Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17245 del 22/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/08/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 22/08/2016), n.17245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 788/2015 proposto da:

F.G., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato IGNAZIO CUCCHIARA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1138/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/06/2014, R.G.N. 950/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato FABRIZIO PAOLETTI per CUCCHIARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 12.6,2014 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Sciacca, rigettando l’appello proposto da F.G., ex dipendente del Ministero della Giustizia, che aveva impugnato il licenziamento disciplinare intimato dall’amministrazione con provvedimento del 18.11.2011. Il F. aveva prospettato la nullità del provvedimento espulsivo per violazione del termine a difesa previsto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 2, essendo intercorso un lasso di tempo inferiore a venti giorni tra la convocazione per essere sentito in sede di istruttoria procedimentale e l’audizione.

Per la cassazione della sentenza impugna il F. affidandosi a un motivo. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 2, avendo, la Corte territoriale, trascurato il chiaro tenore letterale della disposizione in esame, che pone un preciso termine minimo per la convocazione a difesa e prevede la decadenza dall’azione disciplinare in caso di mancata osservanza.

2. Il ricorso non merita accoglimento.

Il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55 bis, comma 2 (come modificato del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 69, comma 1) recita: “Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l’addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa. Dopo l’espletamento dell’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell’addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento è prorogato in misura corrispondente. Il differimento può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa”.

Il successivo comma 3 prevede che il responsabile dell’ufficio che non abbia qualifica di dirigente ovvero in caso di sanzioni più gravi, deve trasmettere entro cinque giorni gli atti all’ufficio disciplinare; il comma 4 prevede il raddoppio dei termini nel caso di provvedimento disciplinari pari o più gravi della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione.

La disposizione normativa prevede, dunque, i termini iniziali e finali del procedimento disciplinare (rispettivamente, a seconda della natura della sanzione, venti o quaranta per la contestazione e sessanta o centoventi per la chiusura), nonchè termini pre-procedimentali o endo-procedimentale costituiti, rispettivamente, dalla trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare da parte dal responsabile della struttura (dell’art. 55 bis, comma 3) o, nel caso che qui interessa dalla convocazione del dipendente per essere sentito a sua difesa (da comunicare con un preavviso di almeno dieci giorni, venti in caso di provvedimenti più gravi, comma 2, innanzi riportato).

I termini iniziali e finali che cadenzano il procedimento disciplinare rappresentano il limite per l’esercizio del potere disciplinare e alla loro violazione è chiaramente ricollegata la sanzione della decadenza. La violazione di questi termini si sostanzia nella preclusione irrimediabile all’adozione del provvedimento disciplinare, operando in via automatica la decadenza prevista dalla disposizione, in quanto con la fissazione di tale ambito temporale massimo il legislatore ha inteso disciplinare l’esercizio di uno dei tipici poteri di cui il datore di lavoro è titolare nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il potere disciplinare, l’esercizio del quale incide sulla sfera giuridica del lavoratore. Il limite della tempestività del procedimento disciplinare (predeterminato dal legislatore mediante la previsione di determinati termini di inizio e fine della procedura) condiziona l’esercizio del potere.

Il termine che temporizza la fase endo-procedimentale risponde, invece, ad una ratio diversa essendo posto a garanzia del diritto di difesa del dipendente; ciò è reso evidente dalla possibilità, posta a favore del lavoratore (per gravi ed oggettivi impedimenti), di chiedere un rinvio del termine, proprio per consentire che tale lasso di tempo sia effettivamente utilizzabile dal lavoratore per approntare le sue giustificazioni. Deve ritenersi, allora, che la contrazione del termine di dieci (venti) giorni determinerà la nullità della sanzione nella misura in cui venga rappresentato, dall’interessato, un pregiudizio sulla raccolta della documentazione e delle informazioni necessarie per far valere le sue ragioni innanzi al datare di lavoro. Trattandosi di termine posto a garanzia del diritto di difesa del lavoratore, la decadenza dall’esercizio del potere disciplinare opererà quando la contrazione del termine abbia determinato un nocumento al lavoratore stesso ed alle sue prerogative di difesa.

Se, pertanto, il carattere perentorio dei termini iniziali e finali del procedimento disciplinare risponde al principio di tempestività ed immediatezza (riscontrabile anche nell’impiego privato, pur se inteso in senso relativo e non cristallizzato in precisi termini legislativi, salvo specifiche previsioni dei contratti collettivi) e il rispetto condiziona l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, diversa ragione fondante ha la previsione del termine minimo per l’audizione del dipendente, che consente all’interessato di predisporre una adeguata difesa da sottoporre al datore di lavoro e la cui violazione determina la nullità del procedimento ove il dipendente deduca e dimostri che il suo diritto di difesa è stato frustrato dalla contrazione del termine.

Questa ricostruzione esegetica del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 2, rispecchia un principio immanente nell’ordinamento processuale civile in base al quale la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, alla realizzazione della funzione dell’atto, impedisce una declaratoria di decadenza (cfr. la giurisprudenza elaborata con riguardo allo spatium deliberandi previsto dall’art. 415 c.p.c., comma 5 – a garanzia del diritto di difesa – tra la notifica del ricorso e l’udienza di discussione, secondo cui il mancato rispetto del termine minimo integra un vizio sanabile mediante la costituzione del convenuto o l’assegnazione di un nuovo termine, Cass. n. 9150/2004 e tutte le decisioni delle Sezioni Unite che nel corso degli anni hanno affrontato la questione: nn. 122/2001, 9331/1996, 6841/1996, 271/1993). Nello stesso senso si pone l’ordinamento processuale penale, ove la violazione del termine minimo per comparire di venti giorni – stabilito per l’imputato dall’art. 601 c.p.p., comporta una nullità non assoluta bensì relativa, sanata, ai sensi dell’art. 183 c.p.p., lett. a), se l’imputato, comparso in udienza ed assistito dal difensore, non sollevi, al riguardo, alcuna eccezione (cfr. Cass. nn. 39221/2015, 39021/2013, 27414/2014, 30075/2010).

Questa interpretazione si inscrive, inoltre, in un contesto di continuità con l’opzione già privilegiata dalle parti sociali in quanto la contrattazione collettiva del comparto Ministeri 20022005 aveva, con valenza innovativa (cfr. sul punto Cass. n. 24529/2015), qualificato come perentorio il termine iniziale del procedimento disciplinare (art. 12 che ha aggiunto il comma 10 all’art. 24 del c.c.n.l. 1995), configurando, pertanto, un sistema che ricollegava la sanzione della decadenza dall’azione disciplinare alla mancata osservanza di due termini, per l’appunto quello iniziale e quello finale del procedimento.

Va, inoltre, segnalato che questa Corte, seppur con riguardo al termine pre-procedimentale previsto dal (distinto) comma 3 del D.Lgs. n. 165, art. 55 bis, ha – con argomentazioni attinenti alla ratio legis di previsione del termine – affermato la natura ordinatoria, rilevandone lo scopo sollecitatorio, e ritenendo illegittima la sanzione se l’inoltro degli atti al dirigente venga ritardato in misura tale da rendere troppo difficile l’esercizio del diritto di difesa spettante all’incolpato (cfr. Cass. n. 17153/2015).

3. Infine, in considerazione della prospettiva di una tendenziale armonizzazione della disciplina del rapporto di lavoro nel settore privato e in quello pubblico privatizzato, va rammentato il consolidato orientamento di questa Corte, elaborato nell’ambito del settore privato, secondo il quale il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della scadenza del termine di cui della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 5, decorrente dal momento della ricezione della contestazione dell’addebito, quando il lavoratore ha esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive (cfr. Cass. SS.UU. n. 6900/2003; in senso conforme cfr. Cass. nn. 1884/2012, 13395/2004). Va, inoltre, richiamata una recente decisione che, proprio con riguardo al termine minimo di dieci giorni per la presentazione di osservazioni del lavoratore alla contestazione disciplinare previsto da specifica disposizione di contrattazione collettiva, ha ritenuto di ricollegare un profilo di illegittimità del provvedimento disciplinare solamente nell’ipotesi in cui emerga che la contrazione del termine posto a difesa del dipendente abbia prodotto un pregiudizio (cfr. Cass. n. 5714/2015).

Sia nel settore privato che nel settore pubblico, la sanzione della illegittimità del licenziamento in caso di violazione del termine posto per le difese del lavoratore viene sempre collegata alla deduzione di un pregiudizio subito nell’articolazione delle giustificazioni da fornire al datare di lavoro.

4. Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è correttamente ispirata, per valutare la natura del termine a difesa, alla ratio della previsione, dando atto che il F. non ha lamentato alcun pregiudizio dalla contrazione del termine in quanto si è presentato “alla convocazione coll’ausilio del proprio difensore, non ha chiesto alcun rinvio, ma ha articolato compiutamente le proprie difese, incentrate su vizi formali e senza alcuna contestazione nel merito degli addebiti mossi”.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite sono interamente compensate tra le parti in considerazione della novità della questione.

Il ricorso è stato notificato il 3.12.2014, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento dei deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2016

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