Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16632 del 08/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 08/08/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 08/08/2016), n.16632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30093-2010 proposto da:

U.O., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

TEMPIO, 1/A, presso lo studio dell’avvocato MALEDDU ANGELO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO PILLONI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E DELLE FINANZE, C.F. (OMISSIS);

– intimato –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA POLLI, ANTONELLA PATTERI, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 67/2010 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 01/03/2010 r.g.n. 64/2029;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/00/2916 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto in subordine

accoglimento con rinvio.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 67/2010 depositata l’1.3.2010 la Corte d’Appello di Cagliari ha accolto il gravame proposto dall’INPS nei confronti di U.O. avverso la pronuncia di prime cure che aveva accolto la sua domanda di pensione di inabilità civile. A sostegno del decisum la Corte territoriale ha ritenuto che, ai fini del riconoscimento del requisito reddituale richiesto per la concessione del beneficio, non operasse l’esclusione, dettata invece per l’assegno mensile di invalidità, del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare dell’invalido e che nel caso di specie dovesse tenersi conto anche dei redditi degli altri componenti del nucleo familiare; talchè la domanda andasse rigettata. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, U.O. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo. L’intimato Inps ha depositato delega in calce al ricorso notificato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14 convertito nella L. 29 febbraio 1980, n. 33 sostenendo che la tesi della Corte territoriale contrasti con gli artt. 3 e 38 Cost. essendo irrazionale e discriminatorio che l’invalido totale soggiaccia ad un regime del requisito reddituale differente rispetto all’invalido parziale, posto che per quest’ultimo il D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies prevede espressamente il conteggio del solo reddito personale; mentre nulla dice relativamente al calcolo del requisito economico utile al percezione della pensione di inabilità; talchè esso deve essere interpretato alla luce dell’intero impianto normativo disciplinante la materia assistenziale.

2.- Ritiene il collegio che vada confermato l’orientamento motivatamente espresso da questa Corte con la sentenza n. 697/2014, talchè il ricorso deve essere accolto nei limiti di seguito precisati.

Questa Corte, con alcune pronunce (cfr. ex plurimis, Cass., nn. 4677/2011; 5003/2011; 10658/2012), rese con riferimento alla disciplina anteriore alla novella di cui al D.L. n. 76 del 2013, art. 10, commi 5 e 6, convertito in L. n. 99 del 2013, ha enunciato il principio secondo cui, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito reddituale per l’assegnazione della pensione di inabilità agli invalidi civili assoluti, di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12, assume rilievo non solamente il reddito personale dell’invalido, ma anche quello (eventuale) del coniuge del medesimo, onde il beneficio va negato quando l’importo di tali redditi, complessivamente considerati, superi il limite determinato con i criteri indicati dalla norma suindicata. A tale conclusione, innovativa rispetto ad altri precedenti arresti di legittimità (ma sostanzialmente conforme ad ancora più risalenti orientamenti ermeneutici), questa Corte è pervenuta sulla base delle seguenti considerazioni:

nel dettare una nuova disciplina delle provvidenze a favore dei mutilati e invalidi civili, la L. 30 marzo 1971, n. 118, aveva previsto la concessione di una pensione di inabilità per i soggetti maggiori di 18 anni nei cui confronti fosse stata accertata una totale inabilità lavorativa (art. 12) e la corresponsione, per i periodi di incollocamento al lavoro, di un assegno mensile ai soggetti di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno, con capacità lavorativa ridotta in misura superiore a due terzi (art. 13);

– le condizioni economiche richieste dalla legge per l’assegnazione di entrambe le descritte prestazioni erano le medesime: l’art. 12, comma 2, facendo riferimento a quelle stabilite dalla L. n. 153 del 1969, art. 26 e, a sua volta, l’art. 13, comma 1, prevedendo la concessione dell’assegno mensile “con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo precedente”; – in base al richiamato L. n. 153 del 1969, art. 26 (norma, quest’ultima, che stabiliva le condizioni economiche richieste per la pensione sociale), l’invalido, per aver diritto alla pensione di inabilità, come pure all’assegno mensile, non doveva essere “titolare di redditi, a qualsiasi titolo, di importo pari o superiore a Lire 156.000 annue” (così il testo originario dell’art. 26 della legge citata);

– successivamente il D.L. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito nella L. 16 aprile 1974, n. 114) intervenne per elevare l’importo annuo della pensione di inabilità e quello mensile dell’assegno (art. 7), ribadendo (art. 8) che le condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili – e, quindi, tanto per la pensione di inabilità che per l’assegno mensile – “sono quelle previste nel precedente art. 3 per la concessione della pensione sociale” e, nel contempo, stabilendo (appunto nell’art. 3, dettato in parziale sostituzione della cit. L. n. 153 del 1969, art. 26) che le condizioni economiche necessarie per la concessione della pensione sociale consistevano nel possesso di redditi propri per un ammontare non superiore a Lire 336.050 annue, ovvero, in caso di soggetto coniugato, di un reddito, cumulato con quello del coniuge, non superiore a Lire 1.320.000 annue;

– con il successivo intervento di cui alla L. 21 febbraio 1977, n. 29, art. unico (di conversione, con modificazioni, del D.L. 23 dicembre 1976, n. 850) i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (che, come già detto, richiamava quelli previsti dall’art. 3 dello stesso decreto legge per la concessione della pensione sociale, a loro volta aumentati, per effetto della L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 3 a Lire 1.560.000 per il reddito cumulato e a Lire 505.050 per il reddito personale) furono elevati a Lire 3.120.000 annui, ma esclusivamente (per quanto qui interessa) per la pensione di inabilità: testuale era, invero, il riferimento fatto dal legislatore “agli invalidi civili assoluti di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12”, mentre nessuna menzione era contenuta nella norma per gli invalidi parziali di cui al successivo art. 13;

– per questi ultimi dovevano quindi, per il momento, ritenersi ancora vigenti i limiti reddituali previsti dal ripetuto D.L. n. 30 del 1974, art. 3, come modificati dalla L. n. 160 del 1975, art. 3; e, nel contempo, in difetto di una qualsiasi esplicita previsione in tal senso, o, quantomeno, di un sia pure implicito riferimento al D.L. n. 30 del 1974, art. 3, non vi era neppure spazio per una interpretazione del testo normativo che portasse ad argomentarne l’intento del legislatore di modificare, per la pensione di inabilità, la disciplina previgente, adottando come parametro di verifica del superamento del limite reddituale il (solo) reddito personale dell’invalido assoluto, ancorchè coniugato; in definitiva, anche tale intervento legislativo non incideva sul principio di sistema, per cui il limite reddituale andava determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi sia per la pensione che per l’assegno, mutando soltanto – ed esclusivamente per la pensione di inabilità – l’importo massimo da considerare ai fini della verifica del superamento (o meno) del suddetto limite;

– nel convertire il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, con la L. 29 febbraio 1980, n. 33, venne aggiunta la disposizione dell’art. 14 septies, con la quale, nel mentre vennero ancor più elevati i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art. 8, portati a Lire 5.200.000 annui rivalutabili annualmente (comma 4), contestualmente (comma 5) venne stabilito che, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 17 (l’art. 17, poi abrogato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 6, disciplinava l’assegno di accompagnamento per gli invalidi minori di 18 anni), il limite di reddito da considerare era fissato nell’importo di L. 2.500.000 annue, anch’esso rivalutabile annualmente e “da calcolare con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”;

– non poteva condividersi l’orientamento di alcune pronunce di questa Corte (cfr., Cass., nn. 18825/2008, 7259/2009 e 20426/2010), secondo cui, dopo la introduzione dell’art. 14 septies citato, anche per la pensione di inabilità avrebbe dovuto farsi esclusivo riferimento al reddito personale dell’assistito, in quanto: a) l’intervento attuato dal legislatore con l’art. 14 septies, comma 5, era chiaramente inteso a riequilibrare le posizioni dei mutilati e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale previsto – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla L. n. 29 del 1977; significativo di tale intento era che per l’attribuzione dell’assegno veniva si preso a riferimento il solo reddito individuale dell’assistito, ma che l’importo da non superare per la pensione di inabilità (comma 4) corrispondeva a più del doppio di quello stabilito per l’assegno, ossia Lire 5.200.000 annue a fronte di Lire 2.500.000 annue;

b) la norma rappresentava una deroga all’orientamento generale della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione sociale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi (cfr. Corte Cost., sent. nn. 769/1988 e 75/1991; cfr, altresì, Corte Cost., n. 454/1992, in tema di insorgenza dello stato di invalidità dopo il compimento del 65^ anno) e, di conseguenza, non esprimeva un principio generale con il quale dovrebbero essere coerenti le disposizioni particolari;

c) la stessa formulazione letterale, che faceva menzione del solo assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniuge – non poteva che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti era rimasta assoggettata alla ridetta regola del cumulo; – anche successivamente, nella L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 12 (dal titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati civili”) la distinzione tra le due prestazioni aveva continuato ad essere mantenuta, disponendo la norma che, con effetto dal 1 gennaio 1992, ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero dell’Interno, della condizione reddituale per la concessione delle pensioni assistenziali agli invalidi civili, si applicava il limite di reddito individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia, degli invalidi totali;

– non poteva ritenersi che l’abrogazione delle disposizioni legislative incompatibili, stabilita dalla L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 7, avrebbe impedito la sopravvivenza, per la sola pensione, della disposizione concernente il cumulo disposta dalla L. n. 153 del 1969, art. 26; infatti l’abrogazione non riguardava direttamente quest’ultima norma, bensì le disposizioni legislative che vi avevano fatto richiamo ai fini dell’assegno mensile e che, come tali, risultavano in contrasto con l’espressa esclusione di tale cumulo;

– sostanzialmente irrilevante risultava poi il richiamo ai lavori preparatori della L. n. 33 del 1980, atteso che gli ordini del giorno accettati “come raccomandazione” dal Governo non si erano poi tradotti in provvedimenti legislativi di contenuto contrario a quello esplicitato dalla normativa di riferimento (ed anzi, come detto, il successivo intervento di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 412, ricordato art. 12, si poneva nel senso di quest’ultima); ed a fortiori privi di decisività risultavano i richiami alle dedotte difformi prassi applicative adottate in sede amministrativa;

– andava altresì rilevato che la L. n. 118 del 1971, art. 13, era stato sostituito ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, il quale, testualmente, aveva stabilito che “agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di Euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’art. 12”; si trattava, all’evidenza, di un intervento con il quale veniva ripristinato il collegamento tra le due prestazioni assistenziali quanto alle “condizioni” (comprese, quindi, quelle economiche) richieste per la loro assegnazione; ma il prendere a riferimento, a tal fine, le “condizioni stabilite per l’assegnazione della “pensione di cui all’art. 12”, determinare cioè una equiparazione che si voleva modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti, era, di per sè, indicativo del fatto che tale disciplina, anche per quanto riguarda le condizioni reddituali rilevanti, era diversa da quella nel frattempo dettata (si ripete, con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5) per l’assegno mensile, non avendo altrimenti senso, invero, una simile formulazione normativa qualora le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità fossero state le stesse previste per l’assegno e, dunque, si dovesse dar rilievo al solo reddito personale dell’invalido, ancorchè coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi i coniugi.

3. Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento ermeneutico testè ricordato.

Non di meno, proprio sulla base di tale orientamento, non può ritenersi che, ai fini del superamento dei limiti reddituali previsti per la concessione della pensione di inabilità civile a favore degli invalidi totali, debba farsi riferimento al complesso dei redditi percepiti da tutti i componenti del nucleo familiare dell’invalido, poichè, come si è visto, il cumulo è stato contemplato dalla normativa di riferimento soltanto in relazione al reddito (eventuale) del coniuge del soggetto assistito. Ed invero il riconoscimento, nel vigente sistema di sicurezza sociale, di meccanismi di solidarietà particolari, concorrenti con quello pubblico, quale quello proprio del nucleo familiare, se da un lato giustifica la previsione del cumulo tra i redditi dell’invalido e quelli del suo coniuge, dall’altro non può condurre di per sè all’introduzione, in via interpretativa, di un allargamento della platea dei soggetti il cui reddito andrebbe tenuto presente ai fini del superamento del requisito reddituale, posto che in tale modo si concretizzerebbe una non consentita modificazione del quadro legislativo.

Parimenti deve considerarsi che, in difetto di una diversa esplicita statuizione normativa, alla previsione di cui alla L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5, che, come detto, contempla, ai fini della concessione dell’assegno di invalidità civile, l’esclusione “del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”, non può essere attribuita, in relazione alla pensione di inabilità, una valenza estensiva della platea dei soggetti i cui redditi debbano essere coacervati ai fini de quibus, nel senso, cioè, di ricomprendere i redditi di tutti i componenti il nucleo familiare dell’invalido e non soltanto quello del suo coniuge.

La questione all’esame deve pertanto essere decisa sulla base del seguente principio di diritto: “Ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito reddituale previsto per la concessione della pensione di inabilità civile ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 12, secondo la disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 76 del 2013, art. 10, commi 5 e 6, convertito in L. n. 99 del 2013, non assume rilievo il reddito percepito dai familiari dell’invalido diversi dal suo coniuge”.

4. Essendosi la Corte territoriale discostata da tale principio, il ricorso, nei limiti testè indicati, merita accoglimento. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che deciderà conformandosi al suddetto principio di diritto; il Giudice del rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2016

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