Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17692 del 07/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 07/09/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 07/09/2016), n.17692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19360-2011 proposto da:

A.M., (OMISSIS), nella sua qualità di erede di

D.F.M., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DEOSDEDIO LITTERIO;

– ricorrente –

contro

A.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA ADRIANA 4, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO BARUCCO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO CIANCIO;

– ricorrente successivo e c/ric. al ricorso incidentale –

contro

N.R., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUIDO BELMONTE;

– c/ricorrente e ric. incidentale –

contro

C.A., (OMISSIS), quale erede di C.G.,

deceduto, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. GRAMSCI 36,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DE TILLA, che la rappresenta

e difende;

– c/ricorrente ad entrambi i ricorsi –

contro

CURATELA FALLIMENTO ” A. E C. PELLAMI S.a.s.” in persona del

Curatore pro tempore, R.M., D.C.R.,

D.C.P.L., T.F., T.M., SP.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4325/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l Con atto del 17, 18, 20, 21 marzo e 6 aprile del 1995 C.G. convenne davanti al Tribunale di Napoli D.C.L., F. e T.M., Sp.Gi., D.F.M., N.R. e il Fallimento di A.R. per far accertare la violazione del diritto di sopraelevazione a lui spettante quale comproprietario – in forza di atti notarili stipulati nel 1947 e 1948 – dell’area di risulta dei fabbricati siti in (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), andati distrutti a seguito di eventi bellici. Rilevò l’attore che la presenza di lucernari e di tralicci di sostegno di tabelle pubblicitarie abusivamente realizzati dai convenuti sui lastrici di copertura dei terranei dai medesimi ricostruiti gli impedivano di procedere a sua volta alla ricostruzione negozialmente prevista.

2 Con sentenza 1.12.2000 il Tribunale rigettò la domanda, accolse la riconvenzionale di usucapione formulata da D.C.L. e dai T. e rigettò le analoghe domande riconvenzionali spiegate da Sp.Gi. e N.R..

La decisione venne impugnata in via principale da C.G. e, in via incidentale, da N.R.. Con sentenza non definitiva 29.3.2006 la Corte di Appello di Napoli rigettò l’appello incidentale del N., disponendo con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio in ordine all’appello principale.

Il N. propose ricorso immediato per cassazione contro tale pronuncia.

Frattanto, con successiva sentenza definitiva del 27.12.2010 la Corte partenopea in riforma della decisione di primo grado per quanto ancora interessa in questa sede – dichiarò che la ricostruzione del terraneo di N.R. e di quello comune agli A. e al C. in maniera difforme dall’originario corpo di fabbrica che li ricomprendeva, aveva leso il diritto del C., quale comproprietario dell’area di risulta dei quartini sovrastanti detti terranei, di ricostruirli in sopraelevazione sull’area di risulta medesima e pertanto condannò il N. e gli A. alla demolizione dei terranei e al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante.

Per giungere a tale conclusione la Corte d’Appello osservò, per quanto ancora interessa:

– che sull’appello incidentale del N. era preclusa ogni ulteriore valutazione in considerazione della intervenuta pronuncia di rigetto di detto gravame con la precedente sentenza non definitiva;

– che nei titoli dei convenuti e loro danti causa (atti De Falco Giannone del 13.1.1947 e Angrisano del 17.1.1950) era stata introdotta una clausola sulle modalità di ricostruzione dei terranei con salvezza dei diritti dei proprietari dei piani sovrastanti;

– che nel caso di specie si era verificato il perimento totale dell’edificio con conseguente estinzione del condominio per mancanza dell’oggetto e, in mancanza di richieste di vendita all’asta a norma dell’art. 1128 c.c., il C. era titolare del diritto di ricostruire in sopraelevazione sull’area di risulta di cui era proprioetario;

– che la domanda dell’attore andava qualificata come negatoria servitutis e non come revindica, con conseguente attenuazione dell’onere probatorio su di lui incombente;

che il diritto di sopraelevare spettante all’attore sull’area di risulta, risultante dai titoli dei convenuti, era da inquadrare non già nel diritto di superficie, ma tra le facoltà del diritto di proprietà e come tale non soggetto a prescrizione per inerzia;

– che dalle consulenze tecniche era emersa la ricostruzione dei terranei in maniera difforme dall’originario corpo di fabbrica che li comprendeva e che un qualsiasi progetto di ricostruzione, ai fini dell’osservanza della normativa antisismica non poteva prescindere dalla demolizione di detti terranei, non essendo sufficiente la mera rimozione delle opere (lucernari e tralicci) realizzate sul lastrico di copertura di detti terranei.

3 Contro la predetta sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione A.M. e A.F. (entrambi eredi della originaria convenuta D.F.M.).

Al ricorso di A.F. resiste con controricorso C.A., erede dell’appellante principale C.G., deceduto nelle more del giudizio di appello in data (OMISSIS).

Anche N.R. ha proposto controricorso contenente ricorso incidentale a cui replicano, a loro volta, con separati controricorsi la C. e A.F..

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Non hanno svolto attività difensiva le parti da ultime indicate in rubrica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

ECCEZIONE DI INAMMISSIBILITA’ DEI RICORSI SOLLEVATA DALLA CONTRORICORRENTE C..

Premessa la riunione delle impugnazioni contro la medesima sentenza ai sensi dell’art. 335 c.p.c., va innanzitutto esaminata la preliminare eccezione di inammissibilità dei ricorsi principali e di quello incidentale del N. perchè notificati presso il procuratore della parte deceduta ( C.G.) e non già ai suoi eredi.

L’eccezione, sollevata dalla controricorrente C., è infondata.

La questione che la Corte è chiamata ad affrontare sta nello stabilire se la cd stabilizzazione processuale del soggetto deceduto estenda i suoi effetti anche al giudizio di impugnazione.

Ebbene, la tesi della controricorrente, ispirata alla regola della limitazione della stabilizzazione al grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (in passato sostenuta da parte della giurisprudenza, anche a sezioni unite: v. Sez. U, Sentenza n. 26279 del 2009) è stata però superata da una più recente pronuncia sempre delle sezioni unite (v. Sez. U, Sentenza n. 15295 del 04/07/2014 Rv. 631467) a cui hanno poi fatto seguito altre decisioni conformi. Le sezioni unite con la sentenza 15295/2014 hanno affermato che la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante. (v. altresì Sez. U, Sentenza n. 20447 del 2014 non massimata; v. altresì tra le varie, Sez. 5, Sentenza n. 26495 del 17/12/2014 Rv. 634009).

Il Collegio intende senz’altro dare continuità a tale principio, che appare in grado di rispondere in modo più adeguato, nelle fasi impugnatorie, alle esigenze della tutela del diritto di azione, costituzionalmente protetto.

Nel caso di specie, l’appellante principale C.G. è deceduto l'(OMISSIS), quindi nelle more del giudizio di appello, ma non risulta che in quella sede l’evento sia mai stato dichiarato o notificato dal suo difensore: di conseguenza, appare corretta la notificazione dei ricorsi principali e di quello incidentale al procuratore della parte defunta e, conseguentemente, l’eccezione dell’erede C. va rigettata.

RICORSO PROPOSTO DA A.M..

1 Il ricorso si articola in tre motivi. Col primo di essi A.M. denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di accessione (art. 934 c.c. e ss), di usucapione (art. 1158 c.c. e ss), nonchè degli artt. 948, 949, 1150 c.c. in relazione all’art. 1128 c.c. nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio. Dopo avere sintetizzato le difese svolte nel giudizio di primo grado, le argomentazioni della sentenza del Tribunale e le censure mosse dall’appellante, il ricorrente rimprovera alla Corte di Appello di essersi limitata ad esaminare le censure poste con l’appello principale senza considerare che la sentenza di primo grado aveva respinto le domande facendo corretta applicazione di consolidati e pacifici principi di diritto in tema di perimento dell’edificio, tra cui quello della accessione in caso di ricostruzione in modo difforme con conseguente applicazione del termine di sei mesi per domandare la rimozione ex art. 936 c.c., u.c. come sostenuto da autorevole dottrina.

Inoltre, la Corte d’Appello non avrebbe considerato – così incorrendo nel difetto di motivazione l’assenza di rivendicazione da parte del C. per oltre quarantacinque anni sull’area di risulta parziale e sui terranei ivi costruiti, mentre al contrario i convenuti hanno esercitato un possesso pacifico per cui è maturata l’usucapione.

Il motivo è infondato per due ordini di motivi: innanzitutto, perchè si scontra col principio di diritto, costantemente affermato in giurisprudenza ed oggi ribadito dal Collegio, secondo cui al comproprietario e compossessore di buona fede di un immobile, che vi abbia eseguito addizioni costituenti miglioramenti (nella specie, costruendo un fabbricato sul terreno acquistato “pro indiviso”), non si applica la normativa dell’art. 936 c.c., nel richiamo fattone all’art. 1150 c.c., comma 5, in quanto tale disciplina postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo, non potendo qualificarsi come tale il titolare di un diritto di natura reale, avente ad oggetto il fondo su cui le opere sono state eseguite (v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 743 del 14/01/2009 Rv. 606193; Sez. 2, Sentenza n. 10699 del 14/12/1994 Rv. 489193).

In secondo luogo – con riferimento al denunciato vizio motivazionale – il motivo è infondato perchè, contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale si è posta il problema del tempo trascorso prima della proposizione dell’azione giudiziaria, osservando che il diritto di ricostruire in sopraelevazione sull’area di risulta dell’appellante principale (negozialmente previsto con riferimento alla sopraelevazione dei terranei), va inteso come facoltà insita nel diritto di proprietà e come tale non soggetta prescrizione (v. pag. 22).

Come appare evidente, la motivazione sul punto ritenuto decisivo (il decorso del tempo tra le costruzioni in difformità e la proposizione del giudizio), non solo esiste, ma è priva di vizi logici e giuridicamente corretta perchè fondata su una precisa clausola contrattuale, che il ricorrente neppure specificamente contesta, nonchè sulla regola della imprescrittibilità delle facoltà spettanti al comproprietario, tra cui rientra anche quella di ricostruire (v. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 15482 del 14/09/2012 Rv. 623751, anche in motivazione; Sez. 2, Sentenza n. 1375 del 05/03/1979 Rv. 397673).

La critica pertanto non coglie nel segno: è’ noto infatti che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

2-3 Col secondo motivo A.M. denunzia violazione degli artt. 948 e 949 cc in relazione all’art. 1128 e l’insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio: premessa una sintesi circa la natura e finalità dell’azione negatoria, il ricorrente osserva che il C. non ha mai avuto il possesso dell’area di risulta e dei terranei costruiti, i quali sono stati sempre nel possesso esclusivo dei convenuti: l’azione proposta, quindi, non andava qualificata come negatoria, ma come rivendicazione con tutte le relative conseguenze in ordine al maggior rigore probatorio a carico dell’attore.

Col terzo motivo il deduce la violazione degli artt. 934, 954 e 1128 c.c. nonchè l’omesso esame di un punto decisivo della controversia: dopo avere ricordato gli effetti giuridici del perimento dell’edificio il ricorrente rileva che il C. ha avanzato una azione di rivendicazione sulla base di diritti esclusivi e condominiali che gli derivavano dai preesistenti fabbricati distrutti. A suo dire il diritto di ricostruire il fabbricato così come era è venuto meno con la costruzione dei terranei in maniera difforme; rileva che il condominio non si è ricostruito, per cui tali diritti non possono essere esercitati e di conseguenza la domanda di abbattimento avrebbe dovuto essere respinta. Ad avviso del ricorrente il nuovo immobile costruito in maniera difforme da precedente, accedendo al suolo comune, costituisce un bene di proprietà comune a tutti i precedenti condomini, rispetto al quale non è configurabile l’esclusivo diritto di uno di essi a sopraelevare: l’unico titolo che esclude l’accessione non può che essere un diritto di superficie che però sarebbe prescritto per mancato esercizio ventennale ex art. 954 c.c., u.c., come correttamente rilevato dal primo giudice. Chiede pertanto che la Corte decida nel merito la causa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 con il rigetto delle domande del C..

Questi due motivi- ben suscettibili di trattazione unitaria – sono infondati.

Secondo un principio generale di diritto, già affermato da questa Corte, ed oggi ribadito dal Collegio, in ipotesi di perimento totale o parziale dell’edificio in condominio, anche inferiore ai tre quarti del suo valore, ciascun condomino ha il potere di ricostruire le parti comuni del fabbricato, che siano andate distrutte e che siano indispensabili per ripristinare l’esistenza e il godimento del bene di dominio individuale, nell’esercizio non di un diritto di superficie, ma di facoltà inerenti alla proprietà esclusiva ed a quella condominiale, in quanto tali non suscettibili di prescrizione per non uso (v. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 15482 del 14/09/2012 Rv. 623751 cit.; Sez. 2, Sentenza n. 1375 del 05/03/1979).

Pertanto, nel caso di specie, al C. era sicuramente concessa anche la facoltà di ricostruire l’immobile già esistente sull’area di sedime da lui acquistata.

A ciò aggiungasi il fatto che, come già accennato, nel titolo di proprietà di D.F.M. della, dante causa degli A. (cioè nell’atto per notaio Angrisano 17.1.1950 relativo alla vendita del terraneo di piazza Mercato 119) era contenuta una apposita clausola in base alla quale restava “salvo ogni diritto dei piani sovrastanti ormai distrutti dai bombardamenti aerei, con espresso divieto di eseguire la sopraelevazione dei terranei, in quanto spettante tale diritto ai proprietari degli immobili sovrastanti o ai loro aventi causa”. Detta clausola, riportata nella sentenza impugnata a pag. 20, viene completamente trascurata nel ricorso ed invece assume una portata rilevante essendo espressione di una precisa volontà delle parti contraenti manifestata nell’esercizio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cc.

RICORSO PROPOSTO DA FERDINANDO A.

1 I1 ricorso di Ferdinando A. si articola in quattro motivi: col primo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1128 comma 1, 934 e 936 comma 5 cc ed omessa, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 cpc.

Rileva in proposito che l’articolo 1128 cc non consente al singolo condomino di ricostruire l’edificio in tutto o in parte distrutto, ma solo di richiedere la vendita all’asta, salvo diversa pattuizione, nel caso di specie inesistente.

Analizza quindi la norma dell’art. 1128 cc, rimproverando alla Corte napoletana di avere riconosciuto la lesione del diritto di sopraelevazione dell’attore quale comproprietario dell’area di risulta dei quartini sovrastanti. Ritiene che nessun diritto di sopraelevazione possa considerarsi sussistente in capo al C., essendo nulla la clausola contenuta nell’atto di acquisto dei signori A., perchè posta a salvaguardia di un diritto inesistente. Ritiene inoltre il ricorrente che la clausola non possa integrare gli estremi di quanto previsto dall’art. 1128 primo coma cc. perchè mai nessuna convenzione è intervenuta tra il C. e gli altri condomini dell’edificio.

Infine, osserva che la Corte d’Appello ha sottovalutato la totale inerzia per oltre 45 anni dell’attore ed il pacifico pubblico e continuo possesso del locale da parte degli A.. Pertanto – ad avviso del ricorrente – la Corte d’Appello non avrebbe dovuto discostarsi dal riconoscimento dell’acquisto per usucapione.

Il motivo è infondato.

L’articolo 1128 cc che detta la disciplina per casi di

perimento totale o parziale dell’edificio, al primo comma

dispone che “se l’edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all’asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto”.

Come appare evidente, la formula “salvo che sia diversamente convenuto” adoperata dal legislatore nel primo comma dell’art. 1128 cc si riferisce alla possibilità di escludere convenzionalmente il diritto del singolo di richiedere la vendita all’asta, che rappresenta la regola in caso di perimento totale o per una parte rilevante (tre quarti del suo valore). I condomini cioè possono prevedere convenzionalmente una diversa modalità di soluzione della vicenda conseguente al perimento, escludendo la possibilità di chiedere la vendita all’asta.

Nel caso che ci occupa la Corte d’Appello ha rilevato che non risultavano richieste di vendite all’asta da parte dei condomini (v. pag. 23 della sentenza impugnata) e che gli A. non avevano rispettato il patto negoziale (v. sentenza pagg. 20) contenuto anche nel titolo di proprietà della loro date causa Maria D.F. (cioè nell’atto per notaio Angrisano 17.1.1950 relativo alla vendita del terraneo di (OMISSIS)) in base al quale restava “salvo ogni diritto dei piani sovrastanti ormai distrutti dai bombardamenti aerei, con espresso divieto di eseguire la sopraelevazione dei terranei, in quanto spettante tale diritto ai proprietari degli immobili sovrastanti o ai loro aventi causa”. Ha rilevato infatti, sulla scorta della prima relazione del CTU arch. N., la avvenuta ricostruzione in maniera difforme rispetto alla originaria struttura del corpo di fabbrica, in assenza di licenza edilizia ed in contrasto con il piano di ricostruzione del quartiere Mercato all’epoca vigente e inoltre, anche criticità sotto il profilo antisismico (v. pagg. 21 e 22).

Sulla base di tali premesse fattuali, la Corte d’Appello ha quindi ritenuto che la ricostruzione del terraneo civico 119 aveva leso il diritto di costruire in sopraelevazione spettante al C. quale comproprietario dell’area di risulta del fabbricato distrutto e riconosciuto espressamente nel titolo di acquisto della dante causa del ricorrente.

La conclusione a cui è pervenuta la Corte d’Appello appare priva di vizi logici ed anche giuridicamente corretta perchè si fonda su una specifica clausola contrattuale liberamente accettata dalla dante causa degli A. al momento dell’acquisto avvenuto col citato rogito per notaio Angrisano del 17.1.1950.

La questione della nullità o inefficacia di detta clausola pure sollevata nel ricorso da A.F. non risulta abbia formato oggetto di dibattito nei precedenti gradi di giudizio e pertanto deve ritenersi nuova con la logica conseguenza che la Corte non è tenuta ad esaminarla. Infatti, nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (tra le tante, v. Sez. 1, Sentenza n. 19164 del 13/09/2007 Rv. 599047; Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007 v. 597111).

2-3 Col secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 100 e 111 c.p.c.: si rimprovera alla Corte di Appello di non avere considerato l’incidenza dell’avvenuto acquisto di quota del terraneo di (OMISSIS) da parte dell’attore e quindi della comproprietà in comune e pro indiviso con gli A. del locale da demolire per l’intero. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere e l’inammissibilità in parte qua del gravame perchè nel caso di specie il disposto dell’art. 111 c.p.c. non può essere esteso fino a ricomprendere anche il caso in cui attore e convenuto vengono a confondersi per essere stato, il diritto controverso, oggetto di trasferimento in favore dell’attore.

Col terzo motivo, collegato al precedente, si deduce la violazione dell’art. 1100 cc richiamandosi il principio secondo cui la condanna all’abbattimento di un bene in comunione non può che essere pronunciata nei confronti di tutti i comproprietari, non essendo essa configurabile limitatamente alla quota ideale del comproprietario, con la conseguenza che una eventuale condanna deve ritenersi inutiliter data.

Queste due censure che, per la loro stretta connessione, ben si prestano a trattazione unitaria – sono inammissibili perchè introducono nuovi temi mai trattati nei precedenti gradi di giudizio.

Le questioni di diritto riguardanti la successione nel rapporto controverso ex art. 111 c.p.c. per effetto dell’acquisto, da parte del C., del 50% del locale terraneo di (OMISSIS) oggetto di demolizione e la demolizione di un bene comune (implicanti tipici accertamenti in fatto sulla appartenenza dell’immobile) ben potevano essere introdotte nel corso del giudizio di appello e sottoposte alla valutazione della Corte territoriale, trattandosi di acquisto avvenuto in data 28.10.2002 (come risulta dalla stessa sentenza di appello: v. pag. 14), ma ciò non è avvenuto per una precisa strategia difensiva della parte che ha ritenuto opportuno restare contumace in quel grado di giudizio e attenderne l’esito dall’esterno.

Sole per completezza, va comunque rilevato che nessuna norma impedisce al proprietario di costruzione, rientrando tale facoltà diritto di proprietà.

4 Col quarto motivo, infine, violazione dell’art. 91 c.p.c. dolendosi della condanna alle spese del doppio grado e, in ogni caso, dell’entità della condanna.

Rileva in proposito che la sua contumacia nel giudizio di gravame e quindi la sostanziale acquiescenza alla sentenza di prime cure avrebbe dovuto escludere la condanna alle spese. Ritiene in ogni caso ingiustificata l’equiparazione, anche nel quantum, alla posizione di A.M. e del N., che invece hanno resistito alle domande in entrambi i gradi di giudizio.

Il motivo è infondato.

L’art. 92 c.p.c., comma 2 nella versione in vigore ratione temporis consentiva di disporre la compensazione per giusti motivi.

La giurisprudenza formatasi su tale norma ha sempre affermato che la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea, mentre in ogni altro caso e in particolare ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, abbia compensato le spese o al contrario le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l’assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato, senza che al riguardo siano configurabili dubbi di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost. (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003 Rv. 572524; Sez. 2, Sentenza n. 4388 del 26/02/2007 Rv. 595574).

Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza è l’aver dato causa al giudizio, e la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta così da renderne necessario l’accertamento giudiziale” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 373 del 2015 non massimata; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6722 del 10/12/1988); è stato altresì affermato che l’individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 373/2015 cit.; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7182 del 30/05/2000).

Non può avere perciò rilievo alcuno, ai fini dell’applicazione della disciplina fissata nell’art. 92 c.p.c., la circostanza che la parte che ha dato causa al processo abbia poi omesso di costituirsi in appello e comunque di dispiegare attività difensiva, condotta alla quale va attribuita valenza totalmente neutra siccome inidonea a costituire indice di esclusione del dissenso e addirittura di adesione all’avversa richiesta (in termini anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4485 del 28/03/2001), e che anzi può semmai considerarsi espressione di mera indifferenza rispetto alle ragioni di economia che dovrebbero indurre le parti all’adozione di ogni cautela utile ad evitare inutili dispendi di energia processuale.

Sulla scorta di tali principi – che il Collegio ribadisce – non è qui sindacabile la condanna dell’ A., di cui la Corte di merito ha accertato la soccombenza.

RICORSO INCIDENTALE PROPOSTO DA N.R..

1 Il N. propone quattro motivi di ricorso incidentale. Col primo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 102 c.p.c. rilevando che al giudizio doveva essere chiamato a partecipare anche tale N.U., litisconsorte necessario, in quanto proprietario di un terraneo concesso in locazione alla “Casa del bebè” e ubicato nel perimetro dell’area di sedime. Richiama a sostegno dell’assunto la relazione dell’arch. N. e quella dell’ing. I..

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (v. Sez. 5, Sentenza n. 19410 del 30/09/2015 Rv. 636606; Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 13/05/2016 Rv. 639725); Sez. L, Sentenza n. 23420 del 10/11/2011 Rv. 619464).

Nel caso di specie il ricorso omette di riportare la planimetria dei luoghi, atto quanto mai essenziale per la verifica di quanto asserito, non bastando la menzione di isolati passaggi delle relazioni, dai quali risulta solo che, secondo a ricostruzione dell’architetto N. “tra gli immobili interessati alla vicenda vi è il locale identificato dal civico (OMISSIS) non in causa” e che secondo la ricostruzione dell’ing. I., N. Ugo è uno dei confinanti, senza altra aggiunta da parte dei tecnici, come si evince dall’uso del virgolettato(v. pag. 12 ricorso). Le deduzioni personali del N., che – per sua ammissione – presuppongono una lettura integrale e sistematica delle risultanze tecniche trascritte non colgono pertanto nel segno.

2-3-4 Col secondo motivo il N. deduce violazione degli articoli 934 e ss, 948, 949, 1128, 1150 c.c., art. 1158 c.c. e ss e il difetto o l’insufficienza della motivazione.

Col terzo motivo si deduce violazione degli artt. 948 e 949 c.c. nonchè omessa o insufficiente motivazione.

Col quarto ed ultimo motivo si deduce, infine, la violazione dell’art. 954 c.c. e l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia.

Tali motivi – che come premette lo stesso ricorrente incidentale a Pa99- 9 e 13 – ricalcano sostanzialmente il ricorso di A.M. (precisamente il primo, secondo e terzo motivo) sono infondati per le stesse ragioni indicate nell’esame dell’impugnazione dell’ A. e pertanto, per ovvie esigenze di sintesi espositiva, si rinvia a quanto già esposto, con la sola tranciante precisazione che sul rigetto della domanda di usucapione avanzata in via riconvenzionale da N.R. si è ormai formato il giudicato perchè il suo ricorso per cassazione contro la sentenza non definitiva 29.3.2006 della Corte d’Appello di Napoli (che aveva a sua volta confermato quella sfavorevole emessa in primo grado) è stato respinto con sentenza di questa Corte n. 17881/2013: sul possesso ad usucapionem il N. pertanto non ha più titolo per interloquire ulteriormente.

Il rigetto dei ricorsi principali e di quello incidentale comporta, per il principio della soccombenza la condanna in solido degli A. e del N. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

rigetta i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti principali e quello incidentale al pagamento in solido delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2016

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