemento della struttura della retribuzione (art. 28 CCNL, comma 1, lett. e, del personale degli enti pubblici non economici 1998/2001 del 16 febbraio 1999) ed è alimentato dal Fondo appunto costituto per i trattamenti accessori del personale (art. 31 CCNL, comma 1, cit.), “prioritariamente finalizzato a promuovere reali e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza/efficacia dell’amministrazione e di qualità dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione, attraverso la contrattazione integrativa, di piani produttivi annuali e pluriennali e di progetti strumentali e di risultato, basati su sistemi di programmazione e di controllo quali-quantitativo dei risultati per il personale ricompreso nelle Aree A, B e C (art. 32, comma 1, C.C.N.L. cit.), con erogazione degli contrattazione integrativa per la realizzazione degli obiettivi e programmi di incremento della produttività dopo la necessaria verifica del raggiungimento dei risultati secondo le vigenti disposizioni (art. 31, comma 2, CCNL cit.). Se l’ambito di applicazione del suddetto contratto collettivo riguarda(va) tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, esclusi i dirigenti, dipendente dagli enti del comparto di cui all’art. 4 del Contratto collettivo quadro relativo alla definizione dei compatti di contrattazione sottoscritto il 2 giugno 1998, ivi compreso il personale della Croce Rossa Italiana di cui alla L. n. 730 del 1986, (art. 1 C.C.N.L. cit), già il successivo C.C.N.L. del personale non dirigente degli enti pubblici non economici 2002/2003 del 9 ottobre 2003, applicabile al rapporto in esame, disciplina tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato (art. 1, comma 1). Il CCNL del personale non dirigente degli enti pubblici non economici 2006/2009 del 10 ottobre 2007 ribadisce l’applicazione a tutto il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato (art. 1, comma 1), pure prevedendo politiche di incentivazione della produttività, con progetti-obiettivo, piani di lavoro e altre iniziative, anche pluriennali, in funzione del miglioramento organizzativo e gestionale (art. 25, comma 1), prioritariamente orientati al conseguimento dei risultati specificamente indicati (art. 25, comma 2, lett. a, e, con adibizione da parte del dirigente dei “dipendenti” in relazione alla loro collocazione organizzativa e professionale e alla funzionalità della loro partecipazione ai singoli progetti e obiettivi, con attribuzione di obiettivi individuali e collettivi (art. 25, comma 3) e graduazione dei compensi incentivanti, in relazione alla percentuale di raggiungimento degli obiettivi assegnati e definizione dei criteri di erogazione dalla contrattazione integrativa (art. 25, commi 4 e 5), nonchè corresponsione di tali compensi ai “lavoratori” in unica soluzione a seguito di verifica dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti (art. 25, comma 6).

Si è quindi ritenuto che “dalla richiamata normativa contrattuale del settore, applicabile come detto anche ai dipendenti della Croce Rossa a tempo determinato, non emerga alcuna distinzione tra questi e i dipendenti a tempo indeterminato, in merito al compenso incentivante in questione: ricorrendo, in riferimento a tale istituto retributivo accessorio, le locuzioni normative dipendenti e lavoratori, comprensive di prestazione di attività lavorative tanto a tempo indeterminato, quanto a tempo determinato. Può, inoltre, escludersi che la sola teorica previsione di programmi ed obiettivi, in assenza di specifiche ed esplicitate ragioni, costituisca elemento idoneo a far ritenere l’inapplicabilità del compenso anche ai lavoratori con rapporto a termine e che dunque sia configurabile un’incompatibilità “ex se”, come sostenuto dalla Croce Rossa. L’obiettivo,infatti, di migliorare la qualità del servizio mediante erogazioni correlate alla produttività collettiva ed individuale può valere anche nel caso di contratto a termine salvo che in concreto il programma o l’obiettivo fissato dall’ente presuppongano in relazione al loro contenuto un rapporto di lavoro di durata ultrannuale oppure essere indirizzato in modo specifico a lavori che esulano da quelli generalmente riservati a lavoratori a tempo determinato i quali svolgono mansioni inerenti le convenzioni esistenti tra la CRI ed altri enti. Deve, pertanto, essere esclusa in radice un’incompatibilità, per così dire, ontologica tra compenso incentivante, legato al raggiungimento di determinati e specifici obiettivi debitamente programmati in dipendenza del rapporto di lavoro pur se a tempo determinato (tra l’altro nel caso di specie protratto per anni, per la reiterazione dei contratti a termine senza soluzione di continuità) ed avente ad oggetto compiti di istituto (e pertanto di natura nè straordinaria nè eccezionale) in regime convenzionato con altri enti, secondo la previsione (artt. 2 e 3 del suo Statuto) dei fini istituzionali della Croce Rossa. (così, tra le altre, Cass. n.26007 del 2015).

In merito poi alla corretta ripartizione dell’onere probatorio è stato affermato che sull’ente datore ricade l’onere di allegazione e prova della sussistenza di elementi precisi e concreti tali da giustificare la disparità di trattamento tra lavoratori con rapporto a termine e quelli assunti a tempo indeterminato; il lavoratore è, invece, tenuto a provare quale fonte negoziale integrante fatto costitutivo del proprio diritto, la prestazione lavorativa a tempo determinato, l’inquadramento ricevuto e l’inadempimento all’obbligo di corresponsione del trattamento retributivo.

In applicazione di tali condivisibili principi, rilevato che nel caso in esame non sono in contestazione le circostanze di fatto ora richiamate, mentre la Croce Rossa non ha assolto alla prova, a suo carico, del fatto impeditivi) della pretesa ex adverso azionata (Cass. n. 6205 del 2010, n. 15677 del 2009, s.u. n. 13533 del 2001), dimostrando l’obiettiva incompatibilità (anzi smentita per le superiori argomentazioni) del compenso incentivante rivendicato dai lavoratori con i compiti ad essi assegnati e, prima ancora, della corresponsione dell’emolumento accessorio nell’effettiva ricorrenza dei requisiti contrattuali prescritti, in continuità con la richiamata giurisprudenza, il ricorso deve essere respinto.

Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’adunanza camerale.

Parte controricorrente ha depositato memoria.

Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia. Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, per la definizione camerale.

A tanto consegue il rigetto del ricorso. Le spese di lite sono regolate, secondo soccombenza.

E’ escluso il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da parte della ricorrente, in quanto parte istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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