Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28021 del 16/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28021 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 24201-2010 proposto da:
PETRINI LUCA MARIA C.F.

PTRLMR64E31L736X,

già

elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI
MELLINI 27 (STUDIO MUSCOLO PARTNERS), presso lo
studio dell’avvocato LORENZO COLEINE, rappresentato e
difeso dall’avvocato PETTINI ANDREA, giusta delega in


2013
2795

atti e da ultimo domiciliato presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00471850016, in persona

Data pubblicazione: 16/12/2013

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA C. MONTEVERDI

16,

presso lo

studio dell’avvocato CONSOLO GIUSEPPE, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrente

1530/2009

della CORTE

D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 25/11/2009 R.G.N.
1527/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato RUGGIERI GIANFRANCO per delega
CONSOLO GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

R. Gen. N. 24201/2010
Udienza 3/10/2013
Petrini Luca Maria c/
Telecom Italia S.p.A.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Firenze, Luca Maria Petrini
esponeva che, assunto nel settembre 1991 alle dipendenze della S.I.P. come

7° livello retributivo c.c.n.l. 1992, attraverso inquadramenti intermedi, a quello di
caposettore, livello F del c.c.n.l. 1996, fino a quando, nel 2000, aveva rassegnato le
dimissioni. Deduceva che per tutto il periodo dall’1/2/1995 al 30/6/2000 (nel corso
del quale aveva prestato servizio presso la DTRE/C1 di Firenze, salvo un periodo di
distacco a Roma tra 1’1/11/1997 e 1’1/6/1998) era stato assegnato a mansioni
superiori ed aveva inutilmente rivendicato il corrispondente corretto inquadramento.
Aveva perciò chiesto che fosse accertato il diritto a tale superiore inquadramento con
tutte le relative conseguenze economiche. Il Tribunale rigettava la domanda e la
decisione era confermata dalla Corte di appello di Firenze con sentenza n. 1539/2009
del 25 novembre 2009. Riteneva la Corte territoriale che non sussistesse alcuna prova
dello svolgimento delle mansioni superiori rivendicate ed in particolare che
mancassero elementi per sostenere che i compiti svolti dal Petrini fossero
caratterizzati dalla necessaria autonomia e discrezionalità dei poteri e dalla iniziativa
nell’esplicazione di funzioni di responsabilità, coordinamento e controllo di unità
organizzative.
Avverso tale sentenza il Petrini ricorre per cassazione con quattro motivi.
La Telecom Italia S.p.A. resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE

impiegato, era passato da un inquadramento come assistente ad attività specialistiche,

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Udienza 3/10/2013
Petrini Luca Maria c/
Telecom Italia S.p.A.

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: “Error in procedendo (art. 360, n.
4, cod. proc. civ.): le decisioni dei giudici di merito si sono basate esclusivamente (e
comunque in maniera determinante) su una prova testimoniale non ammessa e che

proc. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.); omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)”. Si duole del fatto che, pur a fronte di
una ordinanza limitativa della prova testimoniale richiesta da TELECOM, la prova
sia stata svolta anche sui capitoli non ammessi consentendosi, in tal modo,
l’introduzione in giudizio di materiale ultroneo e del fatto che le valutazioni della
Corte territoriale siano state basate su tali esiti istruttori.
2. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato.
Se pure il ricorrente ha provveduto a trascrivere integralmente (pag. 8 del ricorso)
i capitoli di prova avversari (nn. 4, 5, 6 e 7 della comparsa di costituzione della
Telecom nel giudizio di primo grado) tuttavia manca ogni riferimento al contenuto
della memoria della società ed in particolare alle lettere a), b), c) e d) della narrativa
(cui i capitoli stessi rinviavano). Ciò preclude ogni valutazione in ordine alla
decisività del rilievo.
Si ricorda, al riguardo, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del
giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error
in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura,
cosicché, laddove come nella specie si lamenti l’erroneo esercizio da parte della
Corte di merito dei poteri istruttori, è necessario, in ottemperanza del principio di
specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione (che deve consentire al
giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il

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quindi non poteva essere valutata; violazione o falsa applicazione dell’art. 244 cod.

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controllo demandatogli dal corretto svolgersi dell’iter processuale), che nel ricorso
stesso siano riportati, nei loro esatti termini, e non genericamente ovvero per
riassunto del loro contenuto, i passaggi degli atti di parte assunti a fondamento della

23420; 28 marzo 2012, n. 5036).
Per il resto va ricordato che è principio da tempo consolidato quello secondo cui,
poiché le ordinanze, nel sistema del codice di rito, provvedono alla istruzione della
causa, senza affatto vincolare la decisione finale del giudice, il quale (salvo
particolari ipotesi legislative) può liberamente modificarle o revocarle con la
successiva sentenza, non è configurabile, come error in procedendo,

la

contraddittorietà di motivazione tra l’ordinanza e la sentenza in ordine ad un punto
controverso, dovendo piuttosto, in tale ipotesi, ritenersi ritualmente modificata o
revocata, dal provvedimento decisorio, la parte motiva dell’anteriore
provvedimento istruttorio (cfr. in tal senso Cass. 24 febbraio 1982, n. 1148; id. 14
novembre 1972, n. 3390; 13 dicembre 1969, n. 3955; 11 giugno 1964, n. 1449).
Tanto più va ritenuta del tutto consentita nel processo del lavoro la revoca
implicita dell’ordinanza con cui sia stata limitata l’assunzione di una prova mediante
l’escussione di un teste sul capitolo non ammesso, trattandosi di un processo nel
quale anche il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta
all’ammissione di ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi
residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio.
Si aggiunga che, come si evince dalla sentenza impugnata, il riferimento ai testi
indotti dalla società convenuta costituisce argomentazione aggiuntiva laddove la
Corte fiorentina ha prioritariamente posto a base della decisione sfavorevole al

censura (cfr. in tal senso Cass. 14 gennaio 2010, n. 488; id. 10 novembre 2011, n.

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lavoratore la circostanza – non oggetto di specifico rilievo – che i testi del ricorrente
non avessero consentito di “dare la sostanza necessaria alle indicazioni di fatto”
presupposto delle rivendicazioni.

contraddittoria motivazione circo un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art.
360, n. 5, cod. proc. civ.)”. Si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia
tenuto conto della copiosa documentazione allegata al ricorso nonché delle risultanze
della prova articolata dal ricorrente e si sia basata esclusivamente sulla prova per testi
(peraltro non ammessa) di parte convenuta.
4. Il motivo è infondato.
Va, al riguardo, ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un
vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di
legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola
facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle
argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di
cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie,
sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle emergenze processuali diversa da quella accolta dal
Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; id. 13 gennaio
2011, n. 313; 3 gennaio 2011, n. 37; 3 ottobre 2007, n. 20731; 21 agosto 2006, n.
18214; 16 febbraio 2006, n. 3436; 27 aprile 2005, n. 8718).
Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione,
insufficienza e contradditorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora,
nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato

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3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: “Omessa, insufficiente o

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o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o
rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione

censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di
contraddittorietà o illogicità che rendano dei tutto irrazionali le argomentazioni del
giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura dette
risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr., ex
multis, Cass. 14 gennaio 2011, n. 8; id. 22 dicembre 2006, n. 27464; 7 marzo 2006,
n. 4842; 27 aprile 2005, n. 8718).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di
merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa
prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte
dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio
convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le
argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr., ex plurimis, Cass. 2 luglio
2004,n. 12121).
Né è possibile far valere con il vizio di motivazione la rispondenza della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della
parte e, in particolare, prospettare un preteso migliore e più appagante coordinamento
dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di
discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti,
attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso
formativo di tale convincimento (così Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).

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del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le

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In buona sostanza, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art.
360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento
decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una

realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in
una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata
dall’ordinamento al giudice di legittimità.
La valutazione, poi, delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio
sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la
scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale
nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di
altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare
tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e
circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente
incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; id. 26
febbraio 2007, n. 4391; 27 luglio 2007, n. 16346).
Tanto precisato, va osservato che, nella specie, le valutazioni delle risultanze
probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logicoargomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non
presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
La Corte territoriale, sulla base dell’istruttoria svolta, ha evidenziato che la prova
offerta dal ricorrente (peraltro risultando “già carente sul punto il capitolato di cui al

determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in

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ricorso introduttivo”) non avesse consentito di dimostrare la peculiarità dei profili
professionali al cui riconoscimento il medesimo aspirava mentre i testi indotti dalla
società convenuta, e cioè i dirigenti responsabili nel tempo delle risorse umane cui

cui il ricorrente attribuisce decisiva rilevanza – ed il Terzi), avevano fatto riferimento
non solo alla persistente loro supervisione sull’attività dell’appellante ma soprattutto,
riguardo al periodo 1995-1997, al fatto che il lavoratore avesse operato avvalendosi
di procedure standardizzate, essendo sempre richiesto l’intervento diretto del
responsabile allorché si fosse reso necessario discostarsi da esse. Inoltre, la Corte
fiorentina, dopo aver puntualmente enucleato gli elementi differenziali tra i livelli 7°
e 6° del c.c.n.l. 1992 ed i livelli D ed E del c.c.n.l. 1996 – attribuiti al Petrini nel
biennio precedente il suo distacco a Roma nell’ambito di un progetto di trasferimenti
sul territorio – rispetto al livello 3° del c.c.n.l. 1992 (rivendicato per il periodo
1/5/1995 – 31/6/1998) ed aver individuato nella rilevante autonomia e discrezionalità
dei poteri nonché nell’iniziativa nell’esplicazione di funzioni di responsabilità,
coordinamento e controllo di unità organizzative i tratti caratterizzanti
l’inquadramento preteso, ha escluso (invero alla stregua delle stesse indicazioni di
cui al ricorso introduttivo, chiarite dalle precisazioni dei testi della società
convenuta) che i compiti svolti dal Petrini avessero tali caratteristiche, rilevando una
sostanziale equivalenza di contenuto professionale tra le funzioni di gestione del
personale esercitate presso il DTRE/C1 di Firenze e l’attività svolta dopo il distacco
a Roma nell’ambito di un gruppo di lavoro. La Corte di merito ha, poi, escluso lo
svolgimento di mansioni superiori anche con riguardo all’attività svolta dal Petrini al
ritorno in servizio a Firenze, evidenziando anche in questo caso una carenza della

aveva fatto capo il Petrini (e cioè il Mucci – firmatario della nota in data 17/11/1995

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prova fornita dal ricorrente laddove i testi di parte convenuta avevano consentito di
escludere la sussistenza di responsabilità dirette ovvero autonomia e capacità
propositive connotanti il livello H del c.c.n.l. 1996 (preteso dall’1/7/1998 al

tipiche del livello G, rivendicato in via subordinata.
Nell’iter logico suddetto non si evidenza alcuna aporia, nè incongruenza; la
sentenza, ampiamente e logicamente argomentata, risulta immune da qualsiasi vizio
motivazionale.
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: “Omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circo un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art.
360, n. 5, cod. proc. civ.); violazione o falsa applicazione dell’art. 2013 cod. civ. (art.
360, n. 3, cod. proc. civ.)”. Si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia
riconosciuto lo svolgimento da parte del Petrini di compiti indubbiamente superiori
all’inquadramento formale rivestiti.
6. Il motivo non è fondato.
Deve, infatti, in primo luogo osservarsi che in tema di ricorso per cassazione, il
vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da
parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di
legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in
sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. 16
luglio 2010, n. 16698; id. 26 marzo 2010, n. 7394).

lo

30/6/2000) o anche rilevante autonomia e discrezionalità di poteri e di iniziativa

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Orbene, nella specie, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di
legge – contenuto espressamente nell’intestazione del motivo – le censure si risolvono
nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione

Valga, al riguardo, quanto evidenziato al punto sub 4.
Alla luce dei sopra indicati principi, deve riconoscersi l’inaccoglibilità dei profili
di doglianza che, attraverso una rivisitazione del materiale probatorio acquisito,
censurano le conclusioni a cui è pervenuta la Corte territoriale e si risolvono,
sostanzialmente, nell’inammissibile richiesta di un nuovo esame di tali risultanze per
ciò che riguarda l’apprezzamento dell’effettivo contenuto delle mansioni svolte.
Nel caso di specie, infatti, la parte ricorrente si limita a suggerire difformi
valutazioni delle emergenze istruttorie del processo (che l’impugnata sentenza ha
esaminato in maniera completa e – si ribadisce – con motivazione scevra da vizi
logico-giuridici), ritenendo di poter enucleare vizi di motivazione dal mero confronto
con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un
accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità.
7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia: “Violazione o falsa applicazione di
norme dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3, cod. proc.
civ.)”. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circo un fatto controverso
e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)”. Si duole della non corretta
analisi della contrattazione collettiva operata dalla Corte di appello e della scarsa
attenzione attribuita alle plurime declaratorie contrattuali di riferimento nei vari
periodi considerati.
8. Anche tale motivo non è fondato.

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del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

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Invero il ricorrente si limita a dedurre che, a fronte di declaratorie contrattuali
estremamente complesse e contenute in diversi contratti collettivi, l’analisi operata
dalla Corte territoriale sarebbe stata “discutibile” e significativa di una lettura “non

abbia errato nell’interpretazione e nella loro applicazione (ex multis, Cass. 22
novembre 2010, n. 23635).
Deve peraltro rimarcarsi che il vizio di violazione di legge qui denunciato,
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di diritto e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa
(come nel caso in esame) è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in
sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra
l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della
legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie
concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è
mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 16 luglio 2010,
n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).
Sotto il primo profilo il motivo, ad onta dell’intestazione, lamenta non un’erronea
esegesi delle fonti collettive o una falsa sussunzione in esse del fatto controverso,
bensì un mero cattivo governo delle prove non denunciabile mediante ricorso per
cassazione, sia per ciò che concerne la riconducibilità o meno di tali mansioni

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completa” delle stesse, senza però specificare in modo chiaro ove la Corte di merito

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all’ambito previsionale della normativa contrattuale di riferimento, sia per quanto
inerisce all’apprezzamento della ritenuta mancanza dell’autonomia tipica del
rivendicato inquadramento superiore.

rilevarsi che il ricorrente, in ordine al preteso vizio di motivazione, non ha dimostrato
l’obiettiva insufficienza, ovvero l’incoerenza del ragionamento seguito, ovvero
ancora la devianza da corretti criteri metodologici. Occorre, peraltro, evidenziare che
la Corte di merito ha correttamente seguito il procedimento logico-giuridico
necessario per la comparazione delle mansioni astrattamente previste per la qualifica
da attribuire e di quelle svolte in concreto dal prestatore, che deve essere effettuata
ogni qual volta si debba stabilire l’esatto inquadramento professionale di un
lavoratore avendo preventivamente: a) accertato le attività in concreto svolte dal
Petrini nei vari periodi e presso le differenti sedi di lavoro; b) individuato le
qualifiche previste dai c.c.n.l. applicabili rilevando gli elementi differenziali ritenuti
significativi; c) confrontato i risultati sub a) con le declaratorie contrattuali. Rispetto
a tale percorso argomentativo non vale contrapporre l’articolata specificità delle
mansioni come rilevabile dalle varie declaratorie in rapporto a ciascuno dei profili di
volta in volta considerati, laddove la Corte territoriale non si è limitata ad una analisi
meramente formale ma ha correttamente enucleato, anche attraverso una analisi
cumulativa (così per i livelli 7 0 e 6° del c.c.n.l. 1992 e D ed E del c.c.n.l. 1996), i
fondamentali caratteri distintivi tra l’inquadramento riconosciuto e quello
rivendicato.
9. Per le suesposte ragioni il ricorso deve essere respinto.

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Sotto il secondo profilo valgano le considerazioni già sopra svolte dovendo

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10. La regolamentazione delle spese, liquidate come in dispositivo, segue la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
società contro ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in
euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori
di legge. Così deciso in Roma,i13 ottobre 2013.

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