Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18628 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/09/2016, (ud. 14/07/2015, dep. 23/09/2016), n.18628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATORE Roberto – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

PIC FYFIELD LTD, società di diritto inglese con sede legale in

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. Leonardo Perrone e

dall’avv. Gianmarco Tardella, presso i quali è elettivamente

domiciliata in Roma alla Via Giacomo Puccini n. 9;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo n. 178/9/07, depositata il 30 gennaio 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14

luglio 2015 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per la ricorrente

e l’avv. Gianmarco Tardella per la controricorrente e ricorrente

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo che, accogliendo l’appello della società Dalgety Food Ingredients, gia PIC Fyfield Ltd, nel giudizio introdotto con l’impugnazione del silenzio rifiuto serbato sull’istanza di rimborso – avanzata dalla contribuente nella qualità di società di diritto inglese titolare del 99,99% del capitale della società per azioni italiana Houghton Italia, ai sensi dell’art. 10 della Convenzione Italo-Britannica contro le doppie imposizioni, ratificata con la L. 5 novembre 1990, n. 329 – della somma corrispondente al 50% del credito d’imposta che sarebbe spettato ad un soggetto fiscalmente residente in (OMISSIS) sui dividendi distribuiti dalla partecipata spa Houghton Italia negli anni (OMISSIS), ha riconosciuto il diritto al rimborso del detto credito d’imposta.

Il giudice d’appello, in particolare, ha ritenuto irrilevante che detti dividendi non fossero stati effettivamente percepiti dalla società contribuente, ma compensati con un credito nei suoi confronti vantato dalla stessa società partecipata spa Houghton, essendo l’operazione posta in essere “perfettamente legittima”

La società contribuente resiste con controricorso, articolando un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso principale, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, l’amministrazione, premesso che la decisione di rigetto di primo grado era fondata su due autonome ragioni:

a) la mancata percezione da parte della società inglese dei dividendi distribuiti dalla società italiana, per effetto della disposta campensazione con i controcrediti vantati da quest’ultima nei confronti della prima; b) la mancanza di prove sulla circostanza, ritenuta pregiudiziale, che i suddetti dividendi fossero sottoposti a tassazione nel paese di residenza (Regno Unito), censura come erronea la sentenza impugnata per aver ritenuto fondato, e non inammissibile, l’appello proposto, senza rilevare che la decisione impugnata era giustificata da altre autonome ragioni che non hanno costituito oggetto di gravame: in particolare, per la mancanza della necessaria prova dell’avvenuta tassazione all’estero dei dividendi percepiti in Italia da una società di diritto inglese, al fine di conseguire, ai sensi dell’art. 10 della convenzione italo-britannica contro le doppie imposizioni, il pagamento di una somma corrispondente al credito d’imposta che sarebbe spettato in analoghe circostanze ad un soggetto residente.

Il motivo è privo di pregio, in quanto, come si evince dal punto 7 dell’appello della Pyc Fyfield Ltd, integralmente riportato nello stesso ricorso per cassazione, la società inglese ha posto in discussione anche quella individuata come seconda ratio decidendi, affermando che “in sostanza si ritiene di aver dimostrato ampiamente che alla scrivente Società (fiscalmente residente in (OMISSIS)) sono stati pagati dividendi a mezzo compensazione, rispettivamente, in data (OMISSIS) per i bilanci chiusi al (OMISSIS) dalla propria controllata Houghton Italia spa ora liquidata. Una volta pagati così come descritto, tali citati dividendi sono stati legittimamente assoggettati in capo alla scrivente Società al regime di tassazione per essi previsto dalla normativa inglese. In conclusione, quindi, la scrivente società ritiene di possedere tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi che la legge prescrive come necessari al fine di accedere al beneficio convenzionale in questa sede discusso e che, in precedenza, è stato illegittimamente ed irragionevolmente negato”.

Con il secondo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della convenzione italo britannica contro le doppie imposizioni, ratificata in Italia con la L. 5 novembre 1990, n. 329, in relazione all’art. 300 c.p.c., n. 3, ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1″, l’amministrazione ricorrente assume che il riconoscimento del credito d’imposta previsto dalla prima disposizione in rubrica sarebbe condizionato all’effettivo pagamento ed all’effettiva riscossione dei dividendi distribuiti da una società residente ad altra società controllante, avente sede nel (OMISSIS) e priva di stabile organizzazione nel Paese di distribuzione dei dividendi, e che sarebbe pertanto errata la sentenza impugnata, la quale avrebbe ravvisato la condizione per poter fruire di predetto credito d’imposta nel solo accreditamento dei dividendi da parte della società italiana a quella partecipante, ed ha ritenuto irrilevante il fatto che tali dividendi non siano stati effettivamente corrisposti e che la relativa obbligazione di pagamento si sia estinta per compensazione con altre obbligazioni reciproche”.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha chiarito che “Il diritto al credito di imposta sancito dall’art. 10, paragrafi 2 e 4, della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, stipulata il 21 ottobre 1988 (e ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329), presuppone la duplice dimostrazione che la società del (OMISSIS) che riceve i dividendi ne sia “la effettiva beneficiaria” e che la società che “riceve i dividendi ed il credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito”, gravandone il corrispondente onere probatorio – che investe gli elementi costitutivi del diritto del contribuente beneficiario dei dividendi a non subire una seconda tassazione della stessa ricchezza già tassata in capo alla società, e di conseguire il rimborso di quanto indebitamente pagato – sulla società che abbia percepito i predetti dividendi (in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto non fornita dalla società inglese resistente siffatta dimostrazione ed ha configurato l’operazione dalla stessa posta in essere con una controllata italiana, cioè la conversione del debito di quest’ultima verso la prima per i dividendi, in un mutuo fruttifero, con sostituzione dell’originaria obbligazione di distribuzione dei dividendi in una restituzione scaturente dal predetto mutuo come condotta abusiva, poichè elusiva della normativa fiscale inglese e, contemporaneamente, diretta a conseguire un indebito rimborso di imposta)” (Cass. n. 4164 del 2013).

Si è osservato (Cass. n. 4165 del 2013, in motivazione) che il credito di imposta riconosciuto alla società madre dalla Convenzione Italia-Regno Unito, al pari di ciò che accade nel diritto interno, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, ed, ancor prima, della L. n. 904 del 1977, art. 2, intanto può ritenersi sussistente, in quanto vi sia effettivamente duplicazione di imposta; laddove manca quest’ultima, pertanto, non può neppure esservi riconoscimento alcuno del correlato credito di imposta.. “…Per quanto concerne, invero, il profilo dell’effettiva percezione dei dividendi, dei quali la società madre deve essere “beneficiarla effettiva”, ai sensi dell’art. 10, par. 4 della Convenzione, è del tutto pacifico tra le parti, e risulta dalla stessa impugnata sentenza, che detti dividendi non sono stati effettivamente pagati in denaro, ma hanno costituito oggetto di novazione, mediante la stipula di due diversi contratti di mutuo, in forza dei quali l’obbligazione di pagamento dei dividendi, in capo alla società figlia italiana, è stata sostituita da quella di restituzione del capitale mutuato alla società mutuataria inglese. Mentre nel caso in esame rimangono sullo sfondo eventuali implicazioni in ordine alla configurabilità di una “condotta abusiva” considerazioni in tutto analoghe vanno invece svolte in relazione alla percezione dei dividendi in esame, il cui “pagamento”, come è incontroverso fra le parti, “è avvenuto tramite totale compensazione con crediti di finanziamento vantati dalla spa Houghton Italia nei confronti della propria controllante inglese”.

L’esame del quarto motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 4, della convenzione italo britannica contro le doppie imposizioni, ratificata in Italia con la L. 5 novembre 1990, n. 329, e dell’art. 2697 c.c., nonchè omessa motivazione su punti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 300 c.p.c., nn. 3 e 6, ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1” – motivo avente ad oggetto la mancata prova dell’effettiva assoggettamento a tassazione nell’altro Paese dei redditi da cui discendono l’imposta o il credito di imposta chiesti a rimborso è assorbito dall’accoglimento del motivo che precede.

Il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia “insufficiente ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile alla stregua delle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c., in quanto privo del cd. momento di sintesi.

E’ del pari inammissibile l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, con il quale si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, ed art. 360 c.p.c., n. 3)”, in quanto non corredato dal quesito di diritto, a norma dell’art. 366 bis c.p.c..

In conclusione, il secondo motivo del ricorso principale deve essere accolto, mentre vanno rigettati il primo ed il terzo motivo, assorbito l’esame del quarto motivo, e va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate fra le parti, in considerazione dell’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo ed il terzo motivo, assorbito il quarto motivo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società Pic Fyfield ltd.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2015.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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