Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17104 del 16/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 16/08/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 16/08/2016), n.17104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27680/2013 proposto da:

TELECOM ITALIA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA L.G. FARAVELLI

22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ENZO MORRICO,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CORSO Vittorio EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO SILVESTRI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO, usta delega in atti;

– controricorrente –

contro

CEVA LOGISTICS ITALIA S.R.L., (già T.N.T. LOGISTICS ITALIA S.P.A.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 2312/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/06/2013 r.g.n. 3051/2010;

udita la relazi one della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO;

udito L’AVVOCATO PANSARELLA MARIA CRISTINA per delega verbale

Avvocato CIRILLO ERNESTO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 15 giugno 2013, nel rigettare il gravame interposto dalla 5.p.a. TELECOM ITALIA, confermava la decisione di primo grado, che, accogliendo il ricorso proposto da D.M.M., aveva dichiarato inefficace il contratto di cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., costituito dalla struttura logistica denominata “Domestic – Wireline Logistica”, stipulato il tra Telecom Italia S.p.A. e TNT Logistics Italia S.p.a. (poi CEVA Logistics Italia s.r.l.), ed aveva ordinato alla prima di ripristinare il rapporto di lavoro con il ricorrente, passato alle dipendenze della cessionaria senza soluzione di continuità con decorrenza primo mano 2003.

La Corte di merito, dopo avere rigettato l’eccezione di difetto di interesse ad agire del lavoratore opposta da Telecom, ha osservato che il ramo d’azienda trasferito non era preesistente alla cessione; che esso non era dotato di autonoma funzionalità e che per le altre indicate ragioni risultava inapplicabile la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. (nella formulazione successiva alla modifica attuata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 applicabile ratione temporis nella specie), nè potevano trasferirsi i singoli rapporti di lavoro in assenza di consenso dei lavoratori, all’uopo pure richiamando vari precedenti di questa Corte relativi a casi analoghi.

Avverso l’anzidetta pronuncia della Corte partenopea proponeva ricorso per cassazione TELECOM ITALIA 5.p.a. mediante atto di cui alla notifica in data sei – sette dicembre 2013 con quattro motivi, cui ha resistito il D.M. con controricorso.

La società CEVA Logistics Italia è rimasta intimata.

Non risultano depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso introduttivo del giudizio il D.M., premesso di essere stato dipendente della Telecom Italia Spa esponeva: che nel 2000 era stato assegnato alla logistica residenziale inserita nella linea vendita ed al supporto della stessa; che nel mano 2002 gli era stata comunicata la appartenenza al nascente presidio di logistica nel gruppo di Logistica Operativa nel quale sarebbe confluita anche la logistica commerciale; che con la disposizione la Telecom aveva comunicato la creazione della nuova struttura aziendale Domestic Wierline Logistica composta dai Centri di Raccolta, dai Micromagazzini e dalla Logistica Operativa; che riceveva comunicazione del trasferimento del ramo d’azienda per cui il suo rapporto di lavoro proseguiva a far data dal 1.3.2003 senza soluzione di continuità ex art. 2112 c.c. con la cessionaria TNT Logistic Italia S.p.a., società del gruppo olandese TNT, poi denominata Ceva Logistics s.r.l.; che tale cessione era già stata denunciata quale espediente finalizzato ad escludere dall’organico un centinaio di dipendenti scomodi; che la cessione era da considerarsi illegittima in quanto non era stata trasferita un’articolazione d’azienda dotata di autonomia funzionale, e cioè una porzione di impresa capace di fornire un servizio richiesto dal mercato, bensì una serie di piccoli uffici con funzioni relative alla gestione e realizzazione solo di una parte dei servizi logistici integrati; che, dopo la cessione, il personale passato aveva continuato ad operare presso gli uffici delle Telecom Italia nei medesimi posti di lavoro; che la cessionaria era una piccola società che aveva come unica cliente la cedente.

Pertanto, l’attore chiedeva all’adito giudice del lavoro di: a) dichiarare illegittima o nulla la cessione del rapporto di lavoro del ricorrente operata dalla Telecom con conseguente illegittimità del licenziamento comminato all’istante; b) dichiarare pertanto la continuità giuridica del rapporto di lavoro dell’istante con Telecom Italia S.p.a.; c) ordinare alla Telecom di reintegrare l’istante nell’organico della società con mansioni proporzionate al livello di inquadramento già detenuto dallo stesso; d) condannare la società convenuta al risarcimento dei danni subiti dall’istante e correlati all’illegittima cessione del contratto di lavoro, ivi compreso il danno morale ed esistenziale.

Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto delle avverse domande perchè infondate in fatto ed in diritto, eccependo altresì preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per carenza dell’interesse ad agire.

In corso di causa veniva autorizzata la chiamata in causa della società cessionaria Ceva Logistics Italia s.r.l. (già TNT Logistics Italia s.r.l.), la quale, costituitasi in giudizio, chiedeva dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva ed in ogni caso nel merito si opponeva alle richieste del D.M..

Con sentenza pubblicata il 23-12-2009 il Tribunale di Napoli accoglieva parzialmente il ricorso, dichiarando la continuità giuridica del rapporto di lavoro del ricorrente alle dipendenze di Telecom Italia S.p.a., ordinando a quest’ultima di ripristinare la concreta funzionalità del rapporto di lavoro con l’istante in mansioni compatibili con il livello di inquadramento dello stesso prima del trasferimento e rigettando le ulteriori domande del D.M.; inoltre compensava le spese processuali tra le parti.

Con atto di appello depositato il 24.03.2010 Telecom Italia S.p.a. impugnava la predetta decisione, reiterando preliminarmente l’eccezione del difetto dell’interesse ad agire e nel merito eccepiva che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere la mancanza nel ramo ceduto del requisito della autonomia funzionale. Chiedeva dunque alla Corte adita, in riforma dell’impugnata sentenza, di rigettare la domanda proposta dall’appellato.

Si costituiva l’appellato, che resisteva all’impugnazione avversaria.

Si costituiva, altresì, Ceva Logistics Italia s.r.l. (già TNT Logistics Italia s.r.l.), la quale aderiva alla prospettazione dell’appellante.

Quindi, la Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 2372 in data due aprile – 15 giugno 2013 rigettava l’interposto gravame, condannando TELECOM ITALIA spa al pagamento delle ulteriori spese di lite in favore dall’appellato D.M., dichiarandole invece compensate nei confronti di CEVA LOGISTICS ITALIA.

Quanto al primo motivo di gravame, non poteva negarsi ingresso alla tutela dell’interesse del lavoratore a non vedere mutato il proprio datore di lavoro ed a richiedere, di conseguenza, la verifica della legittimità della successione.

Per il resto, la Corte territoriale giudicava infondate le doglianze mosse dalla società appellante, tenuto conto della disciplina dettata dall’art. 2112 c.c., nella formulazione successiva alla modifica attuata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 applicabile ratione temporis alla fattispecie, osservando altresì che la nuova formulazione dell’art. 2112 c.c., dunque, non ha legittimato tutte le operazioni di “esternalizzazione” di servizi, nè tanto meno una pura e semplice espulsione di quote di personale, attuata evitando all’imprenditore di affrontare i costi ed i rischi di un licenziamento collettivo e privando i lavoratori delle relative tutele.

Tale interpretazione aveva trovato un autorevole riscontro nella giurisprudenza di legittimità (per cui la Corte distrettuale citava Cass. 8 giugno 2009 n. 13171 nonchè Cass. lav. 08-04-2011 n. 8066 con riferimento a fattispecie riguardante specificamente quale società cessionaria del ramo d’azienda la TNT Logistica Italia.

Dunque, anche nel mutato contesto normativo il ramo deve presentarsi, per riprendere la definizione della Corte di legittimità “come una sorta di piccola azienda in grado di funzionare in modo autonomo e che non deve rappresentare, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro” (Casa. 4 dicembre 2002, n. 17207). Orbene, esaminato ratto di cessione della Telecom alla TNT Logistic Italia S.p.a. non poteva che pervenirsi alla conclusione che il negozio traslativo non avesse avuto ad oggetto un ramo di azienda nel senso indicato, dovendo ritenersi priva di autonomia organizzativa la struttura denominata Domestic Wierline Logistica.

Telecom Italia, cui incombeva l’onere di provare la validità ed efficacia della cessione eseguita, aveva prodotto in primo grado solo uno stralcio del contratto di cessione, dal quale non risulta se non in maniera generica quali fossero le attività cedute all’Outsourcer. Inoltre, mancavano in atti gli allegati. Nè Telecom aveva indicato alcun documento per suffragare l’autonomia imprenditoriale del ramo ceduto. Peraltro, appariva incontestato che l’attività aveva continuato a svolgersi presso gli uffici della Telecom, senza alcuno spostamento, e che il programma informatico, necessario allo svolgimento delle attività oggetto della cessione, sia rimasto nella proprietà esclusiva delrimpresa cedente. Tale circostanza evidenziava come la TNT Logistic Italia non svolgesse una propria attività in autonomia, ma un’attività tipica della Telecom sotto il controllo di quest’ultima.

In sintesi, i vari elementi evidenziati, valutati nel loro insieme, inducevano ad escludere che la cessione in questione avesse riguardato una articolazione aziendale in grado di presentarsi sul mercato in modo autosufficiente, risolvendosi nella cessione di una pluralità di contratti di lavoro subordinato e, quindi, in una forma di espulsione di quote di personale, non consentita neppure nel mutato contesto normativo. Nè l’anzidetta ricostruzione appariva suscettibile di essere incrinata dalle argomentazioni sviluppate in appello da Ceva Logistics Italia s.r.l., poichè quest’ultima – che, peraltro, non risulta aver proposto alcun appello incidentale avverso la pronuncia di primo grado – aveva richiamato nella propria comparsa di costituzione in secondo grado le risultanze di una relazione di consulenza tecnica effettuata in altro giudizio, cui era rimasto totalmente estraneo rappellato D.M., relazione peraltro di contenuto e data incerti, neanche prodotta in atti e con riferimento alla quale, ferma restando l’assoluta inopponibilità della stessa a soggetto, quale il ricorrente, rimasto estraneo al giudizio in cui era stata disposta, avrebbe comunque operato il divieto ex art. 437 c.p.c. di assunzione di nuovi mezzi di prova in grado di appello.

Il ricorso di TELECOM ITALIA può sintetizzarsi nei seguenti punti:

1) con il primo motivo si denunciano a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 100 c.p.c., b) insufficiente motivazione. Si sostiene che la Corte partenopea, con motivazione insufficiente, ha respinto l’eccezione della società di carenza di interesse ad agire del lavoratore, basata sull’assunto della mancata prospettazione, nel ricorso introduttivo, di conseguenze negative subite per effetto del trasferimento del rapporto di lavoro nell’ambito del trasferimento del ramo di azienda di cui faceva parte;

2) con il secondo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2112 c.c., nonchè insufficiente motivazione. Si censura la statuizione della Corte d’appello, secondo cui l’omessa produzione degli allegati al contratto di cessione non ha consentito “di attribuire i caratteri della oggetti vita e della verificabilità alla generica indicazione della cessione indicata nell’art. 4 del contratto” medesimo. Si rileva che, fin dalle premesse del contratto, è stato individuato l’oggetto del trasferimento, costituito dalle attività di magazzinaggio, allestimento ordini, consegna e distribuzione;

3) con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2112 c.c., comma 5 – trasferimento di una attività economica organizzata – preesistenza del ramo trasferito.

Si contesta la statuizione con la quale la Corte territoriale, ad avviso della ricorrente del tutto apoditticamente e in contrasto con la su richiamata disposizione, ha negato la sussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda ritenendo immotivatamente che le attività cedute – relative alla logistica dei materiali – non potessero essere configurate come attività aventi autonomia funzionale, mentre si trattava di attività già precedentemente dotate di specifica organizzazione;

4) infine, con il quarto motivo la società denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio, o meglio perchè non contiene motivazioni esaurienti circa i fatti decisivi della controversia. Nello specifico la Corte distrettuale aveva tralasciato di considerare che le attività cedute erano costituite da tutto ciò che TELECOM ITALIA svolgeva attraverso i sei centri di raccolta e i 101 micromagazzini offerenti a settori diversi dell’organizzazione aziendale.

La sentenza impugnata non aveva tenuto conto degli elementi acquisiti nel corso del giudizio, erroneamente affermando che oggetto della cessione era stata una parte della struttura logistica. In realtà, le quattro strutture di logistica preesistenti erano state unificate in un’unica struttura, previa costituzione di un ramo autonomo, che venne poi ceduto a TNT. Della struttura ceduta, come risultava dalla prova testimoniale, facevano parte il personale addetto alla “logistica fisica”, il personale addetto ad attività impiegatizie, una parte del personale della logistica di Rete, connessa all’attività di gestione dei depositi in conto terzi, e la “logistica logica” di Clienti residenziali territoriali. In sostanza erano state trasferite tutte le attività di logistica, che facevano parte del ramo ceduto. Si trattava, dunque, di un ramo preesistente, avente una completa e totale autonomia, come accertato da una consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Corte d’appello di Palermo in un giudizio analogo al presente.

Tanto premesso, il ricorso è da respingere, in continuità con un consolidato orientamento di questa Corte formatosi in relazione a controversie analoghe alla presente (v., per tutte, tra le tante, Cass. 4 ottobre 2013, n. 22742; 8 maggio 2014, n. 9951; 19 maggio 2014, n. 10925; n. 9642 del 18 febbraio – sei maggio 2014, nonchè n. 20601 del 18 giugno – 30 settembre 2014).

Con riguardo al primo motivo, è evidente che l’interesse del lavoratore ad agire per l’accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda si configura in ragione della sussistenza di un’esigenza di tutela connessa al generale divieto di esternalizzazione “come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore”, divieto funzionale proprio all’interesse ad accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una “preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non in una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento” (Cass. 6 aprile 2006, n. 8017 e Cass. 30 dicembre 2003, n. 19842). Il mutamento del datore di lavoro in una prospettiva di elusione delle norme pregiudica, invero, il diritto dei lavoratori favorendo operazioni economiche che prescindono dalla effettività delle esigenze organizzative che giustificano il passaggio degli stessi a diverso datore di lavoro, ove sussistano i requisiti di legge.

Più recentemente, inoltre, questa Corte ha avuto modo di affermare che in tema di trasferimento di azienda, sussiste l’interesse del lavoratore a far accertare in giudizio che un determinato complesso di beni, oggetto di trasferimento, non integra un ramo di azienda e, dunque, a far dichiarare, in assenza del proprio consenso, l’inefficacia della cessione nei suoi confronti, in quanto il mutamento della persona del debitore non è indifferente per il creditore, dal momento che la solidarietà tra cedente e cessionario prevista dall’art. 2112 c.c. ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto “esistenti” al momento del trasferimento dell’azienda e non quelli futuri, onde è configurabile un pregiudizio a carico del lavoratore in caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile (Cass. lav. n. 8756 del 15/04/2014, che quindi rigettava il ricorso di Telecom Italia S.p.a. contro F. ed altra parte, avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma pubblicata il 21/11/2011).

Con riguardo ai restanti motivi di impugnazione – che possono trattarsi congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto – questa Corte ha già osservato, con riferimento a controversia relativa alla cessione dello stesso ramo di azienda intentata da altri lavoratori operanti presso stessa società, che – nel regime normativo precedente la modifica contenuta nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 – per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 c.c. (così come modificato dalla L. 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità.

Ciò presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito (Cass. 8 aprile 2011, n. 8066). E’ stato in modo del tutto condivisibile osservato che può applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività rimasta alla società cessionaria, purchè esso mantenga, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive dell’impresa e che, in presenza di tale presupposto, si considerano fare parte del ramo d’azienda, sicchè, peraltro, i rapporti trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 c.c. senza necessità di un loro consenso, riguardano i dipendenti che prestano la loro attività non solo esclusivamente, ma anche prevalentemente, per la produzione di beni e servizi del ramo aziendale (Cass. n. 8066 del 2011 cit., che richiama Cass. n. 2489 del 2008 e Cass. n. 8017 del 2006). Deve, comunque, trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa e ciò deve essere adeguatamente provato dalla società cedente. Nella specie, invece, la Corte partenopea – con congrua e logica motivazione, non efficacemente contestata sul punto dalla attuale ricorrente principale – ha rilevato che la TELECOM non ha assolto l’onere di allegare e provare l’effettiva preesistenza di un autonomo complesso organizzato finalizzato al c.d. servizio di logistica ed ha mancato altresì di fornire adeguata indicazione della consistenza dei beni aziendali materiali e umani concretamente ceduti.

Nella sentenza impugnata, alla stregua dei vali elementi fattuali disponibili, e quindi accuratamente esaminati, si è pervenuti alla conclusione che l’insieme degli stessi consente di ritenere che l’operazione in oggetto non sia qualificabile come cessione di ramo di azienda, ma come mera esternalizzazione di un’attività produttiva primaria tipicamente imprenditoriale (quella della gestione delle scorte e del rifornimento dei beni necessari alla fornitura del servizio di telecomunicazioni alla diversa clientela) probabilmente finalizzata, attraverso l’uso della cessione di ramo di azienda, allo “alleggerimento” del personale eccedente senza il rispetto delle previste garanzie.

Sulla base di una attenta valutazione della fattispecie, la Corte territoriale ha pertanto escluso che nella specie potesse configurarsi una ipotesi di cessione di ramo d’azienda nel senso di trasferimento di una entità, non soltanto organizzativamente e funzionalmente autonoma, ma anche preesistente alla cessione e che quindi, al momento del trasferimento, ha conservato la propria identità, risultando, al contrario, che il “ramo ceduto” sia stato proprio individuato ed identificato come tale solo al momento del trasferimento.

L’attuale ricorrente non contesta adeguatamente neppure l’esito finale degli accertamenti attenti compiuti dalla Corte di merito, che risulta congruamente motivato e supportato in un iter logico-argomentativo chiaramente individuabile, che non presenta alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione e come tale non è censurabile in questa sede.

In particolare, la sentenza impugnata, come sopra visto, ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, risultando coerente anche con la normativa comunitaria ed i principi costituzionali e rispettosa dei principi affermati da questa Corte.

La Corte partenopea si è anche uniformata all’indirizzo giurisprudenziale, che – dopo avere ribadito che per “ramo d’azienda”, come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità – ha precisato che (come affermato anche dalla Corte di giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00 Temco) tale trasferimento deve consentire l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo, il cui accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trapasso di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonchè del grado di analogia tra le attività esercitate prima e dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 c.c., che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola sostituzione di uno sei soggetti contraenti e necessitando, per la sua efficacia, del consenso del lavoratore ceduto (Cass. 17 marzo 2009 n. 6452).

Dunque, i richiamati principi di diritto sono stati correttamente applicati dalla sentenza impugnata alla fattispecie in esame. La Corte di merito ha escluso che il ramo d’azienda ceduto fosse preesistente alla cessione, rilevando che esso era stato individuato ed identificato come tale soltanto al momento del trasferimento. Inoltre, il ramo ceduto non costituiva una articolazione funzionalmente autonoma, idonea ad essere utilmente collocata sul mercato. Al riguardo, secondo il giudice d’appello -a prescindere dal fatto che Telecom aveva prodotto soltanto uno stralcio del contratto di cessione, senza dimostrare la consistenza patrimoniale del ramo ceduto, gli impianti, i macchinari, le attrezzature e gli altri mezzi oggetto del trasferimento, necessari per l’esercizio dell’impresa – era incontestato che la cessionaria aveva continuato a svolgere l’attività presso i locali aziendali della Telecom, utilizzando i programmi informatici ed altre apparecchiature di pertinenza della cedente e perfino i numeri telefonici della stessa. In definitiva, ad avviso della Corte di merito, il trasferimento aveva riguardato un’articolazione aziendale non in grado di gestirsi autonomamente, risolvendosi nella cessione di una pluralità di contratti di lavoro e, quindi, in una forma, non consentita, di espulsione di quote di personale.

Alla stregua dei surriferiti accertamenti, che, in quanto logici e congruamente motivati, non sono censurabili in questa sede (laddove tra l’altro è applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, per l’espresso regime transitorio di cui all’art. 54, comma 3 D.L. cit., visto che la sentenza impugnata risale all’aprile-giugno 2013, sicchè non rileva più l’ipotesi della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione), le argomentazioni de quibus, poste a sostegno del ricorso, non possono essere condivise, dovendosi per di più aggiungere che la consulenza tecnica d’ufficio (richiamata dalla ricorrente sub 4^ motivo), disposta dalla Corte d’Appello di Palermo in una controversia asseritamente analoga alla presente, oltre a non spiegare alcun effetto nel presente giudizio, neanche risulta essere stata specificamente indicata (v. art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 39 c.p.c., comma 1, n. 4) tra i documenti prodotti dalla ricorrente.

La ricorrente, per il criterio legale della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, con distrazione a favore dei difensori del controricorrente ex art. 93 c.p.c..

Sussistono, inoltre, i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato da parte ricorrente.

Infine, nulla va disposto, quanto alle spese, nei confronti dell’altra società, che è rimasta intimata, perciò senza svolgimento di alcuna attività processuale.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese a favore dei procuratori antistatari costituiti per il controricorrente D.M.M. (avv.ti Ernesto Maria Cirillo del foro di Napoli e Francesco Silvestri del foro de L’Aquila), liquidandole in Euro 3600,00 di cui 100,00 per esborsi e 3500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Nulla per le spese nei confronti dell’intimata società Ceva Logistics Italia.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2016

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