Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20894 del 17/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 17/10/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 17/10/2016), n.20894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6177/2014 proposto da:

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI CORRIDORI

48, presso lo studio dell’avvocato ISIDORO TOSCANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO GIANNANDREA, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA

LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato GEMMA PATERNOSTRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO APREA giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.P., D.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1792/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato ANTONIO APREA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità o

infondatezza del ricorso, condanna aggravata alle spese e

statuizione sul Contributo Unificato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/12/2013 la Corte d’Appello di Bari, quale giudice del rinvio disposta da Cass. n. 23818 del 2010, in accoglimento del gravame interposto dal sig. G.M. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Bari n. 736/03, ha dichiarato inefficace ex art. 2901 c.c., nei suoi confronti l’atto di compravendita a rogito Notaio Gu. con il quale i sigg.ri F.P. e D.V.C. hanno venduto al sig. L.L. l’immobile sito in (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Lopalco propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso il G., che ha prodotto anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c., artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente ed apodittica” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2 motivo denunzia “nullità della sentenza” per “violazione di tutti gli argomenti difensivi e/o comunque per difetto di motivazione”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.

Il ricorso è inammissibile.

Esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla “sentenza n. 736/2003” del Tribunale di Bari, al “contratto di compravendita concluso… in data 15-7-1983”, alla “citazione in riassunzione notificata il 17-1-2011 a L.L.”, alle “ragioni creditorie specifiche di cui il sig. G.M. (rectius, G.) era titolare nei confronti dei venditori, coniugi F. – D.V., alla “deposizione del teste A.M.”, a “tutti gli altri “elementi indiziari””, alla “clausola relativa alla “riserva di proprietà in favore dei coniugi F. – D.V.”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 6/11/2012, n. 19157; Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura dei solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso -apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va sotto altro profilo ribadito che il vizio di motivazione non può essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice (cfr. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nè ricorre d’altro canto vizio di omesso esame di questione decisiva qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (cfr. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può infatti imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Orbene, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente G., seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente G..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2016

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