Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16842 del 09/08/2016

Cassazione civile sez. lav., 09/08/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 09/08/2016), n.16842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25071-2011 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE C.E. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.S. C.F. (OMISSIS), in proprio, unitamente ai genitori

P.P. C.F. (OMISSIS), F.F. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI, 35/B, presso lo

studio dell’avvocato) ANDREA BANDINI, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARCELLO STANCA, giusta delega in atti;

– REGIONE TOSCANA C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CECCHETTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO BALDI, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1251/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/10/2010, R.G. N. 753/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato MARCELLO STANCA;

udito l’Avvocato MARCELLO CECCHETTI per delega ENRICO BALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Firenze, respingendo l’appello proposto dal Ministero della Salute, ha confermato la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Arezzo aveva riconosciuto il diritto di P.S. all’indennizzo ex L. n. 210 del 92 per le patologie contratte a seguito delle vaccinazioni antipolio Sabin cui era stata sottoposta negli anni 1977/78.

La Corte di appello ha osservato:

– quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sollevata dall’Amministrazione appellante, che il trasferimento alle Regioni dei soli oneri economici faceva permanere in capo al Ministero la competenza al riconoscimento del beneficio;

– quanto all’eccezione di decadenza ex L. n. 210 del 1992, art. 3, sollevata dal Ministero sull’assunto che la domanda amministrativa sarebbe stata presentata oltre il triennio dal 3.7.78 (epoca della diagnosi della sindrome di West), che la piena consapevolezza del nesso causale tra la malattia e la vaccinazione fu acquisita dai genitori della P. nel 2007, in epoca addirittura successiva alla domanda amministrativa del dicembre 2001, presentata a seguito del verbale della Commissione per gli invalidi civili del 5.10.2000, che riconobbe l’indennità di accompagnamento;

– quanto al nesso causale tra vaccinazione antipolio e patologie insorte, che dovevano essere condivise le conclusioni espresse dal C.t.u. di primo grado.

Ha dunque riconosciuto a P.S.: l’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992 e quello aggiuntivo per il caso di pluralità di patologie; l’assegno una tantum, riferito al periodo compreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo medesimo; l’ulteriore indennizzo ex L. n. 229 del 2005, in comune con i genitori che le prestarono assistenza.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Ministero con sette motivi. Resiste la Regione Toscana con controricorso.

P.S., P.P. e F.F. resistono con controricorso, seguito da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Ministero ricorrente ripropone l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, assumendo che la competenza ad erogare il beneficio è stata trasferita alle Regioni, a seguito del D.P.C.M. del 26 maggio 2000. Questo annoverava tra le funzioni conferite proprio quelle “in materia di indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 201 e succ. mod. e integr. nonchè di vaccinazione antipoliomelitica non obbligatoria di cui alla L. 14 ottobre 1999, n. 362, art. 3 (lett. a della tabella A), fissando come termine per il trasferimento delle risorse il 1 gennaio 2001 e lasciando “a carico dello Stato gli eventuali oneri derivanti dai contenziosi riferiti a fatti precedenti il trasferimento”. La sentenza delle S.U. n. 12538 del 2011 aveva affermato la legittimazione passiva del Ministero della Salute, ma da un’attenta lettura della sentenza tale affermazione era da ritenere circoscritta al solo profilo relativo all’accertamento del diritto e non anche al profilo inerente la condanna al pagamento dell’indennizzo.

2. Il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata è conforme all’insegnamento di questa Corte che ha affermato, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12538 del 09/06/2011 che, in tema di controversie relative all’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210 in favore di soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio, sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute, in quanto soggetto pubblico che decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale (così anche Cass. n. 4591 e 27276 del 2014, n. 29311 del 2011; v. da ultimo, Cass. n. 3725/2016).

2.1. La legittimazione della Regione sussiste nell’ipotesi di ritardato pagamento del beneficio. Questa Corte ha difatti affermato, con la sentenza n. 6336 del 2014, che, ferma la legittimazione passiva del Ministero della salute in tema di controversie relative all’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, in favore di soggetti che abbiano riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio, sussiste tuttavia la legittimazione della Regione, che abbia provveduto al pagamento dell’indennizzo in linea capitale, nella causa promossa dal danneggiato per il pagamento degli interessi maturati per la sua tardiva corresponsione, secondo gli ordinari principi in materia di inadempimento delle obbligazioni civili.

2.2. In tale occasione questa Corte ha ribadito che la L. n. 210 del 1992, art. 3 riserva al ministro della salute la competenza a decidere il ricorso amministrativo avverso la valutazione della commissione medico – ospedaliera, conservata dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvissuta anche nel mutato contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di indennizzo (per effetto dei D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e D.P.C.M. 24 luglio 2003) e di attribuzione alle regioni della competenza legislativa residuale in materia di assistenza pubblica, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 4 novellato (Cass. s.u. 9 giugno 2011, n. 12538; Cass. 28 dicembre 2011, n. 29311).

3. Con il secondo e il terzo motivo il Ministero denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, artt. 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Premesso che la domanda di indennizzo deve essere presentata entro tre anni dal momento in cui l’avente diritto risulti avere avuto conoscenza del danno, il Ministero deduce che nel caso di specie la sentenza aveva contraddittoriamente affermato che tale consapevolezza era stata acquisita dai genitori di P.S. soltanto nel 2007, in epoca addirittura successiva alla proposizione della domanda amministrativa di indennizzo.

4. Entrambi motivi sono infondati. La L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, nello stabilire, in relazione alla domanda per ottenere uno degli indennizzi previsti dalla legge stessa, il termine di decadenza triennale nel caso di danno da vaccinazione e da epatiti post-trasfusionali e di dieci anni nei casi di infermità da HIV, specifica con apposita disposizione che “i termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti avere avuto conoscenza del danno.”

Il comma 7 contiene la disposizione transitoria secondo cui “per coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno già subito la menomazione prevista dall’art. 1, il termine di cui al comma 1 del presente articolo decorre dalla di entrata in vigore della legge stessa”. Dunque, i termini per la presentazione dell’istanza in sede amministrativa non possono decorrere prima che l’avente diritto abbia avuto conoscenza del danno e della sua eziologia. L’applicazione di detto principio, che in relazione alla sua ratio deve ritenersi poter operare anche con riferimento ad eventi dannosi verificatisi prima dell’entrata in vigore della legge, in concorso con la disposizione transitoria di cui al comma 7, comporta la soluzione interpretativa secondo cui in tali casi il termine decorre dall’entrata in vigore della legge solo se alla medesima data il soggetto abbia già avuto conoscenza del danno (con riferimento anche alla sua eziologia), mentre in caso contrario si applica la regola della decorrenza del termine dalla momento in cui il soggetto risulti avere avuto conoscenza del danno (Cass. n. 7304/2011, pure Cass. n. 7240/2014).

4.1. Nel caso di specie, nessun vizio logico ricorre nell’affermazione della Corte di appello secondo cui “i genitori della P. acquisirono una documentata consapevolezza del probabile nesso causale tra le gravissime menomazioni della figlia e la vaccinazione degli anni 1977/778 solo allorchè il medico cui si erano rivolti, in data 24.9.2007, in tal senso si espresse nella relazione in atti”. Tale argomento non è in contraddizione con il fatto che la presentazione della domanda fosse avvenuta nel 2001, ma sta a indicare che neppure all’epoca del verbale della Commissione per gli invalidi civili del 5.10.2000 vi erano ancora elementi documentali certi, ma solo elementi di verosimiglianza circa il nesso causale tra vaccinazione e malattia, idonei comunque a giustificare la presentazione della domanda amministrativa, come in effetti avvenuto.

5. Con il quarto motivo il Ministero censura la sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui aveva recepito per relationem elementi (accertamenti medico-legali) relativi ad altra causa, che non potevano essere trasferiti nel presente giudizio. Precisamente la sentenza aveva riferito che non vi erano validi motivi per discostarsi “dalle valutazioni positive espresse dal C.t.u. nel primo grado, il quale “proprio in relazione ad una fattispecie del tutto analoga alla presente (sindrome di West ed altre patologie neurologiche; vaccinazione del 1977/78)… ebbe a disporre una approfondita indagine epidemiologica sui casi di sindrome di West, ottenendone un giudizio di elevata probabilità (cfr. anche sent. 612/2010prodotta dalla difesa degli appellanti)”. Nel motivo ci si duole, inoltre, che la Corte di appello non abbia esaminato le censure dell’atto di gravame mosse dal Ministero appellante alla c.t.u. di primo grado, nè abbia esaminato la documentazione fornita a supporto dello stesso.

6. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e di allegazione (art. 366 c.p.c.).

In via generale, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che non è carente di motivazione la sentenza che recepisce per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito (tra le altre, Cass. n. 7364 del 2012). Parte ricorrente assume che il C.t.u. di primo grado si sarebbe limitato a recepire i risultati di indagini compiute in un altro giudizio e che quindi sarebbe viziata la sentenza che si era limitata a recepire tali conclusioni peritali. Tuttavia, l’esame di tale motivo presuppone che questa Corte sia posta in grado di valutare i contenuti della c.t.u. espletata in primo grado, mentre nel caso in esame la relazione non è riportata nel ricorso, che trascrive uno scarno frammento, ritenuto saliente dalla stessa Amministrazione ricorrente, ma che non consente di comprendere i termini dell’indagine e della valutazione medico-legale compiuta dal C.t.u., recepita per relationem dalla Corte territoriale.

6.1. In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d’ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso (Cass. n. 13845 del 2007, v. pure Cass. n. 3224 e 16368 del 2014), dovendosi escludere che la precisazione possa viceversa consistere in generici riferimenti ad alcuni elementi di giudizio, meri commenti, deduzioni o interpretazioni, traducentisi in una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 17369 del 2004, conf. Cass. n. 21090 del 2004, n. 79 del 2006, n. 9254 del 2007; v. Cass. n. 13845 del 2007).

6.2. Analoghe considerazioni attengono al dedotto mancato esame delle censure che si assumo essere state svolte nel ricorso in appello, ma delle quali non è riportato il contenuto. La parte che, con il ricorso per cassazione, deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere essa deciso la causa sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio, ignorando la critica sollevata contro l’operato del consulente, ha l’onere di precisare nel ricorso il contenuto specifico di dette critiche, non essendone possibile l’esposizione per relationem, attraverso il riferimento agli atti del pregresso giudizio di merito (Cass. n. 7716 del 2000).

7. Il quinto motivo verte sul riconoscimento dell’indennizzo per pluralità di menomazioni. L’Amministrazione ricorrente si duole che la Corte di merito abbia riconosciuto in favore di P.S. il beneficio di cui alla L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 7, sebbene la c.d. Sindrome di West sia da considerare, secondo la letteratura scientifica, un’unica patologia, caratterizzata dalla presenza di un quadro nosografico chiaramente unitario, caratterizzato da decadimento psico-motorio complessivo del soggetto, con la conseguenza che il deficit motorio non può essere considerato come un “esito invalidante distinto” rispetto al deficit psichico. Per integrare una pluralità di malattie non è sufficiente una pluralità di menomazioni, in quanto questa può essere risultato di un’unica attività lesiva posta in atto da un singolo agente patogeno.

8. Anche tale censura è infondata. L’indennizzo aggiuntivo di cui alla L. 25 luglio 1997, n. 238, art. 1, comma 7, spetta “Ai soggetti danneggiati che contraggono più di una malattia ad ognuna delle quali sia conseguito un esito invalidante distinto, è riconosciuto in aggiunta ai benefici previsti dal presente articolo, un indennizzo aggiuntivo, stabilito dal Ministro della Sanità con proprio decreto, in misura superiore al 50% di quello previsto ai commi 1 e 2”. Questa Corte ha ritenuto che, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, tale beneficio trova il proprio fondamento nel principio di solidarietà collettiva di cui agli artt. 2 e 38 Cost.; esso è finalizzato ad apprestare una tutela più adeguata ai soggetti maggiormente colpiti da menomazioni permanenti a causa di vaccinazioni obbligatorie o di trasfusione di emoderivati, ragguagliando il trattamento complessivo al danno derivante dalle malattie multiple, come tale maggiore rispetto a quello subito dal soggetto colpito da una singola menomazione irreversibile (Cass. n. 10876/2014). In particolare, è stato ritenuto che la pluralità di menomazioni, rendendo più penose le condizioni di vita del soggetto, ragionevolmente può giustificare un indennizzo ulteriore quale forma di adeguamento del maggior danno rispetto al soggetto colpito da una singola menomazione irreversibile, ciò in coerenza con i dettami sanciti dalla Corte Costituzionale che sul tema specifico, ha rimarcato la necessità che l’indennizzo oltre a dovere risultare equo rispetto al danno subito (cfr. C. Cost. n. 1.18/96), deve tener conto di tutte le componenti del danno stesso (vedi C. Cost. n. 307/90) (v. in tal senso, Cass. n. 10876/2014 cit.).

8.1. La Corte territoriale, sul presupposto di aver riscontrato a carico di P.S. sia un danno fisico sia un danno psichico, ha fatto corretta applicazione dell’istituto, riconoscendolo, pur a seguito di un’unica noxa patogena, a fronte di un quadro clinico patologico con interessamento di più distretti anatomo-funzionali.

9. Il sesto motivo verte sul riconoscimento assegno una tantum ex L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 2. Sostiene il Ministero della salute che il beneficio sarebbe stato riconosciuto in assenza di domanda amministrativa.

10. Il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 3. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica, come nella specie, non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

11. Con il settimo motivo si assume che sarebbe errata la decorrenza dell’indennizzo ex L. n. 229 del 2005, artt. 1 e 4, riconosciuto a P.S., in comune con i genitori, con la stessa decorrenza dell’indennizzo-base, ossia dal 2001. Assume il Ministero che esso dovrebbe decorrere dalla L. 29 ottobre 2005, n. 229 per i soggetti che – come nel caso di specie – alla data di entrata in vigore legge erano già titolari dell’indennizzo base.

12. La censura è infondata.

La L. 29 ottobre 2005, n. 229, art. 1 dispone che “ai soggetti di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1, è riconosciuto, in relazione alla categoria già loro assegnata dalla competente commissione medico-ospedaliera…. un ulteriore indennizzo. Tale ulteriore indennizzo consiste in un assegno mensile vitalizio, di importo pari a sei volte la somma percepita dal danneggiato ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 2…”. L’art. 4, a sua volta, prevede che “1. Ai soggetti di cui all’art. 1, comma 1 è ulteriormente riconosciuto il beneficio di un assegno una tantum, il cui ammontare è determinato dalla commissione di cui all’art. 2, sino alla misura massima di dieci annualità dell’indennizzo di cui al medesimo art. 1, comma 1, per il periodo compreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo medesimo. Esso è corrisposto, per la metà al soggetto danneggiato e per l’altra metà ai congiunti che prestano o abbiano prestato al danneggiato assistenza in maniera prevalente e continuativa.

Le annualità pregresse sono definite con tabelle di conversione al 50 per cento del periodo intercorrente tra la data del manifestarsi dell’evento dannoso e la data di ottenimento dell’indennizzo.

3. Gli importi, determinati ai sensi del presente articolo, sono erogati in cinque rate annuali, a decorrere dall’anno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”.

13. L’insieme delle disposizioni fa riferimento ai “soggetti danneggiati”, in favore dei quali è riconosciuto un ulteriore indennizzo ex art. 1 e l’assegno una tantum ex art. 4. La ratio dell’assegno è chiaramente retroattiva, in quanto copre il periodo tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, mentre I”ulteriore indennizzo” di cui all’art. 1 della legge va ad incrementare quello di cui il soggetto è titolare e quindi concorre con questo con la stessa decorrenza.

14. In conclusione, il ricorso va respinto e il Ministero va condannato al pagamento, in favore di P.S. e dei suoi genitori, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. Le spese sono compensate tra il Ministero e la Regione Toscana.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero della salute al pagamento della spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali ed Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, in favore di P.S., P.P. e F.F.; compensa le spese tra il Ministero della salute e la Regione Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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